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martedì 28 giugno 2011

Marocco: la rivoluzione non è nella costituzione

A tre giorni dal referendum, un’analisi del nuovo progetto presentato dal regime di Rabat come “la grande svolta democratica” del paese maghrebino. Il giurista Mohamed Larbi Ben Othmane ci guida nella lettura del testo che, al di là della "pubblicità ingannevole", non comporta il passaggio ad una monarchia parlamentare e non assicura la piena acquisizione degli standard democratici.

(di Jacopo Granci e Francesco La Pia. Una prima versione dell'articolo è disponibile sul sito Meridiani)

Alcuni "supporters del re" bloccano (con l'aiuto delle forze di polizia) la marcia del "20 febbraio" (circa 2 mila persone). Rabat, 26 giugno 2011


Venerdì 1° luglio si svolgerà, in Marocco, il referendum sulla proposta costituzionale presentata ufficialmente il 17 giugno scorso da Mohammed VI. L’intero arco politico presente in Parlamento (eccetto due partiti minori della sinistra radicale) ha prontamente appoggiato il progetto, mentre il Movimento 20 febbraio e le organizzazioni che lo sostengono hanno espresso il loro giudizio negativo, chiamando al boicottaggio della consultazione (per non legittimare il sistema in atto). I giovani dissidenti hanno detto no alla nouvelle constitution octroyée. No al suo contenuto (“una riforma cosmetica e insufficiente”), no al processo di confezionamento “anti-democratico” che l’ha partorita. La commissione Mannouni – nominata dal sovrano in seguito al discorso del 9 marzo e composta da tecnici e burocrati di comprovata fedeltà al regime – ha lavorato per tre mesi sostanzialmente a porte chiuse. Con essa si è voluta dare l'impressione di un ascolto degli attori politici e della società civile, inquadrato però in una logica di iniziativa reale, per cui la funzione degli interlocutori è stata meramente consultiva.
A primo impatto la nuova carta sembra apportare alcuni innegabili avanzamenti. Vi si riconosce – dopo l’arabo – la lingua amazigh come idioma ufficiale del regno (art. 5); il diritto di voto ai marocchini all’estero (art. 17) e “la volontà di raggiungere la parità tra uomo e donna” (come recita l’art. 19). La dissoluzione dei partiti politici può ora avvenire solo per via giudiziaria (art. 9) e non più su iniziativa dell’esecutivo; il potere legislativo del sovrano, che lo esercita tramite dahir (decreto reale), viene limitato ad alcuni ambiti espressamente definiti (art. 42). La persona del re non è più “sacra” ma resta inviolabile (art. 46) e viene vietata la transumanza politica dei parlamentari eletti (art. 61), un fenomeno comune negli ultimi anni, quando parte dei deputati hanno abbandonato i propri schieramenti politici per passare tra le fila del PAM (Partito dell’autenticità e della modernità, l’ultima formazione di regime creata nel 2008). Tuttavia, nonostante gli apporti positivi, restano vasti i poteri attribuiti al sovrano e centrale il suo ruolo decisionale nell’impianto istituzionale.
Le due settimane concesse alla popolazione per comprendere il testo appaiono insufficienti e gli organi di stampa nazionali ed europei non ne hanno finora offerto degli studi approfonditi, fatta eccezione, forse, per il settimanale francofono Tel Quel, che nell’introduzione all’articolo “Plus roi que jamais” si chiede: “per alcuni uomini politici si tratta di una «costituzione di transizione». Dicevano la stessa cosa dopo la riforma del 1996, durante il governo di alternanza e perfino al momento dell’ascesa al trono di Mohammed VI […]. Gli appuntamenti mancati con la storia cominciano a farsi numerosi. Il Marocco è per caso condannato a vivere in uno stato di «eterna transizione»?”.
Per il costituzionalista Mohammed Larbi Ben Othmane, direttore dell’Ecole de Gouvernance et Economie (EGE) di Rabat – con cui abbiamo cercato di analizzare nel dettaglio la nuova carta –, “la transizione politica, almeno quella fino ad oggi custodita nelle mani del Palazzo, può considerarsi conclusa. E il risultato non è il compimento della democrazia, ma la consacrazione costituzionale della «monarchia esecutiva», dove il sovrano regna e governa”. Secondo il professore, per un esame attento del progetto è necessario scindere il nuovo testo in due parti, a cui corrispondono due differenti valutazioni. La prima si focalizzata sui “Principi generali” (Titolo I) e sulle “Libertà e diritti fondamentali” (Titolo II, una novità rispetto al testo in vigore), mentre la seconda è incentrata sull’architettura istituzionale dello Stato e la ripartizione dei poteri (Titolo III – Titolo XIII).

