Nadia
Khiari è una disegnatrice e pittrice tunisina, insegnante all'Istituto di Belle
Arti di Tunisi e direttrice di una galleria artistica. Il suo personaggio, il gatto Willis
from Tunis, è nato il 13 gennaio 2011, durante l'ultimo discorso tenuto dall'ex
presidente Ben Ali poco prima della fuga. "Ci prometteva di concedere la
libertà di espressione fino ad allora negata, ma sapevamo tutti che la sua fine
era inevitabile".
Da
quel momento Willis ha raccontato sui social network gli eventi politici e
sociali che hanno accompagnato la transizione tunisina, divenendo una
celebrità. A tre anni dalla sua creazione, la matita di Nadia Khiari continua a
tratteggiare tavole impregnate di humour e pungente ironia.
"Disegnare
è un mezzo per buttare fuori le mie angosce, per condividere timori e speranze
e per trovare la forza di riderci sopra. Ho deciso di continuare anche dopo la
rivoluzione perché ormai si era creato un feeling speciale tra me e i seguaci
di Willis. Una solidarietà nel segno dell'ironia", spiega Nadia ai
colleghi di Jol Press.
L'essere
donna non è risultato di ostacolo né nella caricatura, un divertissement, né
nel suo lavoro, conferma la disegnatrice. "La caricatura è un bisogno, una
sorta di catarsi. Per molto tempo mi hanno scambiato per un uomo, ma quando è
diventato chiaro a tutti che ero una donna non è cambiato niente. Nessun
ostacolo al mio bisogno di libertà".
La creatrice di Willis afferma di
non porsi mai limiti, matita in mano, di fronte alla tavola bianca. "Mi
prendo gioco di tutti, del governo e dell'opposizione, degli uomini e delle
donne, perfino di me stessa".
"Certo,
alcuni disegni possono risultare scomodi, far arrabbiare. Mi capita di ricevere
messaggi o commenti piuttosto aspri. Ma fa parte del 'gioco'. Tutti si
esprimono e non tutti la pensano allo stesso modo. Ma quando disegno non faccio
calcoli, non mi metto a pensare 'questo piacerà?', 'questo mi attirerà delle
critiche?'. Prendo la matita in mano e alea
jacta est".
Nonostante la libertà di
espressione non sia ancora una garanzia nella Tunisia post-rivoluzione, Nadia -
che collabora con la rivista Siné Mensuel
- ammette che la "primavera" è servita alla stampa per liberarsi
della censura o almeno "per provare ad essere libera".
L'aver
ottenuto il riconoscimento dell'ong internazionale Cartooning for peace è stata
poi "un'immensa sorpresa". "Mi consideravo semplicemente una che
disegna gatti su facebook, non avevo riflettuto sulla portata di queste tavole.
Caartoning for peace mi offre la possibilità di incontrare caricaturisti di
tutto il mondo, di scoprire le loro difficoltà e i loro talenti. E' anche un
mezzo per abbattere frontiere e riconciliarsi attraverso l'arte e
l'humour".
A tre anni di distanza dalla
sollevazione popolare, quali sono i risultati della rivoluzione?
Dopo
l'immolazione di Mohamed Bouazizi, ce ne sono state altre 186. Questo ci fa
capire che le cose non si sono affatto sistemate. Inoltre, il fatto che
Marzouki, Ben Jaafar e il primo ministro non si siano recati a Sidi Bouzid per
la commemorazione, ufficialmente per motivi di sicurezza, è la testimonianza
del loro fallimento.
Omicidi
politici, imboscate contro l'esercito, minacce terroriste, non è quanto ci
aspettavamo dalla rivoluzione. Senza parlare del costo della vita che diventa
ogni giorno più caro.
Dal 2010 in Tunisia si sono
succeduti quattro presidenti della Repubblica, sei governi, quattro primi
ministri..in che modo il paese può risollevarsi da questa grave crisi politica?
Forse
bisognerebbe fare un passo indietro e ricordarsi degli obiettivi per i quali il
23 ottobre 2011 siamo andati a votare: un governo provvisorio e una
costituzione, per poi tornare alle urne su nuove basi democratiche. Ma in tutta
questa attesa, le nomine all'interno delle istituzioni e delle amministrazioni
sono esclusivamente politiche, i partiti al potere si sono comodamente insediati
quando avrebbero dovuto essere solo di passaggio. Un'amministrazione tutt'altro
che neutra non è un buon segno per la trasparenza delle future consultazioni.
Con la fuga di Ben Alì è stato
rotto il muro della censura. Ma oggi, la libertà di espressione è garantita?
No,
è ancora minacciata. Parlare apertamente e puntare il dito dove fa male non è
certo ben visto dalle autorità. Senza parlare del caso di Jabeur Mejri,
che si è visto condannare a sette anni e mezzo di carcere per una condivisione
su facebook. Il presidente Marzouki ha la possibilità di liberarlo, ma non lo
fa. Perché? E il ministro dei Diritti Umani dovrebbe capire che sono i diritti
di tutti i tunisini che deve difendere!
Il rapper Weld El 15, di recente, è
stato condannato a quattro mesi di carcere prima di essere liberato in appello.
Si è trattato di un caso isolato?
Weld
El 15 è servito da esempio, per mettere paura e far tacere i giovani. Ma il suo
caso è stato subito strumentalizzato a fini elettorali. Oggi quasi tutti gli
artisti rischiano di diventare degli strumenti in mano ai politici, quelli che
li minacciano e quelli che li difendono.
In una petizione on-line in
sostegno al rapper, gli autori hanno denunciato certe pratiche del governo,
ritenute simili a quelle dell'era Ben Alì. Quali sono i più gravi scivoloni, in
tema di rispetto delle libertà, commessi dal potere in carica nel
post-rivoluzione?
La
creazione dell'Agence Technique des Télécommunications, con il pretesto della
lotta alla cybercriminalità. Quelli che osteggiano questo tipo di sorveglianza,
che ricorda le vecchie pratiche, sono dunque tutti dei criminali, come le
autorità vorrebbero far credere? E questi sorveglianti, chi li finanzia? Chi li
sorveglia?
Tre anni dopo, cosa è cambiato per
la popolazione? Quali sono le preoccupazioni e le speranze dei tunisini?
Non
conosco le preoccupazioni di tutti i tunisini. Ma spesso, discutendo per
strada, sento nascere quasi un rimpianto per Ben Alì. Questo mi fa impazzire. La
gente è arrivata a rimpiangere la dittatura. Sicurezza, carovita,
disoccupazione..è quasi una psicosi ed è un segnale allarmante.
Tra i tuoi disegni, ce ne sono
alcuni che sottolineano il fossato esistente tra la classe politica e i
giovani, principali attori della sollevazione. Oggi sono ancora loro le prime
vittime di questa crisi sociale e politica?
I
ragazzi che incontro sono infuriati. Non si riconoscono in questa classe
politica post-rivoluzione. Non fanno altro che dire: "come possono capirmi tutti questi capelli bianchi? Non hanno
nessuna idea dei nostri problemi, non conoscono nemmeno il nostro
linguaggio".
Molti
non hanno già più voglia di votare, nessun candidato - dicono - corrisponde
alle loro aspettative. Ma questi giovani possiedono un'energia straordinaria,
una sete di vivere, dei sogni e tanta creatività. Quando li incontro mi danno
la carica e, nonostante tutto, riesco ad essere ottimista.
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