Oggi
(17 aprile, ndr) gli algerini sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo Presidente della
Repubblica. Il risultato appare scontato, con Abdelaziz Bouteflika che
succederà a se stesso. Intanto si è chiusa una campagna sterile, segnata dallo
strapotere dello staff presidenziale, dalla retorica populista dei candidati e
dall'indifferenza di un elettorato che ha espresso ripetutamente il suo
dissenso nei confronti di quello che considera 'un gioco delle parti'. Sul
paese restano le ombre pesanti di un sistema politico chiuso e di un futuro
economico ancora interamente legato alla rendita petrolifera, destinata ad
estinguersi.
E'
evidente, gli algerini non credono che lo scrutinio di oggi potrà cambiare gran
ché nella gestione del potere politico - opaco, sfuggente - né in quella dei
lauti introiti petroliferi che alimentano il gioco della rappresentanza e
servono ad acquistare la pace sociale nei momenti in cui la rabbia e la hogra prendono il sopravvento (come nei
primi mesi, caldi, del 2011 con lo sbocciare delle "primavere").
Infatti, quella chiusa
domenica scorsa, è stata una campagna incolore, monotona e poco partecipata,
come ormai succede ad ogni votazione da oltre un decennio a questa parte.
Del
resto, l'idea di un cambiamento possibile per vie elettorali era tramontata già
negli anni novanta, con il colpo di Stato militare anti-Fis, le
violenze/regolamenti di conti che ne sono conseguiti (oltre 200 mila morti) e
la salda tenuta delle alte sfere dell'esercito dietro alla ripresa del
paravento democratico.
La "campagna dello
struzzo"
Nessuno
stupore, dunque, di fronte al generale disinteresse mostrato dalla popolazione
in queste settimane di comizi, meeting e conferenze. A parte le manifestazioni
di protesta contro il quarto mandato Bouteflika e gli inviti al boicottaggio
della consultazione ad opera di gruppi dissidenti, tra cui il sempre più attivo
movimento Barakat ("Basta!").
La campagna elettorale
è semmai servita a ribadire il sentimento di impotenza dei cittadini e la
percezione che i giochi siano chiusi in partenza.
Nessuno
tra gli sfidanti del Presidente in carica ha osato evocare problematiche
scomode, sebbene di primaria importanza per il paese, come la corruzione - che
ha segnato i quindici anni di "regno Bouteflika" con picchi
considerevoli durante l'ultimo mandato - il ruolo dell'esercito, con i suoi
condizionamenti e le sue interferenze nella vita politica e istituzionale, e la
necessità di una riconversione economica che faccia uscire le casse dello Stato
dalla (quasi) totale dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi.
Una
"campagna dello struzzo", insomma, durante la quale "l'Algeria
sembra essere tutt'altro paese rispetto alla realtà", afferma il
giornalista Amel Berkam. Realtà che vede la disoccupazione giovanile
stabilmente sopra al 30%, larghe frange della popolazione toccate
dall'emergenza casa e dalla mancanza di infrastrutture primarie.
Per sopperire allo
scarso entusiasmo suscitato dai dibattiti pre-elettorali, negli ultimi giorni i
candidati hanno alzato i toni del confronto lanciandosi in reciproche accuse e
invettive.
Qualche
esempio. Ali Benfils, un prodotto dello stesso apparato (Fln, ex partito unico
e prima forza in Parlamento) che oggi sostiene incondizionatamente Bouteflika,
e suo principale concorrente, ha messo in guardia da possibili irregolarità
durante lo scrutinio, minacciando di scendere in strada se i risultati verranno
ritoccati. Il presidente - che ha disertato la campagna a causa della malattia,
limitandosi a fugaci apparizioni in tv - gli ha risposto senza mezzi termini accusandolo
di "terrorismo".
Uno scambio di
"cortesie" creato ad arte per dare una parvenza di credibilità alla
consultazione. E' questa l'opinione più diffusa tra i cittadini, riporta Le Quotidien d'Oran, che invece
sottolineano l'effettiva convergenza tra i vari attori in scena, tutti debitori
- a vario titolo (ex premier, capi di partito) - di un sistema sull'orlo
dell'implosione.
"Tra
i candidati c'è chi ammette che il 17 aprile vi saranno frodi - definite
candidamente 'sport nazionale' - e ciò nonostante invita gli elettori a non
disertare le urne […]. Si tratta di un messaggio contraddittorio, che rafforza
il pensiero in voga secondo cui queste persone avrebbero accettato di
presentarsi ad un'elezione pur sapendo che il risultato è già confezionato,
poiché deciso dal sistema di cui fanno parte".
Il
risultato in questione, ovviamente, è la riconduzione alla presidenza di Abdelaziz
Bouteflika - malgrado l'età e le pessime condizioni di salute - come male
minore per gestire i conflitti di potere dietro le quinte e per dare un segnale
di continuità, elevata a sinonimo di stabilità.
Censura e chkara
A
prescindere da quello che potrà accadere nella giornata di oggi, quanto a
ritocchi e irregolarità, già il periodo della campagna è stato caratterizzato
da abusi e violazioni, segnalate - tra gli altri - da un duro comunicato
dell'ong Amnesty International.
"La
repressione condotta in questa fase preelettorale rivela le 'enormi lacune' che
gravano sul bilancio del rispetto dei diritti umani in Algeria - si legge nel
testo -. La libertà di espressione, di associazione e di riunione è
costantemente minacciata, il diritto a manifestare è limitato e le ong restano
immerse in un limbo giuridico. Inoltre, i gruppi di difesa dei diritti umani e
gli inviati delle Nazioni Unite non sono i benvenuti, mentre gli attivisti e i
sindacalisti indipendenti subiscono attacchi continui, per stemperare tensioni
e malcontento di piazza".
