Il
tribunale ha formalizzato le accuse: "apologia del terrorismo",
"incitamento e sostegno materiale all'esecuzione di atti terroristi".
Bin Laden? No, Ali Anouzla, giornalista indipendente marocchino.
(Khalid Gueddar) |
Che
la libertà di espressione nella monarchia maghrebina, e ancor più quella di
stampa, stia subendo negli ultimi anni dei bruschi contraccolpi è una
constatazione evidente, testimoniata dalla chiusura forzata di alcune tra le maggiori
testate indipendenti (Le journal
hebdomadaire, Nichane, Al-Jarida al-Oula..), dai numerosi
processi intentanti contro direttori e giornalisti (Akhbar al-Youm, Tel Quel,
Khalid Gueddar, Ali Amar, Aboubakr Jamai..) e dalle pene detentive emesse dai
tribunali al loro indirizzo (Ali Lmrabet, Rachid Nini).
"Questo
tipo di ritorsioni è il prezzo da pagare quando si difendono valori che il [nostro]
sistema viola quotidianamente", affermava
di recente Ahmed Benchemsi, tra le penne marocchine più stimate e conosciute, riparato
negli Stati Uniti (Università di Stanford) in seguito alle pressioni subite in
patria.
L'informazione
libera spaventa il regime di Rabat, che mal tollera critiche e dissenso e continua
a imporre linee rosse stringenti (affarismo di corte e inviolabilità monarchica,
islam, unità nazionale); è questa la conclusione a cui sono giunte le
principali ong che si battono per la difesa dei diritti nel regno. Un assunto
confermato dagli stessi professionisti del settore, che sempre più difficilmente
tacciono di fronte alle minacce ed ai compromessi imposti.
Nonostante
le "aperture" e la retorica riformista avviata a fine anni '90,
infatti, le autorità sono riuscite ad imbrigliare il panorama mediatico
nazionale, impedendogli di assumere il ruolo di garante dell'annunciata "transizione"
e quella funzione di controllo del potere, sintomo della salute di ogni democrazia (sia essa
consolidata o in divenire). I canali televisivi restano di esclusivo monopolio
statale, la comparsa delle radio private - seguita alla liberalizzazione
dell'etere - è inquadrata da un'autorità di nomina politica (HACA), e il
proliferare di titoli nelle edicole sembra ormai inversamente proporzionale
alla qualità dei loro contenuti.
E'
proprio la carta stampata ad aver offerto maggior resistenza
all'addomesticamento, prima che il boicottaggio da parte degli inserzionisti
pubblicitari e i verdetti dei tribunali - culminato nel "biennio nero" 2009-'10 - portassero al soffocamento (o alla revisione della
linea editoriale) dei suoi elementi più insubordinati.
In
queste circostanze, per molti giornalisti il passaggio al web si è rivelata una
scelta obbligata. Così è stato, ad esempio, per Ali Anouzla, icona della stampa
indipendente in Marocco e fondatore del sito di informazione Lakome.
"Dopo
la fine di Al-Jarida al-Oula avevo
bisogno di un spazio per continuare ad esprimermi […]. Non avevo i soldi per
creare una nuova pubblicazione cartacea e la rete era il sistema più
accessibile a livello economico oltre che il più affidabile per sfuggire alla
censura", dichiarava Anouzla
nel marzo del 2011, in piena "primavera", incarnata in loco dalle
proteste del Movimento 20 febbraio contro l'autoritarismo e la corruzione.
"Da
una parte a spingermi c'è l'amore per la professione, dall'altra è un modo per
affermare: 'ci siamo ancora! Non sarà così facile ridurci al silenzio'. […] Il
contesto in cui è nato il sito - la rivoluzione tunisina e poi quella egiziana
- ha fatto di internet un mezzo privilegiato di comunicazione e di diffusione
di notizie. E' stata un'occasione in più per veder valorizzato il nostro
impegno".
La
credibilità e il rispetto conquistato da personaggi come Ali Anouzla, il cui
esempio è stato seguito da altri colleghi, hanno assicurato la buona riuscita
del progetto. A Lakome e al già rodato Hespress
si sono rapidamente aggiunte altre testate - Goud,
Febrayer - e piattaforme di blogger (Mamfakinch) che hanno restituito, in
rete, la professionalità e l'autonomia intellettuale scomparsa (salvo rare
eccezioni) dalle edicole, raccogliendo un ampio numero di lettori.
