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mercoledì 25 settembre 2013

Marocco, dove la stampa diventa "terrorista"

Il tribunale ha formalizzato le accuse: "apologia del terrorismo", "incitamento e sostegno materiale all'esecuzione di atti terroristi". Bin Laden? No, Ali Anouzla, giornalista indipendente marocchino.

(Khalid Gueddar)



Che la libertà di espressione nella monarchia maghrebina, e ancor più quella di stampa, stia subendo negli ultimi anni dei bruschi contraccolpi è una constatazione evidente, testimoniata dalla chiusura forzata di alcune tra le maggiori testate indipendenti (Le journal hebdomadaire, Nichane, Al-Jarida al-Oula..), dai numerosi processi intentanti contro direttori e giornalisti (Akhbar al-Youm, Tel Quel, Khalid Gueddar, Ali Amar, Aboubakr Jamai..) e dalle pene detentive emesse dai tribunali al loro indirizzo (Ali Lmrabet, Rachid Nini).

"Questo tipo di ritorsioni è il prezzo da pagare quando si difendono valori che il [nostro] sistema viola quotidianamente", affermava di recente Ahmed Benchemsi, tra le penne marocchine più stimate e conosciute, riparato negli Stati Uniti (Università di Stanford) in seguito alle pressioni subite in patria.

L'informazione libera spaventa il regime di Rabat, che mal tollera critiche e dissenso e continua a imporre linee rosse stringenti (affarismo di corte e inviolabilità monarchica, islam, unità nazionale); è questa la conclusione a cui sono giunte le principali ong che si battono per la difesa dei diritti nel regno. Un assunto confermato dagli stessi professionisti del settore, che sempre più difficilmente tacciono di fronte alle minacce ed ai compromessi imposti.

Nonostante le "aperture" e la retorica riformista avviata a fine anni '90, infatti, le autorità sono riuscite ad imbrigliare il panorama mediatico nazionale, impedendogli di assumere il ruolo di garante dell'annunciata "transizione" e quella funzione di controllo del potere, sintomo della  salute di ogni democrazia (sia essa consolidata o in divenire). I canali televisivi restano di esclusivo monopolio statale, la comparsa delle radio private - seguita alla liberalizzazione dell'etere - è inquadrata da un'autorità di nomina politica (HACA), e il proliferare di titoli nelle edicole sembra ormai inversamente proporzionale alla qualità dei loro contenuti.

E' proprio la carta stampata ad aver offerto maggior resistenza all'addomesticamento, prima che il boicottaggio da parte degli inserzionisti pubblicitari e i verdetti dei tribunali - culminato nel "biennio nero" 2009-'10 - portassero al soffocamento (o alla revisione della linea editoriale) dei suoi elementi più insubordinati.

In queste circostanze, per molti giornalisti il passaggio al web si è rivelata una scelta obbligata. Così è stato, ad esempio, per Ali Anouzla, icona della stampa indipendente in Marocco e fondatore del sito di informazione Lakome.

"Dopo la fine di Al-Jarida al-Oula avevo bisogno di un spazio per continuare ad esprimermi […]. Non avevo i soldi per creare una nuova pubblicazione cartacea e la rete era il sistema più accessibile a livello economico oltre che il più affidabile per sfuggire alla censura", dichiarava Anouzla nel marzo del 2011, in piena "primavera", incarnata in loco dalle proteste del Movimento 20 febbraio contro l'autoritarismo e la corruzione.

"Da una parte a spingermi c'è l'amore per la professione, dall'altra è un modo per affermare: 'ci siamo ancora! Non sarà così facile ridurci al silenzio'. […] Il contesto in cui è nato il sito - la rivoluzione tunisina e poi quella egiziana - ha fatto di internet un mezzo privilegiato di comunicazione e di diffusione di notizie. E' stata un'occasione in più per veder valorizzato il nostro impegno".

La credibilità e il rispetto conquistato da personaggi come Ali Anouzla, il cui esempio è stato seguito da altri colleghi, hanno assicurato la buona riuscita del progetto. A Lakome e al già rodato Hespress si sono rapidamente aggiunte altre testate - Goud, Febrayer - e piattaforme di blogger (Mamfakinch) che hanno restituito, in rete, la professionalità e l'autonomia intellettuale scomparsa (salvo rare eccezioni) dalle edicole, raccogliendo un ampio numero di lettori.