Nelle
ultime settimane la televisione privata Al Atlas TV, colpevole di aver
criticato le autorità, è stata costretta alla chiusura. Djazair TV ha subito,
per lo stesso motivo, una limitazione delle frequenze, mentre i giornali Algérie News e Djazair News, per aver ospitato la conferenza stampa del movimento
Barakat, si sono visti privare degli introiti pubblicitari gestiti dall'agenzia
statale di settore.
Stando alla
legislazione in vigore infatti, solo i media pubblici - schierati apertamente a
favore della rielezione di Bouteflika - possiedono una licenza di diffusione
senza restrizioni, mentre ai canali privati vengono concesse licenze temporanee
che possono essere revocate in ogni momento e la stampa indipendente sopravvive
a stento con lo spettro del boicottaggio pubblicitario.
"Le
autorità si sono adoperate per controllare la narrazione della campagna
elettorale, facendo valere il loro monopolio sui canali di espressione e
limitando fortemente la libertà in questo campo. L'assenza di un vero dibattito
pubblico e le restrizioni al diritto di critica e di protesta per esprimere
rivendicazioni sociali o esigenze politiche adombrano più di un sospetto sulla
regolarità di questa elezione", afferma Nicola Duckworth, responsabile
Amnesty per il paese.
Come
se non bastasse, diversi giornalisti e attivisti internazionali per i diritti
umani non sono riusciti ad ottenere il visto di ingresso per coprire la
chiusura della campagna e lo svolgimento delle operazioni di voto, mentre più
di una voce si è levata a denunciare la prassi della chkara, i fondi neri versati da lobby e uomini d'affari che
avrebbero finanziato - con circa un milione di euro - la marcia di reinsediamento
alla Mouradia di Bouteflika.
Dissenso, cittadinanza
e futuro
Nonostante
le minacce, la stretta sorveglianza e gli arresti preventivi che avevano
colpito le frange dissidenti nei giorni scorsi, gli oppositori al quarto
mandato del Presidente - e, più in generale, all'intero sistema di potere - non
hanno rinunciato ad esibire il loro disappunto nei confronti dell'imminente
"mascherata elettorale".
Ieri
pomeriggio gli attivisti del movimento Barakat hanno indetto un sit-in di
fronte alla sede dell'università, nel cuore della capitale. La protesta è stata
smorzata sul nascere - come sempre succede ad Algeri, dove persiste da oltre
vent'anni il divieto di manifestare - dall'intervento violento degli agenti,
che ha coinvolto anche alcuni giornalisti (algerini e stranieri) accorsi in
loco per documentare l'evento.
Il
giorno prima, le principali città della Cabilia - regione berberofona tradizionalmente
ostile al governo - avevano ospitato migliaia di dimostranti scesi in strada
per commemorare l'anniversario della "primavera berbera" (1980) e per
incitare al boicottaggio della consultazione.
Il tasso di affluenza
alle urne, in effetti, potrebbe rappresentare l'unica vera sfida di questa
tornata elettorale. Una bassa partecipazione al voto sancirebbe in modo
definitivo il distacco tra le elite (militari e politiche) al comando e la
popolazione, ma anche in questo senso gli oppositori temono un attento maquillage da parte degli influenti
servizi di sicurezza (Drs).
"Non
recarsi ai seggi significa tradire la memoria dei martiri della liberazione"
è la retorica sciorinata a tamburo battente, non a caso, da tutti i candidati.
"Voi l'avete già tradita da tempo!", ribattono a colpi di comunicati
i militanti di Barakat. "Votare significa esercitare a pieno il proprio
diritto di cittadinanza", insistono Bouteflika e compagni. "Per loro
siamo sudditi, si ricordano di governare dei cittadini solo in queste squallide
occasioni", contrattaccano i dissidenti, che hanno annunciato
l'interruzione delle mobilitazioni per questo 17 aprile, giornata di
"lutto nazionale".
Cosa succederà, invece,
a partire da domani?
In
attesa dei primi risultati, sono in molti a chiederselo. Barakat sembra avere
le idee chiare in proposito: "le dimostrazioni pacifiche continueranno, la
tornata elettorale è servita ad unire le forze del cambiamento e a condensare
malessere e frustrazioni che non spariranno di certo con la chiusura dei seggi",
dichiara a Osservatorioiraq.it Amira
Bouraoui, portavoce del movimento.
La
prospettiva di un rafforzamento della contestazione, piuttosto che di un suo
lento estinguersi a scrutinio avvenuto, si sta ritagliando sempre più spazio
tra i pensieri e le inquietudini delle autorità - che già promettono ritorsioni
contro i "sabotatori" - e di una parte della popolazione.
"La rivolta è
presente negli animi e a tutte le latitudini - ricorda il giornalista Fella
Bouredji nell'articolo Cinq façons
d’étouffer la révolte algérienne - anche se chi la manifesta in strada lo
fa in modo sparso e non coordinato, dando l'impressione di un disordine
minoritario".
Il
potenziale esplosivo è enorme, come si era già percepito durante la
sollevazione "dell'olio e dello zucchero" nel gennaio 2011, a seguito
di un aumento del prezzo delle merci. Così, se al dissenso politico si sommano
le migliaia di proteste sociali, di scioperi registrati nel corso degli ultimi
anni, l'ipotesi di una nuova "primavera" in versione locale non è da
scartare del tutto, nonostante le ferite ancora aperte lasciate da un passato
di violenze troppo recente.
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