Ad Anfgou, villaggio berbero incastonato nel cuore del
Medio Atlante, le giornate si ripetono una identica all’altra. In questo angolo
remoto della cordigliera marocchina sembra che nulla possa turbare la quiete
dei montanari berberi che da secoli ne popolano il fianco.
Gli
abitanti sopravvivono dignitosamente nonostante i pochi mezzi a disposizione,
di media qualche capra e un modesto orticello, non curandosi troppo della
povertà che li circonda.
Mentre
il vento spazza la strada polverosa che separa le case dal ruscello, i bambini
aiutano le madri nelle faccende di casa. Provvedono al rifornimento dell'acqua
potabile, lavano i panni sporchi vicino alla sorgente e si prendono cura dei
lattanti. Le donne avvolte in vestiti e foulard colorati, raccolgono legna da
ardere nei dintorni del piccolo borgo.
Tra
i terreni coltivati a orzo sulla sponda del fiume, una ragazza raduna quello
che resta della mietitura. Dovrebbe avere sedici o diciassette anni, ma ne
dimostra una trentina. Scheletrica, il viso già solcato dalle rughe, gli occhi
stanchi e spenti. E' seguita da tre ragazzini. I suoi figli. Lavora da mattina
a sera e mangia poco. A vent'anni avrà probabilmente cinque o sei bambini. Ad
Anfgou non esistono strategie contraccettive, poiché lo Stato, che dovrebbe
promuoverle, è semplicemente assente.
E
le ong? Le associazioni femministe? No, Anfgou e i villaggi vicini non
rappresentano una priorità nemmeno per loro. Non destano interesse. Da queste
parti le ragazze si sposano presto e dopo un'infanzia fugace diventano subito
donne, madri.
Anche
i geli dell'inverno, da queste parti, non fanno sconti a nessuno.
Nel
gennaio del 2008 trentatre bambini, quasi tutti sotto i dieci anni, sono morti
a causa del freddo e della neve. L'intero Marocco fu toccato dalla tragedia e,
per qualche settimana, sul piccolo villaggio si accesero i riflettori dei
media.
Perfino
il sovrano poco tempo dopo si recò sul posto, per inaugurare la costruzione di
nuove infrastrutture (una strada, un ambulatorio mai entrato pienamente in
funzione e sprovvisto di medicinali, e una moschea), assicurando il suo impegno
per promuovere lo sviluppo della zona. Ma, superato il dramma e la commozione
iniziale, tanto le autorità quanto l'opinione pubblica hanno rapidamente
voltato pagina. Il villaggio è così ricaduto nel più completo isolamento e gli
abitanti hanno ripreso il ritmo aspro della quotidianità, senza che nulla sia
realmente cambiato.
In
più proprio in questi giorni, stando ad alcune dichiarazioni (non confermate)
rilasciate sul giornale on-line Hespress,
un nuovo dramma sembra aver scosso ancora la piccola comunità. Due neonati
sarebbero morti in seguito all'abbassamento improvviso delle temperature.
"Il freddo, questo filtro che attraversa la lunga notte come una
daga", ricordano alcuni versi composti dal poeta amazigh Omar Darouich in
memoria delle giovani vittime di Anfgou.
Un tesoro rubato
Eppure
su questi pendii - dove manca elettricità e acqua corrente in casa - si
nasconde un tesoro. Ma le autorità locali - a detta degli stessi abitanti - continuano
ad approfittarsi indisturbate della vulnerabilità di una popolazione dimenticata
e quasi interamente analfabeta.
I
boschi di cedri che circondano il villaggio sono infatti tra i più estesi di
tutto il Mediterraneo.
Sono
l'oro dell'Atlante marocchino.
Lo
sfruttamento del legname fattura all'incirca 10 milioni di euro ogni anno tra
il taglio, la vendita legale e il contrabbando. Una ricchezza che sembra
rispondere unicamente agli interessi dei responsabili di zona, i soli a trarne
profitto dal momento dell'indipendenza ad oggi. E questo nonostante un decreto
reale del 1976 stabilisca chiaramente che l'80% del ricavato debba essere
reinvestito nello sviluppo locale per togliere dalla miseria quelle persone che
lavorano nelle foreste ricevendo poco o nulla in cambio.
Ma
ad Anfgou quei soldi non si sono mai visti. Non c'è nemmeno un'ambulanza e la
mortalità infantile raggiunge livelli spaventosi. Quasi un bambino su cinque
non arriva all'età adulta, per la mancanza di assistenza in loco e la carenza
di trasporti verso le strutture ospedaliere (la più vicina si trova a Errachidia,
a 180 km di distanza), quando in molti casi basterebbe una semplice iniezione a
salvargli la vita.
Intanto
attorno ai boschi di cedri si è costruita una rete di corruzione e complicità,
che alimenta lo sfruttamento clandestino della risorsa, a cui nessuno è più
capace di far fronte. Chi ci ha provato è stato sbattuto in prigione. Atawi, un
giovane tecnico forestale, aveva deciso di rompere il silenzio e denunciare i
responsabili. Accusato di "attentare ai valori del regno", è stato
condannato a due anni di carcere.
"Per
ogni metro cubo di legname si possono ricavare fino a 800 euro", spiega
Asif, sulla cinquantina, tra i più attivi oppositori delle reti "mafiose"
che gestiscono il contrabbando. "I trafficanti effettuano i trasporti di
notte, per non dare nell'occhio. Se il taglio continuerà con il ritmo sfrenato raggiunto
in questi ultimi anni non avremo più legno nemmeno per costruire le nostre
case".
Assif,
assieme ad altri abitanti del villaggio, ha cercato di creare una cooperativa
"per togliere il controllo dei boschi e delle risorse dalle mani di questa
gente" e "per poter garantire un futuro alla foresta e ai nostri
figli". Dopo un lungo viaggio verso la capitale, qualche anno fa, ha
depositato il dossier al ministero.
Da
allora sta ancora aspettando una risposta…
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