"Sono pochi i supporti che oggi continuano a battersi per conservare la propria indipendenza - commentava nel luglio scorso Ahmed Benchemsi - […] ed è soprattutto dalla stampa on-line che arriva il maggior soffio di libertà e intraprendenza. Adesso, però, sembra essere arrivato il suo turno di saldare il conto".

Amara profezia. Come era prevedibile, l'esperienza dei quotidiani elettronici non ha suscitato soltanto l'interesse dei cittadini ma anche l'attenzione, e la reazione, delle autorità…


Il video di AQMI

Martedì scorso (17 settembre, nda) la Procura generale marocchina ha emesso un mandato di arresto all'indirizzo del "responsabile" del sito Lakome "in seguito alla diffusione di un video attribuito ad AQMI (Al-Qaida nel Maghreb islamico, nda) contenente un chiaro appello e un'incitazione diretta a commettere atti terroristi" nel regno alawita.

La stessa mattina gli agenti della polizia giudiziaria hanno prelevato Ali Anouzla dalla sua abitazione a Rabat e l'hanno condotto in carcere a Casablanca, dopo aver sequestrato computer, libri e documenti in casa del giornalista e nella sede della redazione.

Intitolato "Marocco: il regno della corruzione e del dispotismo", il filmato in questione - diffuso attraverso il canale web al-Andalus e visibile in tutte le principali piattaforme di condivisione (YouTube, Dailymotion) - include alcuni frammenti di inchieste e reportage sulle malversazioni nel regno che vedono implicate le alte sfere monarchiche, invitando poi i marocchini al jihad.

Il video era stato ripreso e commentato dalla versione francofona di Lakome pochi giorni prima della decisione del procuratore, mentre la versione arabofona del sito - quella sotto la responsabilità di Anouzla - aveva apposto un link al blog del giornalista spagnolo Ignacio Cembrero (El Pais), dove venivano riprodotte le immagini.

Aboubakr Jamai, direttore dell'edizione in francese e residente all'estero, non ha subito fino ad ora provvedimenti. Ali Anouzla invece, dopo una settimana di custodia cautelare, si è visto confermare ieri l'istanza di carcerazione ed è stato ufficialmente incriminato per "apologia del terrorismo" e "incitamento e sostegno materiale all'esecuzione di atti terroristi".

Le autorità, non potendo far leva sul codice della stampa (già in sé molto restrittivo quanto a libertà e diritti) contro gli autori di una pubblicazione on-line, hanno fatto ricorso ad uno strumento ancor più repressivo. La legge anti-terrorismo, infatti, riduce sensibilmente le garanzie dell'indagato (Ali ha potuto incontrare i suoi avvocati, per trenta minuti, solo quattro giorni dopo l'arresto) e prevede lunghe pene detentive.

"Anouzla - si domanda Pierre Haski nell'articolo "Minacciato da al-Qaida il regime marocchino si scaglia contro..la stampa" - ha oltrepassato una linea rossa oppure ha fatto solo il suo mestiere dando ai lettori un'informazione che peraltro era già abbondantemente disponibile in rete?".

"La pubblicazione del video di AQMI contribuisce all'informazione, i cittadini hanno il diritto di sapere che un'organizzazione terrorista minaccia i suoi dirigenti", rispondono i collaboratori di Lakome in un comunicato, citando poi i casi di numerosi media europei che ripropongono abitualmente questo genere di filmati, prendendo le distanze dal loro contenuto. La stessa constatazione è stata fatta da molti altri giornali, tra cui i maggiori titoli della stampa mondiale (The Washington Post, The Guardian, Le Monde, Al-Jazeera), che hanno reagito con stupore all'arresto di Anouzla.

Perché allora tanto accanimento?


Un giornalista "troppo libero"

La reazione delle autorità - spiega Haski dalle colonne di Rue89 - "mostra un evidente nervosismo nei confronti del messaggio di AQMI, che denuncia la ricchezza e lo stile di vita del sovrano marocchino, temi considerati tabù nel regno".

Tuttavia, per capire meglio cosa si nasconde dietro la vicenda, occorre scavare un po' più a fondo e chiedersi: chi è Ali Anouzla e cosa rappresenta nella storia del giornalismo indipendente in Marocco?

