Nonostante
i passi incoraggianti compiuti dal 2011 il futuro delle emittenti alternative,
in gran parte a carattere locale e associativo, è a rischio. Complici i costi
di equipaggiamento, le lacune della legislazione e l'attendismo - per nulla
disinteressato - delle autorità che dovrebbero aggiornarla.
(Tunisi, 23 aprile 2013. Osservatorioiraq.it) "Amo
la radio perché arriva dalla gente / entra nelle case e ci parla direttamente /
se una radio è libera, ma libera veramente / piace ancor di più perché libera
la mente" cantava Eugenio Finardi nei primi anni settanta, accompagnando
la fioritura delle emittenti 'pirata' e lo sblocco dell'etere nella penisola.
Lo
stesso refrain potrebbe rimbalzare oggi nella Tunisia della transizione dove,
finito il monopolio Ben Ali-Trabelsi, incrinato il muro del pensiero unico e
scoperchiato il vaso di Pandora, sembra arrivato il momento delle radio libere,
di natura associativa, comunitaria o commerciale.
Sembra.
Perché nonostante i passi incoraggianti del dopo rivoluzione, il processo di
riappropriazione dello spettro da parte delle realtà locali e alternative ai
media pubblici (o legati alla belle
famille) è già entrato in una preoccupante fase di stallo. Complici i costi
di equipaggiamento, le lacune della legislazione e l'attendismo - per nulla
disinteressato - delle autorità che dovrebbero aggiornarla.
Una 'sfida' in Fm
"Prima
della caduta del regime non esistevano veri mezzi di comunicazione
indipendenti, ad eccezione di qualche pubblicazione semi-clandestina, una
televisione sul satellite e due radio web", ricorda Nouzha Ben Mohammed,
presidente del Syndicat tunisien des radios libres (STRL). Il riferimento è al
canale El-Hiwar Ettounsi, a Radio Kalima dell'attivista Sihem Bensedrine e a Radio
6, di cui è direttrice la stessa Ben Mohammed.
Il
contesto era a dir poco ostile per le voci fuori dal coro. Giornalisti in
arresto, processi farsa, minacce e attacchi di vario genere. "Il nostro
progetto è nato nel 2007, il 10 dicembre per l'esattezza, giorno dedicato ai
diritti umani in ricordo della dichiarazione universale - racconta Nouzha - Due
anni dopo abbiamo invitato tutti i candidati delle presidenziali in radio, a
condizione che nei loro programmi fosse contemplata la libertà di espressione. Ben
Ali ci ha inviato i suoi scagnozzi per saccheggiare i locali e rubarci il
materiale. Abbiamo continuato lo stesso a lavorare sul web fino al 14 gennaio
2011. Dopodiché, abbiamo montato un'antenna sul tetto dell'appartamento che
fungeva da redazione".
Alla
fuga del dittatore è seguita la liberalizzazione - almeno formale - delle
frequenze, sancita dall'Istanza nazionale per la riforma dell'informazione e
della comunicazione (INRIC) e fortemente voluta dal suo presidente Kamel
Labidi, giornalista e attivista in esilio sotto l'ancien regime. Nel giugno
del 2011 - quando alcune strutture avevano già cominciato il lavoro 'pirata' -
l'autorità provvisoria ha così riconosciuto ufficialmente la nascita di 12
nuove stazioni sulla banda Fm, a carattere prevalentemente locale.
Tra
queste Radio 6, che copre il territorio della capitale e dintorni, le grand Tunis. "Emettere in Fm
rappresenta una sfida, a livello professionale ma soprattutto economico, dati i
costi di funzionamento che ci vengono imposti. Allo stesso tempo, continuiamo
anche la diffusione in streaming per cercare di raggiungere il maggior numero
di ascoltatori".
Radio
6 è una piccola emittente comunitaria. Impone limiti rigorosi al finanziamento
pubblicitario, il 60% della programmazione è a carattere sociale e in molti
casi "gli spazi vengono gestiti direttamente dalle associazioni con cui
collaboriamo", spiega Nouzha Ben Mohammed. Impossibile, in queste
condizioni, soddisfare le richieste dell'Office national de télédiffusion
(ONT), che rappresentano oggi uno dei principali ostacoli allo sviluppo del
panorama radiofonico alternativo.
Nonostante
la liberalizzazione infatti, con la parentesi volontarista dell'INRIC, la
gestione del settore resta in situazione di monopolio mentre la riforma
dei media continua a farsi attendere. Intanto è l'ONT a controllare il piano
delle frequenze e a fornire l'equipaggiamento necessario alla messa in onda. Il
prezzo è "esorbitante", assicura la Ben Mohammed, "tra i 100 e i
200 mila dinari (50, 100 mila euro circa, nda)
all'anno, a seconda del raggio di copertura, con scadenze di pagamento
semestrali".
