Della
ragazzina finita sulla bocca di tutti (spesso a sproposito) al momento delle
sue azioni firmate Femen, Amina è diventata, in prigione, una militante pronta
a denunciare abusi e maltrattamenti anche a costo di compromettere la sua
scarcerazione. Basterà affinché la giustizia e i suoi detrattori, sempre pronti
a definirla una "futile provocatrice", comincino a prenderla sul
serio?
Traduzione dell'articolo di Lilia Blaise per Nawaat
(testo e foto)
Libera, nonostante la
prigione
E'
la prima volta che i genitori di Amina si recano entrambi in tribunale per
sostenere la figlia. Accompagnata dalla zia materna della ragazza, Asma Sbouai,
la madre è silenziosa mentre il padre cerca di rallegrare l'atmosfera. Ma è
tutt'altro che ottimista sull'esito dell'udienza, dopo che Amina ha pubblicato
un messaggio nel giornale Assarih
tramite il suo avvocato, in cui assume e difende le sue scelte.
"Non
ho paura di rimanere in prigione, non sarebbe un problema. Io sono lo stesso
libera e per niente pazza. Mi trovo in una cella, ma mi considero più libera di
molta gente che sta fuori. Stare in carcere è niente in confronto al vedere la
Tunisia trasformarsi in una nuova dittatura religiosa".
Pur
ammirando il suo coraggio, il padre di Amina vede nel nuovo processo "una
mossa per metterla nel sacco". La madre, invece, non sopporta l'idea che
sua figlia affermi di poter restare in prigione. "E' ancora una bambina,
l'ultima volta che l'abbiamo vista piangeva", ha affermato sabato 20
luglio, qualche giorno prima dell'udienza. I genitori non si aspettavano un
simile messaggio dopo averle fatto visita in carcere, cercando di farla
ragionare sul suo atteggiamento. Temono che simili dichiarazioni finiscano per
giocare a suo sfavore.
Una habitué dei
tribunali, a 19 anni
Amina,
a 19 anni, è già passata di fronte a svariate corti giudiziarie. Accusata di
aver tentato di taggare la parola "Femen" sul muro di cinta del
cimitero di Qairouan il giorno previsto per il meeting di Ansar El Shari'a, la
giovane liceale è stata mantenuta in stato di detenzione preventiva a causa di
un altro processo intentato contro di lei, di cui non è ancora stata fissata la
data, per diversi capi di imputazione: "attacco al pudore",
"profanazione di luogo sacro" e "associazione a
delinquere".
Gli
ultimi due capi di imputazione erano stati depennati dal giudice di Qairouan -
vista la palese inesistenza del fatto - lo scorso 15 luglio, ma il pubblico
ministero ha fatto appello contro questa decisione, mostrando così tutto
l'astio e il malessere politico e giudiziario che si nasconde dietro al caso
Amina.
Oggi
(22 luglio, ndr) infine, Amina passa
di fronte ad un nuovo magistrato, nell'ennesimo tribunale (a Msaken), per
"oltraggio a pubblico ufficiale" e "diffamazione". E' stata
denunciata da alcune guardie della prigione di Messadine, dove si trova
rinchiusa, dopo che la ragazza era intervenuta "insultandoli" durante
un alterco tra i secondini e un'altra detenuta.
La
nuova accusa è interpretata dai suoi avvocati come un tentativo di
intimidazione per far tacere Amina che, anche in prigione, si esprime
liberamente e denuncia i maltrattamenti. Il carcere non sembra scoraggiarla.
Amina parla, difende e si difende, di fronte ad una giustizia (e ad una larga
parte della società, ndt) che non le
perdona né la sua azione a seni nudi sul web né il suo tag a Qairouan.
"Sono
d'accordo con alcune cose che Amina ha detto, ma disapprovo il suo legame con
le Femen. La gente pensa solo a questo quando si parla di lei e non capisce che
Amina è in prigione per altri motivi e sulla base di un dossier vuoto,
inesistente", commenta la zia Asma, che fino ad oggi ha seguito le
disavventure della nipote e i suoi guai con la giustizia dalla Francia.
Descrive Amina come una ragazza "ribelle" e "cocciuta", ma
non nasconde la tenerezza che prova nei suoi confronti.
"Il
problema è che mantiene sempre un atteggiamento provocante, mentre in prigione
dovrebbe cercare di controllarsi per poter uscire in fretta. Anche le Femen si
sono scusate durante l'udienza".
Incontrollabile,
Amina resta salda sulle sue posizioni dall'inizio del processo. Era arrivata di
fronte alla corte d'appello di Sousse senza il sefsari (abito tradizionale, ndt)
ed ha ripetuto il gesto a Qairouan. A Msaken il suo discorso è stato più breve
e meglio costruito rispetto agli interventi precedenti di fronte ai media.
Amina denuncia, non sembra disposta a cedere.
Processo rinviato
nonostante un vizio di procedura
Lunedì
22 luglio Amina è arrivata davanti al giudice alle 10 del mattino. Nell'aula
c'erano ad attenderla una trentina di persone tra amici, parenti e membri del
comitato di sostegno. Il padre è rimasto in disparte mentre la madre è uscita
dalla sala per riuscire a vederla prima del suo ingresso.
Amina
si presenta di nuovo senza sefsari.
Al suo fianco la detenuta a cui aveva offerto sostegno in prigione. Capelli
tinti di biondo, una magliettina rosa che lascia scoperte le braccia su cui si
intravede il volto tatuato di Yasser Arafat, dalla testa ai piedi la ragazza ha
un'aria seria e uno sguardo di sfida.