(Ali Anouzla nella redazione di Lakome)
A 49 anni, Ali non è nuovo alle ritorsioni del regime di Mohammed VI: convocazioni in commissariato, accuse e ingiurie per interposto mezzo stampa, processi e condanne a pesanti risarcimenti hanno accompagnato fin dall'inizio il suo percorso professionale, decretando in alcuni casi la fine di esperienze redazionali tra le più brillanti del panorama mediatico locale (è il caso del settimanale Al-Jarida al-Oula, di cui Anouzla è stato co-editore e direttore fino al 2010).

Alcuni colleghi lo avevano perfino soprannominato "il Julian Assange marocchino", quando nelle colonne del suo giornale erano apparse testimonianze inedite sugli "anni di piombo" (dura repressione degli oppositori sotto il regno di Hassan II, 1961-1999) catalogate top secret dall'Istanza Equità e Riconciliazione.

Più recentemente, dalle pagine del sito Lakome, aveva sostenuto le mobilitazioni pacifiche e democratiche del Movimento 20 febbraio, denunciando senza troppe reverenze la cooptazione della classe politica e le "riforme di facciata" (nuova costituzione, elezioni anticipate) con cui le autorità hanno risposto nel 2011 alle rivendicazioni sociali e politiche della piazza.

"Quello a cui ci troviamo di fronte oggi è una pura strumentalizzazione ai danni di Ali, che ha sempre criticato la natura dispotica e clientelare del sistema - riferisce il blogger Najib Chouki -. Basta vedere le reazioni immediate di certi partiti, noti per la loro sottomissione al makhzen (struttura di potere piramidale, costituita anche da reti informali, che ha al suo vertice la corte reale, nda), per capire che la deontologia c'entra ben poco. Si tratta di un chiaro regolamento di conti".

Il video di AQMI sarebbe dunque nient'altro che un espediente. La tempistica con cui è arrivato il provvedimento giudiziario sembra avvalorare le parole del blogger Chouki e le dichiarazioni analoghe rilasciate da molti altri professionisti del settore.

Negli ultimi mesi, infatti, Anouzla aveva suscitato più di un imbarazzo nelle alte sfere reali. In primis, chiedendo pubblicamente conto del continuo assenteismo monarchico in una fase di profonda crisi economica e politica del paese; poi ad inizio agosto, quando una sua inchiesta sulle grazie concesse da Mohammed VI in occasione della Festa del trono ha fatto scoppiare lo scandalo "Daniel Gate" (tra i graziati figurava un cittadino spagnolo più volte condannato per pedofilia), costringendo il sovrano a tornare sui propri passi di fronte all'indignazione popolare dilagante. Infine, l'ultimo articolo scritto da Ali prima dell'arresto, in cui il giornalista si sofferma largamente sulle ingerenze saudite nella regione mediorientale mettendo in guardia il Marocco da una rinnovata intesa con gli al-Saud, ormai tra i principali finanziatori delle casse del regno alawita.

"E' questa voce coraggiosa che si vuole zittire. In gioco c'è la dignità di tutti i marocchini, qualunque siano le loro opinioni", fa sapere Ali Sbai in un contributo intitolato "Ali Anouzla: un giornalista troppo libero ancora in prigione" apparso sul sito del Courrier International. "Si può non condividere il punto di vista di Lakome, ma il suo apporto nello sfatare tabù e nell'aprire le frontiere del dibattito a temi che toccano l'insieme della società rimane di capitale importanza nel cammino verso la libertà di espressione".


"Liberté pour Ali Anouzla", si moltiplicano le iniziative di solidarietà

L'arresto e l'incriminazione del fondatore di Lakome, così come la modalità in cui questo è avvenuto, hanno subito messo in allarme gli attivisti e i componenti più vigili della società civile, che hanno denunciato "l'ennesima deriva autoritaria del regime" in svariati comunicati e con l'organizzazione due manifestazioni, una a Casablanca di fronte alla sede della polizia giudiziaria e poi a Rabat di fronte al Ministero della Giustizia. Molti i colleghi presenti ai sit-in, assieme alle associazioni per la difesa dei diritti umani, avvocati, artisti, intellettuali, ex-detenuti e membri di alcuni movimenti politici di opposizione ("20 febbraio", partiti di sinistra radicale, islamisti di Giustizia e Spiritualità e militanti berberi).
(Manifestazione a Rabat)

Con il passare dei giorni e l'aggravarsi della situazione i messaggi di sostegno al giornalista e le richieste di scarcerazione si sono moltiplicate, in rete e di fronte ai consolati marocchini all'estero, mentre lo scorso 23 settembre si è riunito per la prima volta il "Comité national pour la liberté d'Ali Anouzla" che ha già in programma nuove iniziative.