"Sono
pochi i supporti che oggi continuano a battersi per conservare la propria
indipendenza - commentava nel luglio scorso Ahmed Benchemsi - […] ed è
soprattutto dalla stampa on-line che arriva il maggior soffio di libertà e
intraprendenza. Adesso, però, sembra essere arrivato il suo turno di saldare il
conto".
Amara
profezia. Come era prevedibile, l'esperienza dei quotidiani elettronici non ha
suscitato soltanto l'interesse dei cittadini ma anche l'attenzione, e la
reazione, delle autorità…
Il video di AQMI
Martedì
scorso (17 settembre, nda) la Procura
generale marocchina ha emesso un mandato di arresto all'indirizzo del
"responsabile" del sito Lakome "in seguito alla diffusione di un
video attribuito ad AQMI (Al-Qaida nel Maghreb islamico, nda) contenente un chiaro appello e un'incitazione diretta a
commettere atti terroristi" nel regno alawita.
La
stessa mattina gli agenti della polizia giudiziaria hanno prelevato Ali Anouzla
dalla sua abitazione a Rabat e l'hanno condotto in carcere a Casablanca, dopo
aver sequestrato computer, libri e documenti in casa del giornalista e nella
sede della redazione.
Intitolato
"Marocco: il regno della corruzione e del dispotismo", il filmato in
questione - diffuso attraverso il canale web al-Andalus e visibile in tutte le
principali piattaforme di condivisione (YouTube, Dailymotion) - include alcuni
frammenti di inchieste e reportage sulle malversazioni nel regno che vedono
implicate le alte sfere monarchiche, invitando poi i marocchini al jihad.
Il
video era stato ripreso e commentato dalla versione francofona di Lakome pochi
giorni prima della decisione del procuratore, mentre la versione arabofona del
sito - quella sotto la responsabilità di Anouzla - aveva apposto un link al
blog del giornalista spagnolo Ignacio Cembrero (El Pais), dove venivano riprodotte le immagini.
Aboubakr
Jamai, direttore dell'edizione in francese e residente all'estero, non ha
subito fino ad ora provvedimenti. Ali Anouzla invece, dopo una settimana di custodia
cautelare, si è visto confermare ieri l'istanza di carcerazione ed è stato ufficialmente
incriminato per "apologia del terrorismo" e "incitamento e
sostegno materiale all'esecuzione di atti terroristi".
Le
autorità, non potendo far leva sul codice della stampa (già in sé molto
restrittivo quanto a libertà e diritti) contro gli autori di una pubblicazione
on-line, hanno fatto ricorso ad uno strumento ancor più repressivo. La legge anti-terrorismo,
infatti, riduce sensibilmente le garanzie dell'indagato (Ali ha potuto
incontrare i suoi avvocati, per trenta minuti, solo quattro giorni dopo l'arresto)
e prevede lunghe pene detentive.
"Anouzla
- si domanda Pierre Haski nell'articolo
"Minacciato da al-Qaida il regime
marocchino si scaglia contro..la stampa" - ha oltrepassato una linea
rossa oppure ha fatto solo il suo mestiere dando ai lettori un'informazione che
peraltro era già abbondantemente disponibile in rete?".
"La
pubblicazione del video di AQMI contribuisce all'informazione, i cittadini
hanno il diritto di sapere che un'organizzazione terrorista minaccia i suoi
dirigenti", rispondono i collaboratori di Lakome in un comunicato, citando
poi i casi di numerosi media europei che ripropongono abitualmente questo
genere di filmati, prendendo le distanze dal loro contenuto. La stessa constatazione
è stata fatta da molti altri giornali, tra cui i maggiori titoli della stampa
mondiale (The Washington Post, The Guardian, Le Monde, Al-Jazeera), che hanno reagito con stupore all'arresto di
Anouzla.
Perché allora tanto
accanimento?
Un giornalista "troppo
libero"
La
reazione delle autorità - spiega Haski dalle colonne di Rue89 - "mostra un evidente nervosismo nei confronti del messaggio
di AQMI, che denuncia la ricchezza e lo stile di vita del sovrano marocchino,
temi considerati tabù nel regno".
Tuttavia,
per capire meglio cosa si nasconde dietro la vicenda, occorre scavare un po'
più a fondo e chiedersi: chi è Ali Anouzla e cosa rappresenta nella storia del
giornalismo indipendente in Marocco?
