Ad
affermarlo è Ahmed Benchemsi, tra i più noti giornalisti del regno e
ricercatore a Stanford. Comparirà oggi (8 luglio, ndr) di fronte al tribunale di Parigi per
rispondere ad un'accusa di diffamazione, dopo la denuncia intentata da un
influente personaggio di corte per un articolo apparso su Le Monde. "Questo tipo di ritorsioni è il prezzo da pagare
quando si difendono valori che il sistema viola quotidianamente".
Trentanove
anni e una carriera brillante. Dopo le prime esperienze professionali trascorse
nelle principali redazioni nazionali (La
vie économique, Le Journal..) e
in qualità di corrispondente (Jeune
Afrique), Ahmed Benchemsi fonda nel 2001 il gruppo TelQuel - editore del
settimanale omonimo e della sua versione in darija (variante locale dell'arabo)
Nichane - di cui il giornalista è
stato direttore fino alla fine del 2010.
Pochi
mesi prima, infatti, durante una delle fasi più difficili vissute dalla stampa
indipendente nel paese (citazioni
in giudizio e boicottaggio pubblicitario avevano portato alla chiusura di
alcune tra le testate più apprezzate e "fastidiose", mentre i media
on-line erano appena agli inizi), la "censura soft" del regime si è
abbattuta proprio sul settimanale Nichane,
scomparso dalle edicole sotto il peso dei debiti accumulati.
Per
il vincitore del Premio Samir Kassir (2007), già vittima di pesanti condanne
pecuniarie e lunghi processi, arriva così il momento di cambiare. Lascia il
Marocco per gli Stati Uniti, dove ottiene un posto di ricercatore all'università
di Stanford (California). L'immersione nell'attività accademica non comporta,
però, la rinuncia di Benchemsi al suo primo amore. "Resto prima di tutto
un giornalista".
Vive
a distanza le "primavere" nordafricane, ma si schiera in prima linea
nel sostenere le manifestazioni pro-democrazia in Marocco. La comparsa del
Movimento 20 febbraio, il coraggio e la determinazione dimostrati dalle nuove
generazioni che scendono in piazza per denunciare un sistema di governo arcaico
e autocratico, sono espressione di quel "cambiamento di mentalità" a
lungo invocato dalle colonne dei suoi giornali.
In
quei mesi Benchemsi apre un blog,
moltiplica le collaborazioni con i media internazionali e getta le basi per il
progetto Free Arabs.
Proprio da una di queste collaborazioni, con il quotidiano Le Monde, nascono i problemi che vedono oggi il giornalista marocchino
dover rispondere ad una denuncia per diffamazione di fronte alla giustizia
parigina.
L'articolo
in questione
- "La grande corruption règne en maître au Maroc" - descrive un paese
"minato dai conflitti di interesse (…) dove i poteri forti godono della
complicità delle autorità elette e viceversa". A depositare la querela è
stato nientemeno che il secretaire
particulier del sovrano marocchino, Mounir Majidi: "l'uomo più
detestato dagli imprenditori […] per la concorrenza sleale che esercita in nome
del monarca e dei suoi interessi personali", scrive Benchemsi, che
nell'inchiesta documenta un grave episodio di malversazione - passato sotto
silenzio in patria - a beneficio di una delle società di cui è proprietario
Majidi.
Nonostante
il peso della minaccia, l'ex direttore di TelQuel si dice tranquillo - "vista
anche la garanzia di imparzialità fornita dal tribunale francese" - ed è
pronto a ribattere ad ogni accusa. Intervista ad Ahmed Benchemsi.
Khalid Gueddar |
Cominciamo dall'inizio.
Nel suo ultimo editoriale firmato per TelQuel, in data 25 dicembre 2010,
scriveva: "Me ne vado perché arriva un momento, nella vita di ognuno, in
cui bisogna saper prendere le distanze e osare verso nuove esperienze". Le
sue parole, al tempo, furono oggetto di qualche polemica e svariate
interpretazioni. Cerchiamo di fare chiarezza. La sua partenza dal Marocco, pochi
mesi dopo la chiusura del settimanale Nichane, può essere considerato un
"esilio volontario"?
In
un certo senso sì. La pressione cominciava a diventare troppo forte. Dopo il
triste epilogo di altre testate indipendenti (al-Jarida al-Oula, Le Journal
Hebdomadaire..), le autorità stavano puntando il mirino contro il gruppo
editoriale TelQuel, i segnali erano inequivocabili. Non volevo che il giornale
(TelQuel) subisse la stessa sorte di Nichane, vittima di un'asfissia
finanziaria programmata, così - per evitarlo - ho deciso di allontanarmi, anche
fisicamente. Molti pionieri della stampa marocchina avevano già abbandonato il
paese, lasciando dietro di loro un paesaggio mediatico sempre più sotto
controllo. Tra i direttori della mia generazione sono stato l'ultimo a partire.