A
nulla sono valse le pressioni congiunte del sindacato, della rete AMARC
(l'Associazione mondiale delle radio comunitarie) e dell'ong RSF (Reporters
sans frontières). Le autorità non riconoscono uno statuto differenziato alle
radio con finalità sociale e senza scopo di lucro, che dovrebbero essere esenti
da simili oneri. Un distinguo presente anche nel decreto 116, quello che
prevede la creazione di un'istanza indipendente per la regolamentazione
dell'audiovisivo (HAICA), già approvato ma dal novembre 2011 in attesa di
attuazione.
Le
tariffe imposte dall'ONT sembrano impossibili da onorare perfino per le nuove
emittenti commerciali. Lo conferma Amor Naguazi, responsabile di Radio Sabra Fm
a Kairaouan. "Le ricette pubblicitarie non bastano, gli annunci
scarseggiano e più che altro si rivolgono alle tre o quattro grandi radio
private, più attrattive poiché coprono tutto il territorio nazionale e già attive
sotto il passato il regime. Impossibile parlare di concorrenza, ci troviamo di
fronte ad un oligopolio cauzionato dalla classe politica e ormai difficile da
scalfire".
La voce del popolo..
Si
tratta di una morte 'programmata' per asfissia finanziaria? E' RSF a lanciare l'allarme,
dopo aver raccolto le denunce e i malumori dei rappresentanti di categoria.
Anche il collettivo di blogger Nawaat ritiene
che le nuove emittenti siano "prese in ostaggio" dalle autorità:
"la diversità e il pluralismo costituiscono un incentivo allo sviluppo
democratico e la logica impone che venga fatto il possibile per aiutare queste
stazioni a continuare la messa in onda. Ma la realtà è un'altra".
"Per
quanto tempo ancora ascolteremo Cap Fm a Nabeul, Chaambi Fm a Kasserine o
Al-Karama a Sidi Bouzid?", domanda la giornalista Sanaa Sbouai.
La
fioritura delle radio locali, di prossimità, risponde pertanto ad un bisogno di
riappropriazione di quegli spazi
e di quei beni comuni di cui la rivoluzione si è fatta portatrice. Sono un
mezzo per ridurre la distanza tra i centri di potere e il singolo cittadino,
per colmare il fossato tra Tunisi e le regioni interne scavato in cinquant'anni
di bourghibismo e benalismo. Un'occasione per far conoscere le esigenze reali,
la quotidianità, di una popolazione ai margini e ancora in cerca di dignità.
Mohamed
Nsib, tra i fondatori di Sawt el-manajem ("La voce delle miniere") a Gafsa,
lo sa bene. "I media nazionali, i canali governativi, hanno trattato
ingiustamente le persone che alzavano la testa contro il passato regime e anche
oggi la situazione è delicata. Il contesto socio-economico è esplosivo:
disoccupazione, mancanza di infrastrutture e di assistenza medica, inquinamento
legato all'estrazione dei fosfati.. E' importante per la gente del posto avere
una radio in cui identificarsi, vicina ai suoi problemi".
Una
radio associativa, infatti, è prima di tutto uno strumento al servizio della
comunità in cui è inserita. Tanto che a Gafsa "la voce delle miniere è la
voce del popolo, appartiene a tutti i cittadini", rilancia Wissem, tecnico
del suono di formazione e giornalista all'occorrenza. "Raccontiamo i fatti
per quello che sono, non cerchiamo di indorare la pillola. Se prima anche il
tempo era considerata una linea rossa, pure il nuovo governo vorrebbe far
credere che qui splende sempre il sole..".
Dopo
il diploma nel 2005, Wissem aveva cercato un lavoro in linea con il suo percorso
di studi, ma il panorama mediatico non offriva prospettive. Comincia così una
trafila logorante tra chomage e piccoli
lavoretti saltuari: qualche settimana in cantiere per offrire manovalanza a
cottimo, une mese o due nelle miniere, senza contratto, alle dipendenze dei
privati che subappaltano il lavoro dallo Stato, commercio al dettaglio di
accessori per auto..un repertorio tristemente noto ai giovani della regione in
cerca di un futuro.
Non
sorprende, quindi, che durante la sollevazione di Gafsa alla fine del 2010
Wissem si sia trovato in prima linea per riversare la sua rabbia contro il
regime - "come tutti gli altri", precisa. E' in questo frangente che
entra in contatto con Mohamed Nsib e il resto della famiglia Sawt el-manajem.
La radio inizierà ad emettere in Fm poco tempo dopo, in seguito al
riconoscimento ufficiale da parte dell'INRIC.