“PROFESSIONE DI FEDE”
Secondo Larbi Ben Othmane, la prima parte del testo può essere definita una “professione di fede”, una dichiarazione d’intenti che propone un elenco “esaustivo” di principi, diritti e libertà. Ma, come ricorda il professore, “nella storia del Marocco post-indipendenza la professione di fede è diretta e corrente espressione della volontà del monarca, un atto privo di garanzie sulla futura applicazione”.
In effetti, gran parte delle libertà e dei diritti riconosciuti (tutela dei diritti fondamentali, libertà di espressione, riunione e di associazione, etc..) erano già presenti nel testo del 1996, ma nulla ne ha impedito la violazione nella generale impunità. Esempi recenti sono gli attacchi ripetuti alla libertà d'espressione (la condanna dei giornalisti Ali Lmrabet, Toufiq Bouachrine e in ultimo Rachid Nini, la chiusura del settimanale Le Journal Hebdomadaire e del quotidiano Al Jarida Al Oula), la repressione e i processi iniqui contro gli islamisti - o presunti tali - sospettati di terrorismo, la negazione dell’accesso pluralistico ai media, specie alla luce dell'attuale campagna referendaria dove televisioni, radio e giornali non danno spazio a chi rifiuta le concessioni monarchiche, e gli interventi violenti delle forze dell’ordine contro manifestazioni pacifiche (ben lontano dall’essere garantite).
Sotto questo aspetto, lo sforzo necessario ed imprescindibile secondo Ben Othmane è la “mise à niveau dell'ordinamento legislativo corrente”. Da una parte l'attuazione delle promesse, della “professione di fede”, attraverso l'approvazione di leggi organiche ad hoc per provvedere all’attuazione dei principi stabiliti (come il carattere ufficiale della lingua amazigh ed il funzionamento delle collettività locali), dall'altra la rielaborazione del corpus dei codici che non sono in linea con le libertà ed i diritti sanciti dalla carta costituzionale. Ad esempio il Codice penale ed il Codice della stampa. “Prendiamo il caso della sacralità del re. Il sovrano non è più riconosciuto come persona sacra (al contrario dell’art. 23 della costituzione in vigore), ma finora tutte le condanne per «attacco od offesa ad un membro della famiglia reale» non sono mai state emesse per inosservanza dell'articolo 23, bensì per le disposizioni contenute nei codici penale (artt. 163-180) e della stampa (art. 41). E’ lì che permane immutata la sacralità del monarca e, ancor più grave, di tutti i membri della famiglia reale”, afferma il giurista, ricordando quanto accaduto al caricaturista Khalid Gueddar nell’ottobre del 2009, condannato a quattro anni di carcere (con il beneficio della condizionale) per aver ritratto, in modo irriverente, il principe Moulay Ismail.