Per uno come lei,
sempre in prima linea nella battaglia per il cambiamento e la democrazia, non è
stato frustrante partire proprio alla vigilia delle mobilitazioni, che anche in
Marocco - come in altri paesi della regione - hanno riempito le piazze per
diversi mesi del 2011?
Sì,
è stato davvero frustrante seguire le "primavere" da lontano, negli
Stati Uniti. Per fortuna sono tornato spesso in zona ed ho assistito alle
manifestazioni del 24 aprile in Marocco. E' vero, non avevo più una tribuna
settimanale per esprimermi sull'argomento, come con TelQuel, ma ho avuto modo di pubblicare molto sulla stampa
internazionale (Time, Le Monde, The Guardian..) ed il tempo di maturare analisi più approfondite su
quanto stava accadendo nel paese (la nascita del movimento di protesta 20
febbraio, la reazione del regime..). Analisi tradotte poi in contributi per
diverse riviste accademiche [segnaliamo l'articolo "Morocco: Outfoxing the
Opposition" per il Journal of
Democracy].
Molti contributi e
riflessioni sul contesto sociale e politico marocchino sono arrivati anche dal suo
blog. Come riassumerebbe gli ultimi due anni e mezzo, segnati prima dalla
protesta popolare e poi dal "processo di riforma" (nuova
costituzione, elezioni anticipate) intrapreso dalla monarchia? Scemata l'onda
del "20 febbraio", pensa che il regime si sia messo al riparo da
ipotetici scenari "rivoluzionari"?
Difficile
riassumere in poche righe quanto successo in Marocco dal 2011 senza correre il
rischio di semplificare troppo, e ancor peggio di banalizzare, la situazione.
Per tornare al blog, e favorire una migliore comprensione del contesto, segnalo
due articoli - Morocco's constitution: a royal trickery;
Feb20's rise and fall: a moroccan story
- che rispondono nel dettaglio alla sua domanda.
In
estrema sintesi, la monarchia marocchina è riuscita a guadagnare tempo con una
costituzione ingannevole che, nonostante le lodi tessute dentro e fuori dal
paese, non ha ridotto i poteri e il peso specifico del sovrano, come invece
chiesto dai manifestanti. D'altra parte in questi due anni il movimento 20
febbraio, che nel 2011 ha rappresentato una concreta speranza di cambiamento,
si è sgretolato a causa della fragile organizzazione (tra cui l'assenza di
figure di spicco e di un programma chiaro).
Ma,
al di là delle apparenze, la situazione non è affatto stabile.
Il
PJD [Partito della giustizia e dello sviluppo, di ispirazione islamica,
vincitore alle elezioni del novembre 2011, nda],
almeno con l'attuale leadership, non rappresenta una minaccia per il regime. Si
accontenta dello spazio che gli è stato concesso: può guidare formalmente il
governo, ma non mette in discussione l'autocrazia (direttive di Palazzo) e la
corruzione su cui si fonda il sistema. Se non cambierà linea (e dirigenti)
l'unico risultato che otterrà da questa prima esperienza all'esecutivo sarà
perdere credibilità e sostegno popolare, come già avvenuto con i colleghi
socialisti e nazionalisti che l'hanno preceduto.
Intanto
però, i motivi che avevano spinto migliaia di marocchini a scendere in strada -
giustizia sociale, equa ripartizione delle risorse, fine della corruzione e del
dispotismo delle autorità - restano più che mai d'attualità. E' solo una
questione di tempo, ma la gente tornerà a manifestare. Sarà difficile per la
monarchia, in quell'occasione, utilizzare una seconda volta il trucco della
costituzione per calmare gli animi.
Veniamo adesso alle
questioni di attualità, che la riguardano in prima persona: la querela per
diffamazione depositata contro di lei presso il tribunale di Parigi dal
segretario particolare del re Mounir Majidi. Sembra che lasciare il territorio
marocchino non le sia bastato ad evitare le ritorsioni del regime. Dopo i
processi in patria, adesso la inchiodano perfino in Francia… perché spingersi
così in là?
Non
troppo in là, visti i trascorsi passati e dalla loro prospettiva mi sembra una
mossa normale, prevedibile. Con la differenza, questa volta, che il processo si
svolgerà in un tribunale francese, per me garanzia di indipendenza. Trovarsi di
fronte a ritorsioni di questo tipo è il prezzo da pagare quando si difendono
valori che un sistema viola quotidianamente.