Fino
ad allora "La voce delle miniere" era accessibile soltanto attraverso
la sua pagina Facebook (oltre 23 mila utenti), creata in occasione di un'altra
importante rivolta - quella del 2008 - quando la regione era insorta contro le
pratiche clientelari della società mineraria (statale) e per tutta risposta Ben
Ali l'aveva sedata nel sangue. Durante i mesi di proteste e repressione Radio
Sawt era una delle rare fonti di informazioni disponibili.
"L'esperienza
accumulata sul web, anche nei momenti più difficili, ci ha dato credibilità. Ma
è con il passaggio all'antenna che è iniziato il lavoro serio", riferisce
Mohamed. Concertazione del palinsesto, reportage e otto ore di diretta, sette
giorni alla settimana. Un'equipe polivalente formata da volontari e professionisti,
non soltanto in ambito mediatico.
Houda
ad esempio, una delle animatrici del programma mattinale, è professoressa di
scienze naturali. Prima della rivoluzione non aveva mai pensato di fare radio.
"Qui mi sento utile e la funzione educativa è ancora più valorizzata".
Si dice entusiasta perché "le persone possono finalmente esprimersi,
partecipare ai dibattiti, senza timori né censure. Un esperimento originale per
Gafsa, dove uomini e risorse sono stati sempre sfruttati ma poco o nulla è mai
stato fatto per loro".
La
forza di Sawt el-manajem è senza dubbio la passione da cui sono mossi i suoi
membri e la solidarietà che unisce la redazione. La voglia di migliorare preparazione
professionale e competenza. Mohamed e compagni sanno che il loro ruolo va al di
là della semplice raccolta e trasmissione dell'attualità. Sono consapevoli del
peso assunto dalla radio nella regione - "un modello" - e di quanto l'ingresso nella banda Fm abbia
contribuito al radicamento nel territorio.
Per
avere una conferma è sufficiente spostarsi per la città in taxi: quasi tutti
sono sintonizzati sulla frequenza 90.9. "Di recente - informa Wissem - un'associazione
svizzera ha fatto uno studio sugli indici di ascolto a livello regionale. Il
68% degli utenti di Gafsa preferisce Sawt alla radio statale, le uniche due emittenti
ricevibili in zona".
Un
seguito notevole, nonostante la limitata disponibilità di mezzi e il
boicottaggio di certe forze politiche - partiti di governo in testa - che
vorrebbero una maggiore docilità da parte dei giornalisti. Un successo,
tuttavia, che non basta a garantirne la sopravvivenza. "La voce delle
miniere" si trova di fronte agli stessi problemi delle altre (nuove) radio.
La mancanza di fondi e la difficoltà di saldare i conti con i creditori.
Fino
ad ora le collette e le donazioni, oltre ai magri introiti pubblicitari, hanno
permesso di pagare i rimborsi del personale e i costi quotidiani di
funzionamento. Ma i prestiti ottenuti per l'equipaggiamento tecnico stanno per
arrivare in scadenza e anche Sawt el-manajem sembra destinata a finire nella
morsa dell'ONT.
Il futuro è 'pirata'?
La
riduzione delle tariffe dell'Office national de télédiffusion è una delle
principali rivendicazioni avanzate dal sindacato delle radio libere - a cui le
autorità hanno risposto con vaghe promesse - per evitare la chiusura delle
nuove stazioni. Diversa è la soluzione prospettata dalla rete AMARC, che fin
dal post-rivoluzione sostiene attivamente l'effervescenza radiofonica tunisina
con assistenza tecnica e legale e formazione in loco.
"Stiamo
cercando di convincere le radio a dotarsi di strumenti propri, affinché possano
emettere con i loro trasmettitori", spiega Francesco Diasio dell'Agenzia
multimediale di informazione sociale (AMISnet), appena rientrato a Tunisi dopo
una lunga permanenza nelle regioni interne del paese. "I 60 mila euro
annuali richiesti dall'ONT sono un'esagerazione. Secondo il valore di mercato, un'apparecchiatura
della stessa capacità ne costerebbe appena 3 mila".
L'obiettivo
è rompere il monopolio, continua Diasio, una situazione che sa di ritorno al
passato nel contesto tunisino, e che grava minacciosa anche sull'Europa "dove,
con il passaggio dall'analogico al digitale, le radio non saranno più
autosufficienti ma verranno filtrate da un multiplex unico gestito da compagnie
commerciali".
La
prospettiva non riguarda soltanto le emittenti già in Fm, ma anche e
soprattutto le radio web - una quindicina attualmente - che si erano viste
rifiutare il riconoscimento dell'INRIC o che sono nate in periodo successivo.
E'
il caso di Radio 3R, o Radio Regueb Révolution, che ha iniziato la
programmazione in streaming il 9 gennaio scorso. Una data di lancio significativa,
che coincide con la commemorazione dei martiri della piccola cittadina (alle
porte di Sidi Bouzid) morti due anni prima sotto i colpi delle forze di polizia,
nel pieno della sollevazione.