LA “PRODEZZA”
Come accennato in precedenza, in caso di approvazione della proposta costituzionale, l'architettura istituzionale del regno resterebbe intatta. “Presentare il testo come una svolta radicale rispetto al passato, quando in realtà il monarca non ha ceduto nulla delle sue prerogative, ma vede i suoi poteri rafforzati e meglio delineati, è quella che io definisco una «prodezza». In effetti la nuova carta dà l'impressione che l'organizzazione del potere sia mutata, ma a conti fatti il sovrano continua ad dirigere la vita politica, economica e religiosa del paese”.
Mohammed VI, “Capo dello Stato e suo Rappresentante supremo, Simbolo dell’unità della nazione, Garante della perennità e della continuità dello Stato, Arbitro supremo delle sue istituzioni” (art. 42), mantiene la presidenza del Consiglio dei ministri (art. 48), ha la facoltà di approvare le leggi (art. 50) e di emanare dahir. Nomina i ministri e può mettere fine alle loro funzioni (art. 47). Allo stesso modo, può sciogliere entrambe le camere del parlamento (art. 51) e dichiarare lo stato d’emergenza (art. 59). Il monarca resta al vertice degli apparati militari (art. 53) e referente di tutte le forze di sicurezza – polizia, polizia politica e servizi segreti – che operano nel regno (in quanto Presidente del Consiglio Superiore di Sicurezza, come stabilisce l’art. 54).
La nuova carta costituzionale, inoltre, conserva intatto il ruolo di “suprema guida religiosa” attribuito al monarca alawita (riconosciuto come discendente del profeta Mohammed) su volere del vecchio re Hassan II. In base all’art. 41, il sovrano è Amir Al Mouminine (Capo dei credenti) e presiede il Consiglio degli Ulama. Sopravvive in questo modo il vecchio art. 19, nel mirino delle contestazioni cominciate a febbraio, di cui negli anni passati è stato fatto un uso prettamente politico per imporre il volere reale e mettere a tacere le opposizioni (per esempio con la minaccia dell’allontanamento dalla Umma islamica). Del resto, la stessa Corte suprema (ora Corte costituzionale, di cui il re nomina la metà dei membri ed il presidente, art. 130) aveva stabilito in passato che “tutte le decisioni del re, in quanto Amir Al Muminine, non possono essere oggetto di nessun ricorso”.
Il professor Larbi Ben Othmane puntualizza quello che ritiene uno dei passaggi fondamentali nell'analisi del progetto. “Dalla sua ascesa al trono Mohammed VI ha fatto un uso dell’art. 19 ancor più considerevole rispetto ad Hassan II, come nella creazione dell'HACA (L’Alta Autorità sulle Comunicazioni e l’Audiovisivo) – avvenuta tramite dahir reale, senza alcun coinvolgimento del governo e del parlamento – e nella fase propositiva della Mudawwana (la modifica del codice di famiglia, poi ratificata dall'assemblea eletta nel 2004). Con il nuovo testo, l’art. 19 è stato scorporato in due articoli: il 41, tramite il quale il sovrano esercita in maniera diretta ed esclusiva tutte le prerogative religiose, ed il 42 che lo definisce Capo dello Stato e gli conferisce esplicitamente facoltà legislative. Quello che prima era vago e interpretabile, con la nuova formulazione formalizzato in modo chiaro e definito”.

GOVERNO: “UN'AUTO SENZA MOTORE”
Secondo l'interpretazione data dai principali mezzi d'informazione nazionali, nelle elezioni legislative – annunciate per il prossimo ottobre – sarà nominato Primo ministro il segretario del partito che uscirà vincitore dalle urne.
Tuttavia, la lettura dell’articolo 47 (nomina del Primo ministro, che assumerà il titolo di Capo del governo) data dal giurista Ben Othmane sottolinea la presenza di non poche ambiguità. Il re può scegliere e nominare il Capo del governo all'interno del partito vincente, ma questi non sarà obbligatoriamente il suo segretario. Inoltre, il sovrano farà la sua scelta in funzione “del risultato globale delle elezioni”. Con ogni probabilità, spetterà ancora una volta a Mohammed VI mettere insieme una maggioranza parlamentare, a proprio uso e consumo, che potrebbe escludere il partito con più seggi alla camera bassa. La composizione del governo resta quindi nelle sue mani, lasciando immutata quella discrezionalità reale che il nuovo testo si propone di abolire.
“Se ad esempio vincesse il PJD (Partito della giustizia e dello sviluppo), non è automatico che Benkirane (il segretario del partito) venga nominato a dirigere il governo, e se il PJD non può formare un'alleanza perché gli altri partiti rifiutano di partecipare ad una coalizione con a capo una forza islamista, il re può sceglierne una che lasci al margine il partito maggioritario proprio alla luce del risultato globale delle elezioni”, fa notare il costituzionalista. “Da qui si comprende l'importanza di questa piccola nota all’apparenza accessoria”.
In base all’articolo 92, poi, il Primo ministro presiede il Consiglio di governo, ma non il Consiglio dei ministri (presieduto dal re, art. 48), a cui vengono assegnate le competenze esecutive preponderanti, ad esempio l’orientamento della strategia politica dello Stato (art. 49). “Chiamare il Primo ministro Capo del governo e poi privarlo delle funzioni esecutive, di cui resta, nel migliore dei casi, semplice delegatario del Palazzo, è una truffa. Anche a questo mi riferisco quando parlo di «prodezza»”, è il commento inappellabile del nostro esperto.
Ulteriore segno della debolezza governativa lo troviamo nel titolo XII della nuova carta, dedicato alla “Bonne gouvernance”. In questa parte vengono elencate alcune istituzioni, definite “indipendenti”, che dovrebbero contribuire ad assicurare lo standard democratico del paese. L'articolo 159 le suddivide in tre categorie: protezione dei diritti e delle libertà, come nel caso del CNDH (Consiglio nazionale dei diritti umani) e dell'HACA; sviluppo umano, per esempio il Consiglio consultivo per la famiglia e l'infanzia; democrazia partecipativa, come nel caso del Consiglio della gioventù e delle azioni associative. I vertici di tali istituzioni, di carattere consultivo, vengono nominati direttamente dal re tramite dahir. Le loro competenze sfuggono all'esecutivo (comunicano i risultati delle loro azioni una volta all'anno in Parlamento) pur essendo a carico del budget governativo. Ben Othmane si chiede dunque “quali competenze abbia il governo ed in particolare il Primo ministro, dal momento che le funzioni nevralgiche, così come la supervisione delle istanze appena elencate, restano appannaggio del Capo dello Stato. Il Primo ministro potrà forse uscire dalle urne, ma è privato dei suoi pieni poteri, come un’auto sprovvista di motore”.