Mounir
Majidi mi accusa di diffamazione perché in un'inchiesta, pubblicata prima sul
blog
e
poi rielaborata per il giornale Le Monde,
ho denunciato il traffico di influenze esercitato attraverso la sua
"particolare" posizione. Il governo marocchino aveva in programma di
versare fondi pubblici ad una società privata appartenente al segretario del re
Majidi. Un genere di abusi piuttosto consolidato, risultato del matrimonio
malsano tra potere e gestione economica che non è più possibile ignorare (e che
alcuni giornalisti indipendenti avevano già provato a denunciare).
Quanto
al processo sono tranquillo e la mia linea difensiva è semplice: posso provare,
come ho già fatto nell'articolo, ogni cosa che ho scritto.
In base alla sua
esperienza, e considerando anche gli ultimi eventi che vedono il giornalista
Ali Anouzla vittima di un nuovo processo dopo aver pubblicato sul sito Lakome una critica aperta
al sovrano,
qual è la situazione della libertà di stampa e di espressione in Marocco?
Il
margine di manovra della stampa indipendente, oggi, è nettamente inferiore a
quello di dieci anni fa. Come illustrano bene le vicende dei settimanali Nichane e Le Journal Hebdomadaire, il Palazzo ha ripreso le redini del
settore appena ha capito che il tallone d'Achille dei giornali era il finanziamento.
La monarchia controlla - o condiziona - le grandi imprese, che danno linfa
vitale ai giornali attraverso le inserzioni pubblicitarie. Chi supera i limiti
consentiti, ne viene privato.
Sono
pochi oggi i supporti che continuano a battersi per conservare la propria indi
dipendenza. Tra questi TelQuel, ma è
soprattutto dalla stampa on-line che arriva il maggior soffio di libertà e
intraprendenza. Adesso, tuttavia, sembra essere arrivato il suo turno di
saldare il conto, lo dimostrano gli attacchi ad Ali Anouzla, a cui va tutta la
mia solidarietà
Il "maggior
inquadramento" dei giornali on-line sembra essere uno dei punti cardine
del nuovo Codice della stampa, in fase di revisione finale secondo quanto
annunciato dal ministro della Comunicazione. Tra le novità positive del testo,
sempre secondo le dichiarazioni ufficiali, si dice che verranno eliminate le
pene detentive attualmente in vigore per i giornalisti. Che cosa ne pensa?
Aspetto
di vedere il codice. Sono anni ormai che si parla di questa riforma e
l'esperienza mi ha insegnato a diffidare degli effetti annuncio.
Qualche mese fa Osservatorioiraq.it
si era soffermato sull'avvio della sua nuova iniziativa editoriale, il sito
Free Arabs. Come sta andando quest'esperienza?
Bene
direi, sia i collaboratori che i lettori sono in continuo aumento. Sto puntando
molto su Free Arabs che considero un secondo TelQuel, in rete e su scala internazionale. L'approccio è lo
stesso, un sito di informazione militante che difende i valori del secolarismo,
le libertà individuali e la creatività (satira..). Una battaglia estremamente
attuale nel mondo arabo.
Alla
caduta di ogni dittatura, le società coinvolte nei processi di transizione si
sono trovate di fronte al dibattito su come impostare il loro avvenire: secondo
i dettami dei valori religiosi o secondo i principi dei diritti umani
universali. I sostenitori del primo campo sono risultati più forti e meglio
strutturati e per i secondi c'è bisogno di maggior organizzazione e chiarezza
nelle rivendicazioni.
Free
Arabs è un progetto ambizioso, che andrà valutato sul lungo periodo. Di certo
in questa situazione mi sento più libero che in passato e non solo per il fatto
di trovarmi negli Stati Uniti piuttosto che in Marocco. Non ho più la
responsabilità di un intero gruppo editoriale e il futuro di decine di
dipendenti da salvaguardare. La nostra è un'impresa immateriale basata su
contributi e collaborazioni volontarie. La sola responsabilità che abbiamo è
quella di difendere le nostre idee. Questo senso di "leggerezza" non
ha prezzo.
Cosa le manca di più
del Marocco e di cosa, invece, fa volentieri a meno?
Sarò
scontato, ma a mancarmi di più sono la famiglia e gli amici, oltre alla vivacità
culturale e alla cucina locale. Cosa mi manca di meno? Il traffico e le lunghe
code di Casablanca [risata divertita, nda].
(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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