Arrêt sur image

mercoledì 16 marzo 2011

La sacralità della monarchia marocchina è un freno al processo democratico

In un momento in cui molto si dicute in Marocco a proposito di costituzione, della sua riforma e del rapporto tra monarchia e democrazia, ecco un articolo estremamente interessante pubblicato ieri da Ahmed Benchemsi sulle colonne di Le Monde (di seguito tradotto in italiano). Benchemsi, direttore del settimanale francofono Tel Quel fino al dicembre 2010 e attualmente ricercatore all’università di Stanford, analizza le contraddizioni e le ambiguità del discorso pronunciato da Mohammed VI il 9 marzo scorso, focalizzando la sua attenzione sul carattere divino del potere del sovrano alawita, un elemento inconciliabile con la natura della pratica democratica in qualsiasi forma di Stato essa sia concepita.




Benchemsi riconosce tuttavia l’importanza del discorso del re, sintomo di un evidente mutamento dei rapporti di forza che legano Mohammed VI al popolo marocchino, fino ad ora suddito e non cittadino: dopo il 20 febbraio “il muro della paura è crollato” – scrive il giornalista – “il vaso di Pandora della democrazia si è aperto e nessuno potrà chiuderlo di nuovo”. Il sovrano dovrà risolvere in fretta le sue contraddizioni (su cui la commissione reale per la riforma della costituzione non ha facoltà di intervento!), dovrà scegliere tra la sacralità del suo potere o la democrazia, tra la repressione violenta delle contestazioni (un primo assaggio si è già avuto domenica scorsa a Casablanca) o il riconoscimento della maturità di un popolo che chiede il diritto legittimo di poter decidere il proprio destino. Domenica 20 marzo, giornata di mobilitazione nazionale annunciata dal Movimento 20 febbraio e “giorno della dignità”, sarà l’occasione per cogliere una prima risposta…

Ahmed Benchemsi nella redazione di Tel Quel/Nichane

Sì, il discorso pronunciato da Mohammed VI il 9 marzo è storico. Ma non perché annuncia una riforma della costituzione. Se questo discorso passerà alla storia è perché pronunciandolo, il re del Marocco ha ceduto ad un nuovo rapporto di forza. Dal raggiungimento dell’indipendenza (1956), è la prima volta che questo succede in modo così evidente. E’ l’annuncio, in ogni caso, di un nuovo corso della storia nazionale.