GIUSTIZIA: “POTERE INDIPENDENTE”?
Quanto all’amministrazione della giustizia, “l'autorità giudiziaria” sancita dal testo in vigore diventa a tutti gli effetti un “potere” (art. 56), definito “indipendente” (come del resto nella carta del ’96). Di conseguenza, l’attuale Consiglio superiore della magistratura si tramuta in Consiglio superiore del potere giudiziario. L’istanza, presieduta dal sovrano, oltre alla permanenza dei giudici eletti e dei supremi rappresentanti della magistratura, vede l'ingresso del presidente della CNDH, del Presidente della camera dei rappresentanti, e di cinque esperti scelti dal re.
Secondo Larbi Ben Othmane l'apertura del Consiglio segna un passo in avanti rispetto al passato, un passaggio positivo ma incapace di garantire l’indipendenza della giustizia. “Prima considerazione: la metà dei membri del Consiglio è nominata dal monarca, che per di più lo presiede. Lo stesso re designa poi i magistrati e ne determina le carriere. La seconda considerazione esula invece dall’analisi del testo. Nei tribunali del regno, infatti, colui che detiene la maggiore autorità è il procuratore, funzionario nominato direttamente dal ministro della Giustizia, come recita il codice penale. Occorre ora ricordare che il Ministero della Giustizia è uno dei cinque dicasteri detti «di sovranità», vale a dire alle dirette dipendenze del monarca”.
La questione dei ministeri di sovranità, così come nei testi precedenti, viene omessa dal nuovo progetto costituzionale. Storicamente, nella prassi politica del regno alawita, il monarca ha sempre avuto il diritto di nomina (e di revoca), indipendentemente dal mandato governativo, dei cinque ministri chiave (Interno, Difesa, Esteri, Giustizia e Affari Islamici) del suo gabinetto. Ad esempio Mohammed VI, nei suoi dodici anni di regno – in cui si sono susseguite tre legislature – ha sostituito sei ministri dell’Interno (da uno zelante Driss Basri, fedele servitore di Hassan II durante gli “anni di piombo”, all’attuale Taieb Cherkaoui, considerato un tecnocrate), mentre Ahmed Toufiq, ministro degli Habous e degli Affari Islamici, è in carica dal novembre 2002 (succeduto al ventennale Alaoui M’deghri). “Nemmeno in questo caso c’è da aspettarsi un vero cambiamento – rilancia il costituzionalista – del resto i ministri di sovranità, invenzione tipicamente marocchina, si possono leggere tra le righe del testo. Come dicevamo, l’articolo 41 assegna in maniera esclusiva il potere religioso al monarca. Dunque spetta a lui scegliere il ministro degli Habous che più gli piace. Stessa considerazione per l’articolo 54, in base al quale il re presiede il Consiglio superiore di sicurezza, al quale partecipano, oltre ai vertici degli apparati di polizia e dei servizi, i ministri dell’Interno, degli Esteri, della Giustizia e della Difesa. Queste persone devono godere della massima fiducia del sovrano, e non del popolo, per poter accedere ad un organismo di fondamentale importanza strategica e di controllo”.