"A che cosa serve essere un buon giornalista in Marocco?", domanda lo scrittore e drammaturgo Driss Ksikes, "a che cosa serve se la prigione o l'esilio sono le uniche prospettive di chi sogna di costruire una cittadinanza plurale, adulta e responsabile?".

"Strofiniamo gli occhi, ci diamo colpi in testa, ma resta ugualmente difficile da credere. Con simili capi d'accusa il makhzen non si lascia quasi nessun margine di manovra per fare dietrofront, con buona pace dell'opinione pubblica e dell'immagine offerta dal Marocco..", ha scritto Benchemsi sul suo profilo facebook, poche ore dopo la conferma dell'incriminazione da parte del procuratore. "Ali Anouzla è tra i pochi sopravvissuti all'era 2000 - continua l'ex direttore di Tel Quel - il decennio che ha visto nascere e scomparire una vera stampa indipendente nel paese. […] E' l'ultimo dei moicani, vittima di un sistema reso malato dall'assenza di contrappesi. Una ragione in più affinché tutti gli spiriti liberi lo sostengano, in maniera totale, ferma e incondizionata".

Sul piano nazionale, tuttavia, non sono soltanto gli slanci di solidarietà ad essere passati in primo piano. Alcune delle maggiori formazioni, storicamente integrate nella gestione del potere (e nella spartizione dei suoi benefici), hanno espresso apertamente la loro soddisfazione per l'arresto di Anouzla, arrivando perfino ad invocare una condanna esemplare. Emblematica anche l'attitudine mostrata dal PJD - il partito islamico a guida dell'esecutivo - che dopo la performance elettorale del 2011 e la conseguente investitura reale appare sempre più prono alle direttive di Palazzo. E' sui suoi dirigenti infatti, oggi ministri zelanti ma fino a pochi anni fa schierati in prima linea contro la repressione e per l'abolizione della legge anti-terrorismo (quando il partito era in odore di eresia), che ricade la responsabilità maggiore del calvario a cui sarà sottoposto il giornalista.

In attesa di sviluppi, la campagna per la liberazione di Anouzla sembra acquisire sempre più vigore anche sul piano internazionale. Amnesty International inizierà nelle prossime ore un "bombardamento" postale nei confronti dei ministri dell'Interno e della Giustizia marocchini per chiedere la scarcerazione immediata di Ali, considerato a tutti gli effetti un "detenuto d'opinione". La stessa richiesta, accompagnata da comunicati di condanna per la strategia di criminalizzazione del dissenso adottata da Rabat, è stata presentata nei giorni scorsi da oltre cinquanta organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, la Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH), Freedom House, Reporters sans frontières e il Commettee to Protect Journalists.

Si tratta di una mobilitazione indubbiamente notevole per la velocità con cui si è prodotta e per la convergenza degli attori coinvolti. Una mobilitazione che ricorda da vicino quella seguita alla chiusura, nel 2000, di altre tre redazioni divenute troppo scomode per il regime (Le Journal, Assahifa, Demain). In quell'occasione, la pressione esercitata sulle autorità e il clamore suscitato dalla vicenda costrinsero il primo ministro Youssoufi e un Mohammed VI da pochi mesi succeduto al vecchio padre Hassan II a fare marcia indietro, autorizzando i tre settimanali a tornare in edicola.

Tredici anni dopo, sebbene il trono e gli equilibri di potere siano ormai consolidati, il Marocco democratico (e non solo) spera che un simile epilogo possa ripetersi. Ali Anouzla, intanto, è stato trasferito dal commissariato di Casablanca alla prigione di Salé, dove ha appena trascorso la sua prima notte aspettando l'inizio del processo…


(Khalid Gueddar)

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