Il braccio di ferro era cominciato il 20 febbraio. In risposta all’appello lanciato su Facebook da un gruppo di giovani attivisti, 120 mila marocchini (secondo gli organizzatori il numero si eleva a circa 300 mila partecipanti, ndt) erano scesi in piazza in cinquantatre città e villaggi del regno per reclamare, tra le altre rivendicazioni, una costituzione democratica.
Temendo un contagio delle rivoluzioni arabe, il regime non era intervenuto per impedire le manifestazioni (Benchemsi omette le gravi repressioni registrate a Tangeri, Marrakech, Fes, Al Hoceima, Sefrou, Guelmim, Kenitra, Rabat nel corso della prima e della seconda settimana di mobilitazioni, ndt). Risultato: i manifestanti hanno preso coscienza del loro numero e il muro della paura è crollato. Da allora, a colpi di sit-in spontanei in ogni angolo del paese e di commenti accalorati nella stampa e su internet, la pressione democratica non ha fatto che aumentare. Considerevole in febbraio, è diventata insostenibile in marzo. Mercoledì 9, il re è dunque apparso in televisione per annunciare una riforma spettacolare della costituzione. In cantiere: “lo stato di diritto”, “l’indipendenza della giustizia” e un “governo eletto scaturito dalla volontà popolare espressa dalle urne”. Vittoria della democrazia? Non è così semplice…
Analizzando il discorso, si scopre che il diavolo si nasconde proprio nei dettagli. Infatti, il sovrano ha promesso di “rafforzare lo statuto del primo ministro” non in quanto titolare “del” potere esecutivo, ma di “un” potere esecutivo. Ciò significa che ci sarà allo stesso tempo un altro potere esecutivo, quello del Palazzo reale per esempio. Riforma costituzionale o no, la “monarchia esecutiva” (l’espressione è dello stesso Mohammed VI) sembra voler continuare ad usurpare le prerogative del governo eletto. E’ come se voi pestate il piede di qualcuno e, invece di fare un passo indietro, promettete di acquistargli delle scarpe nuove…
E’ evidente che il problema non sono i poteri del primo ministro ma quelli del monarca, più precisamente il loro risvolto spirituale, unito al fatto che l’islam resta la religione di Stato in Marocco. E su questi poteri in particolare, Mohammed VI ha annunciato chiaramente il 9 marzo che non ci potrà essere alcun dibattito. Secondo l’articolo 19 della costituzione, il re è “comandante dei credenti” e, secondo l’articolo 23, la sua persona è “sacra e inviolabile”. Per concludere in bellezza, l’articolo 29 gli conferisce il diritto di governare emanando dei dahirs, decreti reali con valore di legge e non sottoponibili a ricorsi o modifiche. Per essere più semplici : in nome dell’islam, il re del Marocco può fare tutto ciò che vuole senza che nessuno abbia facoltà di opporsi. Nel 1994, il defunto Hassan II aveva giustificato questo ineguagliabile meccanismo politico-religioso (di cui è l’artefice) citando il Profeta Mohammed: “chi mi obbedisce, obbedisce a Dio e chi mi disobbedisce, disobbedisce a Dio”. Difficile essere più chiari…
La democrazia presuppone che i responsabili del potere rendano conto a chi li ha investiti. Lo ha detto lo stesso Mohammed VI. Solo che questa disposizione è valida per tutti, tranne che per lui. Andate voi a domandare dei conti al “rappresentante di Dio in terra”, come recita il giuramento di fedeltà da osservare al momento dell’investitura del sovrano. A pregiudicare seriamente la portata della riforma annunciata, c’è poi un altro fattore: l’identità di coloro a cui spetta metterla in opera. L’indomani del suo discorso, il re ha designato una commissione incaricata della revisione della costituzione formata, a parte una o due eccezioni (su diciotto membri), da alti funzionari e servitori del regime, di certo non noti per la loro indipendenza. Il presidente della commissione, Abdeltif Menouni (67 anni), fa parte della generazione di giuristi reclutata negli anni ottanta da Driss Basri, l’ex uomo forte del regime (ministro dell’Interno fino al dicembre 1999, ndt), per giustificare il dispotismo di Hassan II. Esperto in diritto costituzionale, Menouni si è rivelato ben dotato nell’esercizio delle sue facoltà. Così interpretava qualche anno fa la nozione di “prerogative reali”, riferendosi alla struttura legale marocchina: “il potere discrezionale del monarca di agire per il bene dello Stato in assenza di disposizioni costituzionali o attraverso l’interpretazione personale di quest’ultime”. E’ difficile immaginarlo oggi, all’apogeo della sua carriera, decostruire queste “prerogative” autocratiche che lui stesso ha delineato.
Con il suo discorso ambiguo e la sua commissione sinceramente poco credibile, Mohammed VI si è messo in grande difficoltà. Quale che sia il contenuto del progetto finale della nuova costituzione, ci dovrà essere l’avallo del referendum popolare. Anche solo per questo, il re sarà obbligato ad aprire il sistema in un modo o nell’altro. Il semplice fatto di accettare che i sostenitori del “no” possano esprimersi liberamente nei media pubblici (secondo quanto affermato nel discorso del 9 marzo, ndt), servirà ad indebolire il concetto, tuttora ritenuto intoccabile, della sacralità reale. Come concepire che dei marocchini possano rifiutare un testo proposto dal “comandante dei credenti”? Messa sotto pressione dalla piazza, la monarchia si sta scontrando con la sua contraddizione più grande: sarà costretta a scegliere tra la democrazia e la sacralità.
Cosciente delle profonde implicazioni politiche sollevate, la piazza attende dei segnali tangibili di cambiamento. Su questo piano, la repressione del sit-in pacifico a Casablanca il 13 marzo scorso non ha fatto che aumentare i dubbi. Perché tanta violenza pochi giorni dopo che il re ha promesso la democrazia? Non era sincero? Tutti gli sguardi sono ormai puntati su domenica 20 marzo, data annunciata per le prossime manifestazioni di massa. Lo Stato non sembra più avere via d’uscita. Se sceglie di gettare la maschera reprimendo brutalmente la folla, il rischio di un’escalation è enorme. Lo stesso re, probabilmente, non sarebbe più risparmiato dai manifestanti, e si aprirebbe uno scenario all’egiziana. Se, al contrario, lo Stato allenterà la morsa mantenuta fino ad ora e lascerà le manifestazioni svolgersi senza ostacoli, ciò incoraggerà il popolo a continuare la mobilitazione e ad intensificare la pressione sulle massime autorità.
Prima o poi Mohammed VI sarà costretto a fare altre concessioni e soprattutto a risolvere le sue contraddizioni. In quale momento e fino a che punto è difficile da predire, tanto la situazione è instabile e incerta… Ma una cosa è sicura: il vaso di Pandora della democrazia si è aperto e nessuno potrà chiuderlo di nuovo.
(Ahmed Benchemsi, 15 marzo 2011)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

interessante, complimenti e grazie, giuseppe genova

Anonimo ha detto...

ciao Jacopo,
il tuo blog (l'ho scoperto qualche giorno fa) è davvero prezioso, anche perchè in Italia pare che in Marocco non succeda niente, a guardare la stampa e la tv.

gianni tosetti (Firenze)