(Ali Anouzla nella redazione di Lakome) |
A
49 anni, Ali non è nuovo alle ritorsioni del regime di Mohammed VI:
convocazioni in commissariato, accuse e ingiurie per interposto mezzo stampa,
processi e condanne a pesanti risarcimenti hanno accompagnato fin dall'inizio
il suo percorso professionale, decretando in alcuni casi la fine di esperienze
redazionali tra le più brillanti del panorama mediatico locale (è il caso del
settimanale Al-Jarida al-Oula, di cui
Anouzla è stato co-editore e direttore fino al 2010).
Alcuni
colleghi lo avevano perfino soprannominato "il Julian Assange
marocchino", quando nelle colonne del suo giornale erano apparse
testimonianze inedite sugli "anni di piombo" (dura repressione degli
oppositori sotto il regno di Hassan II, 1961-1999) catalogate top secret dall'Istanza
Equità e Riconciliazione.
Più
recentemente, dalle pagine del sito Lakome, aveva sostenuto le mobilitazioni
pacifiche e democratiche del Movimento 20 febbraio, denunciando senza troppe
reverenze la cooptazione della classe politica e le "riforme di
facciata" (nuova costituzione, elezioni anticipate) con cui le autorità hanno
risposto nel 2011 alle rivendicazioni sociali e politiche della piazza.
"Quello
a cui ci troviamo di fronte oggi è una pura strumentalizzazione ai danni di
Ali, che ha sempre criticato la natura dispotica e clientelare del sistema -
riferisce il blogger Najib Chouki -. Basta vedere le reazioni immediate di
certi partiti, noti per la loro sottomissione al makhzen (struttura di potere piramidale, costituita anche da reti
informali, che ha al suo vertice la corte reale, nda), per capire che la deontologia c'entra ben poco. Si tratta di
un chiaro regolamento di conti".
Il
video di AQMI sarebbe dunque nient'altro che un espediente. La tempistica con
cui è arrivato il provvedimento giudiziario sembra avvalorare le parole del
blogger Chouki e le dichiarazioni analoghe rilasciate da molti altri professionisti
del settore.
Negli
ultimi mesi, infatti, Anouzla aveva suscitato più di un imbarazzo nelle alte
sfere reali. In primis, chiedendo
pubblicamente conto del continuo assenteismo monarchico in una fase di profonda
crisi economica e politica del paese; poi ad inizio agosto, quando una sua
inchiesta sulle grazie concesse da Mohammed VI in occasione della Festa del
trono ha fatto scoppiare lo scandalo "Daniel Gate" (tra i graziati
figurava un cittadino spagnolo più volte condannato per pedofilia),
costringendo il sovrano a tornare sui propri passi di fronte all'indignazione
popolare dilagante. Infine, l'ultimo articolo
scritto da Ali prima dell'arresto, in cui il giornalista si sofferma largamente
sulle ingerenze saudite nella regione mediorientale mettendo in guardia il
Marocco da una rinnovata intesa con gli al-Saud, ormai tra i principali
finanziatori delle casse del regno alawita.
"E'
questa voce coraggiosa che si vuole zittire. In gioco c'è la dignità di tutti i
marocchini, qualunque siano le loro opinioni", fa sapere Ali Sbai in un contributo
intitolato "Ali Anouzla: un
giornalista troppo libero ancora in prigione" apparso sul sito del Courrier International. "Si può non
condividere il punto di vista di Lakome, ma il suo apporto nello sfatare tabù e
nell'aprire le frontiere del dibattito a temi che toccano l'insieme della
società rimane di capitale importanza nel cammino verso la libertà di
espressione".
"Liberté pour Ali
Anouzla", si moltiplicano le iniziative di solidarietà
L'arresto
e l'incriminazione del fondatore di Lakome, così come la modalità in cui questo
è avvenuto, hanno subito messo in allarme gli attivisti e i componenti più
vigili della società civile, che hanno denunciato "l'ennesima deriva
autoritaria del regime" in svariati comunicati e con l'organizzazione due
manifestazioni, una a Casablanca di fronte alla sede della polizia giudiziaria
e poi a Rabat di fronte al Ministero della Giustizia. Molti i colleghi presenti
ai sit-in, assieme alle associazioni per la difesa dei diritti umani, avvocati,
artisti, intellettuali, ex-detenuti e membri di alcuni movimenti politici di
opposizione ("20 febbraio", partiti di sinistra radicale, islamisti
di Giustizia e Spiritualità e militanti berberi).