“PUBBLICITA’ INGANNEVOLE”
Il costituzionalista francese Bernard Cubertafond, esperto di politica e diritto marocchino, ricordava nel suo testo La vie politique au Maroc (2001) come la carta fondamentale del regno, voluta da Hassan II e approvata nel 1996 con il 99,6% di consensi, abbia sancito la predominanza di una “sovra-costituzione, […] nocciolo duro su cui poggia la base autoritaria del regime, al fianco di una costituzione subordinata che regola il funzionamento delle istituzioni democratiche”. La “sovra-costituzione” di cui parla il giurista francese fa riferimento agli articoli 19 e 106 (“la forma monarchica dello Stato, così come le disposizioni relative alla religione musulmana, non possono essere fatte oggetto di una revisione costituzionale”) del testo in vigore, che assicurano il primato del sovrano, ponendolo al di sopra del dibattito politico e degli stessi organismi a carattere democratico (ad esempio la Camera dei Rappresentanti, eletta a suffragio universale, o in questo caso di un governo uscito dalle urne).
“Sono d’accordo con l’analisi di Cubertafond – asserisce il professor Ben Othmane – e sottolineo, sotto questo aspetto, la continuità tra il testo in vigore e quello presentato il 17 giugno, anche se più che di sovra-costituzione io parlerei di extra-costituzione. A margine della nuova carta c'è, ancora una volta, uno spazio decisionale e di controllo politico i cui attori – ovvero il sovrano – e le cui prerogative sfuggono alla costituzione per sua stessa ammissione, come dimostrano gli articoli 41/42 (ex art. 19) e 175 (ex art. 106). In altre parole, colui che detiene la sovranità e accentra su di sé tutti i poteri, compreso quello religioso, non deve rendere conto del suo operato né alle istanze elette né tantomeno al popolo”.
La nuova carta, dunque, è sprovvista dei tratti “rivoluzionari” ampiamente annunciati. Il progetto presentato lo scorso 17 giugno non rappresenta, in sostanza, una novità nella storia costituzionale del paese e sembra iscriversi, piuttosto, in una logica di conservazione del sistema in atto. Pur definendo quella marocchina una “monarchia costituzionale, democratica, parlamentare e sociale, […] fondata sulla separazione, l’equilibrio e la collaborazione dei poteri” (art. 1), non garantisce il rispetto delle prerogative enunciate.
Ciò nonostante, da dieci giorni a questa parte i giornali nazionali, oltre alle radio ed alle televisioni, diffondono appelli ininterrotti ed entusiastici a sostegno del plebiscito referendario (trasformato in un sondaggio di gradimento sulla figura del sovrano). Le copertine dei principali quotidiani lanciano ormai slogan (con titoli a caratteri cubitali) più adatti ad una tifoseria che a presunti organi di informazione: “Il progetto della nuova costituzione: la grande svolta democratica”, “Sì alla costituzione per consacrare l’indipendenza della giustizia”, “Sì alla costituzione per una monarchia parlamentare”, “Sì alla costituzione per costruire una società democratica”, “Sì, sì, sì…”. Perfino gli imam (che guarda caso fanno capo al Ministero degli Affari Islamici) durante la preghiera collettiva del venerdì hanno scandito a chiare lettere: “votare sì è un dovere religioso e nazionale”.
Per Mohammed Larbi Ben Othmane, “il modo in cui il nuovo testo è stato presentato dalla stampa nazionale (e straniera), ed enfatizzato dai partiti politici e dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali – che hanno aperto immediatamente la campagna referendaria per un “sì” cieco e ostinato, rinunciando ad un dibattito serio e approfondito sul progetto – è a tutti gli effetti una pubblicità ingannevole”. In queste condizioni, la sua approvazione è già un dato acquisito. Resta da verificare quale sarà la vera percentuale di coloro che, venerdì prossimo, decideranno di boicottare la consultazione. Per il momento, in ogni caso, il Marocco continuerà a reggersi su una monarchia costituzionale che, in base a quanto stabilito dalla stessa carta fondamentale, sembra gelosamente conservare i requisiti di una monarchia assoluta.

2 commenti:

Maurizio ha detto...

Ricorda per certi versi quelle costituzioni liberali del nostro Ottocento, con un esecutivo monarchico e un parlamento rappresentativo. Sarebbe interessante vedere il sistema delle riserve di legge, ovvero quali materie sarebbero riservate unicamente alla legge parlamentare e dunque precluse all'azione regolamentare del Re e del governo.

Jacopo G. ha detto...

Anche nel caso delle "riserve" è il sovrano ad approvare le leggi tramite dahir (decreto reale)- art. 50.