Interrogata
dal giudice, Amina dichiara di essere intervenuta per proteggere un'altra
prigioniera, Rabiaa, vittima di maltrattamenti. La giovane nega di aver
insultato le guardie e il ministro della Giustizia, come invece è stato
riportato nella denuncia. Una dei suoi avvocati, Leila Ben Debba, interviene
poi per rilanciare la linea difensiva.
In
aula c'è aria di attesa, frenetica. Alcune dichiarazioni fatte la scorsa
settimana annunciavano per questa occasione la presentazione di una prova
irrefutabile sulla non colpevolezza di Amina e sul carattere
"artificioso" dell'accusa formulata contro di lei. In effetti, Leila
Ben Debba non perde tempo e rivela che il mandato presentato dal procuratore è
datato 10 giugno, mentre la denuncia contro Amina depositata dal direttore
della prigione indica che i fatti imputati si sarebbero svolti il 15 giugno.
Si
tratta di un vizio di forma flagrante che mostra come la ragazza sia in effetti
vittima di un accanimento giudiziario (e politico?, ndt). Inoltre le testimonianze rilasciate dai secondini che hanno
firmato la denuncia sono discordanti quanto all'ora degli eventi. Un altro
avvocato, Ghazi Mrabet, conclude il suo intervento sottolineando la non
fondatezza e l'irregolarità del dossier presentato in tribunale e ribadendo che
le due imputate non sono altro che le ennesime vittime di un "sistema
carcerario fin troppo conosciuto".
Le rivelazioni di Amina
sulle torture in prigione
I
legali di Amina si mostrano sicuri, hanno ancora altri elementi a loro vantaggio
per difendere la ragazza, che ad inizio luglio aveva fatto delle rivelazioni
all'avvocato Radhia Nasraoui sulle torture inflitte ad alcune detenute.
Quando
la Nasraoui (tra le più note e attive oppositrici al regime di Ben Ali, ndt) prende la parola, enumera in
dettaglio tutti i casi documentati: una ragazza lasciata al sole per diverse
ore, un'altra appesa ad una finestra con le mani ammanettate alle sbarre..il
resoconto sembra non finire più. Al fianco di Amina, Rabiaa scoppia a piangere
nel sentir rievocare i maltrattamenti. Le guardie che circondano le due
detenute, invece, restano impassibili. Ascoltano con attenzione, ma nessun
cenno di reazione alla descrizione dei fatti.
Amina
ha così acquisito un nuovo status. E' divenuta la prigioniera che denuncia gli
abusi ancora commessi nelle carceri tunisine. Non a caso un altro avvocato si è
aggiunto al suo pool, Modher Cherni segretario generale dell'OCT (Organisation
contre la torture), conosciuto per il suo attivismo in difesa delle vittime
sotto il passato regime. Cherni ha deciso di schierarsi a sostegno di quella
che considera una "detenuta politica" e durante l'udienza non ha mai
smesso di ricordare che la Tunisia ha firmato e ratificato il protocollo
internazionale di lotta contro la tortura.
Determinata, reclama
giustizia per le detenute maltrattate
Amina
sembra ormai godere di una certa notorietà. Si guarda intorno per osservare
tutti coloro che sono in tribunale per appoggiarla. Rivolge qualche sorriso
alla blogger Lina Ben Mehni, mentre la sta fotografando, e indirizza dei gesti
di affetto alla madre. La zia la osserva in silenzio, si inquieta quando vede
Amina agitarsi. Ha paura che pronunci una parola di troppo.
Ma
non succede. La ragazza si alza alla fine dell'udienza e chiede nuovamente al
magistrato di punire gli autori degli abusi sulle sue compagne di prigione.
Prima di uscire dall'aula si riveste con il sefsari
mentre i membri del comitato di sostegno scandiscono una delle sue frasi
simbolo, ormai trasformata in slogan: "la Tunisia è uno stato civile dove
le donne sono libere". Il verdetto sarà pronunciato il prossimo 26 luglio.
Nell'attesa, Amina torna ancora una volta in carcere.
All'uscita
dal tribunale i sentimenti sono contrastanti. Per alcuni, che considerano
positivamente l'impegno dei legali in difesa di Amina, prevale la speranza.
Altri pensano che si voglia a tutti i costi infliggere una punizione esemplare
alla ragazza, perché serva da esempio. Soprattutto, dal momento che Amina ha
scelto di attaccarsi ad un tema sensibile: le violazioni e gli abusi che ancora
vengono impunemente commessi in prigione.
La
madre non ce la fa a reggere ed è vittima di un mancamento. Il padre cerca di mostrare
ottimismo. "Ha davvero molto coraggio", afferma mentre si sta
avvicinando alla macchina. Ha apprezzato l'arringa degli avvocati, come del
resto la zia Asma, preoccupata però che la nipote non voglia calmarsi, nemmeno
dopo questo processo. "Temo che se non cambierà atteggiamento
continueranno ad accanirsi su di lei. In fondo è una ragazza fragile, non
bisogna dimenticare che ha solo 19 anni. Sarebbe bello poter festeggiare l'aid con lei".
Per
i parenti la giornata non è ancora finita. L'auto si dirige verso la prigione
di Messadine, a qualche km dal tribunale. Hanno portato un cesto con qualcosa
da mangiare e dell'acqua. Parcheggiata l'auto, il padre di Amina si incammina
con le provviste verso un gruppo di persone con panieri simili al suo. La sua
andatura è sicura, conosce la strada. Sono ormai due mesi che sua figlia è
rinchiusa in prigione.
*(Il tribunale di Msaken si è pronunciato nei giorni scorsi per un "non luogo a procedere" nei confronti di Amina, in relazione alla denuncia presentata dalle guardie e dal direttore della prigione per "oltreggio a pubblico ufficiale e diffamazione". La ragazza, tuttavia, resta in carcere in attesa del processo relativo agli 'eventi di Qairouan').
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