Il
progetto, finanziato dall'Unione Europea, è frutto della collaborazione tra
l'associazione locale Liberté et Dévéloppement, l'onlus italiana COSPE e
AMISnet. Ma, come il nome stesso rivela, è nella rivoluzione che affonda le sue
radici.
Dopo
la fuga di Ben Ali infatti, centinaia di abitanti delle regioni interne, quelle
da cui era partita l'insurrezione, avevano occupato il cuore di Tunisi per
chiedere le dimissioni del primo governo ad interim e la dissoluzione del RCD
(partito dell'ex dittore). La 'Kasbah1' - a cui seguì poi la 'Kasbah 2' e le manifestazioni per la convocazione
della costituente - era la testimonianza che la popolazione, cosciente dei
propri diritti, non avrebbe più accettato in silenzio le decisioni di palazzo ed
era pronta a tutto per soddisfare le proprie esigenze.
Alcuni
giovani blogger di Regueb, per perennizzare quell'esperienza e tradurla su
scala locale, decisero di fondare un'associazione e una radio. Dai primi
montaggi realizzati a fatica in un internet point il tempo sembra esser trascorso
velocemente, ed oggi Radio 3R può contare su propri locali che fungono da punto
di incontro per tutta la cittadinanza. Durante le 5 ore di diretta giornaliere,
le altre associazioni lavorano in sinergia con il personale, in maggioranza
donne. Spesso le ragazze restano a lavorare fino a tardi in redazione,
"una rivoluzione sociale" per una piccola realtà - tendenzialmente
conservatrice - come Regueb.
"Alla
Tunisia, specie fuori dalla capitale, mancano spazi culturali, luoghi di
aggregazione che non siano gli hammam per le donne e i caffè o le moschee per
gli uomini. Per questo l'esperienza della radio è importante. La gente, dopo
aver vissuto anni di diffidenza reciproca, ha bisogno di conoscere e di
conoscersi", afferma Debora Del Pistoia, coordinatrice COSPE a Regueb.
Per
essere ancor più incisivi e ottimizzare gli sforzi, Debora riconosce la
necessità del passaggio in Fm. "Siamo in una regione rurale, dove la
connessione internet è ancora ridotta e gli abitanti si affidano al
transistor".
Radio
3R si trova però in un limbo legislativo, spiega la cooperante. "Non
abbiamo potuto fare richiesta di una frequenza perché allo stato attuale non
esiste un organismo competente a cui inoltrarla". L'INRIC, che ha cessato
di esistere, dovrebbe essere rimpiazzato dall'HAICA, ma l'attendismo del
governo e lo scontro a livello politico blocca la riforma dell'informazione (decreti
115 e 116) e la creazione della nuova istanza indipendente. "Per adesso
trasmettiamo in streaming dal nostro sito. A breve, comunque, saremo in grado
di emettere anche via etere. Con il nostro materiale e senza bisogno di
ricorrere all'ONT".
L'unica
alternativa, quindi, è un futuro 'pirata'? KFm, a Kasserine, ha già acceso il
suo trasmettitore.
Secondo
il vecchio codice delle telecomunicazioni ancora in vigore, tuttavia, gli
operatori radiofonici sprovvisti di autorizzazione sono passibili di una
condanna da 6 mesi a 5 anni di prigione per "sfruttamento abusivo di
frequenza".
La
valutazione di Francesco Diasio è differente. "Mancando l'autorità
preposta al rilascio dell'autorizzazione, siamo di fronte ad un vuoto
giuridico. E il vuoto è paradossalmente un momento favorevole. Le radio
potrebbero approfittarne per entrare in Fm in attesa di una futura
regolarizzazione. Nessuno ha ora interesse a sollevare nuovi polveroni, ostacolandone
l'attività".
Una
posizione condivisa dalla maggior parte delle emittenti, stanche delle eterne
promesse delle autorità. "Nell'attesa, tanto vale fare un balzo in
avanti", commenta uno dei responsabili di KFm. "La risposta del
governo saprà indicarci se i nuovi poteri opereranno per garantire il
pluralismo e il diritto all'informazione o se saranno le vecchie logiche repressive
a prevalere".
Gli
animatori delle radio libere non si fanno illusioni. Sanno che la loro è una
sfida lanciata a chi, all'interno dello Stato, non vuole rinunciare al
controllo sui media e alla possibilità di manovrarli. I ritardi e l'impasse
della riforma del settore, le diatribe sulla gestione delle licenze e i costi
di diffusione, del resto, testimoniano la mancanza di una reale volontà politica
ad instradare il cambiamento. Una constatazione amara che non basta a frenare
il cammino delle nuove emittenti. Verso la riappropriazione di un bene comune,
lo spettro, e l'affermazione di una libertà universale conquistata e difesa con
coraggio, la libertà di espressione.
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