(Manifestazione a Rabat) |
Con
il passare dei giorni e l'aggravarsi della situazione i messaggi di sostegno al
giornalista e le richieste di scarcerazione si sono moltiplicate, in rete e di
fronte ai consolati marocchini all'estero, mentre lo scorso 23 settembre si è
riunito per la prima volta il "Comité national pour la liberté d'Ali
Anouzla" che ha già in programma nuove iniziative.
"A
che cosa serve essere un buon giornalista in Marocco?", domanda
lo scrittore e drammaturgo Driss Ksikes, "a che cosa serve se la prigione o l'esilio sono
le uniche prospettive di chi sogna di costruire una cittadinanza plurale,
adulta e responsabile?".
"Strofiniamo
gli occhi, ci diamo colpi in testa, ma resta ugualmente difficile da credere.
Con simili capi d'accusa il makhzen
non si lascia quasi nessun margine di manovra per fare dietrofront, con buona
pace dell'opinione pubblica e dell'immagine offerta dal Marocco..", ha
scritto Benchemsi sul suo profilo
facebook, poche ore dopo la conferma dell'incriminazione da parte del
procuratore. "Ali Anouzla è tra i pochi sopravvissuti all'era 2000 -
continua l'ex direttore di Tel Quel -
il decennio che ha visto nascere e scomparire una vera stampa indipendente nel
paese. […] E' l'ultimo dei moicani, vittima di un sistema reso malato
dall'assenza di contrappesi. Una ragione in più affinché tutti gli spiriti
liberi lo sostengano, in maniera totale, ferma e incondizionata".
Sul
piano nazionale, tuttavia, non sono soltanto gli slanci di solidarietà ad
essere passati in primo piano. Alcune delle maggiori formazioni, storicamente
integrate nella gestione del potere (e nella spartizione dei suoi benefici),
hanno espresso apertamente la loro soddisfazione per l'arresto di Anouzla, arrivando
perfino ad invocare una condanna esemplare. Emblematica anche l'attitudine mostrata
dal PJD - il partito islamico a guida dell'esecutivo - che dopo la performance
elettorale del 2011 e la conseguente investitura reale appare sempre più prono alle direttive di Palazzo. E' sui suoi dirigenti infatti, oggi ministri zelanti ma fino
a pochi anni fa schierati in prima linea contro la repressione e per l'abolizione
della legge anti-terrorismo (quando il partito era in odore di eresia), che ricade
la responsabilità maggiore del calvario a cui sarà sottoposto il giornalista.
In
attesa di sviluppi, la campagna per la liberazione di Anouzla sembra acquisire
sempre più vigore anche sul piano internazionale. Amnesty International inizierà
nelle prossime ore un "bombardamento" postale nei confronti dei
ministri dell'Interno e della Giustizia marocchini per chiedere la
scarcerazione immediata di Ali, considerato a tutti gli effetti un
"detenuto d'opinione". La stessa richiesta, accompagnata da
comunicati di condanna per la strategia di criminalizzazione del dissenso adottata
da Rabat, è stata presentata nei giorni scorsi da oltre cinquanta
organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, la Federazione internazionale per i
diritti umani (FIDH), Freedom House, Reporters sans frontières e il Commettee
to Protect Journalists.
Si
tratta di una mobilitazione indubbiamente notevole per la velocità con cui si è
prodotta e per la convergenza degli attori coinvolti. Una mobilitazione che
ricorda da vicino quella seguita alla chiusura,
nel 2000, di altre tre redazioni divenute troppo scomode per il regime (Le Journal, Assahifa, Demain). In
quell'occasione, la pressione esercitata sulle autorità e il clamore suscitato
dalla vicenda costrinsero il primo ministro Youssoufi e un Mohammed VI da pochi
mesi succeduto al vecchio padre Hassan II a fare marcia indietro, autorizzando
i tre settimanali a tornare in edicola.
Tredici
anni dopo, sebbene il trono e gli equilibri di potere siano ormai consolidati, il
Marocco democratico (e non solo) spera che un simile epilogo possa ripetersi. Ali
Anouzla, intanto, è stato trasferito dal commissariato di Casablanca alla
prigione di Salé, dove ha appena trascorso la sua prima notte aspettando
l'inizio del processo…
(Khalid Gueddar) |
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