Una
settimana di protesta di fronte alla sede della delegazione UE a Tunisi, per
chiedere il riconoscimento. Poi l'arresto, con la prospettiva dell'espulsione.
(Foto Jacopo Granci) |
Il
9 febbraio scorso la polizia tunisina è intervenuta duramente contro un sit in
di protesta organizzato da cittadini originari del Niger, Ciad e Sudan di
fronte alla delegazione dell’Unione europea a Tunisi. Le forze dell’ordine
hanno sgomberato l’accampamento che era stato allestito da una settimana, e portato
via 20 persone, che ancora oggi risultano rinchiuse nel centro di detenzione di
Wardia, riservato ai cittadini stranieri in situazione irregolare. Ora
rischiano l’espulsione.
Si tratta dei déboutés, i "diniegati" di
Choucha, migranti in maggioranza sub-sahariana che avevano fuggito la Libia
durante l'insurrezione contro Gheddafi ed erano stati accolti sul suolo
tunisino, nel campo frontaliero di Choucha, appunto.
In
tre anni, sono centinaia le persone ad essere state trasferite in paesi terzi.
Altre, stanche di aspettare, hanno preferito prendere la rotta del mare.
Diversa invece è la situazione per chi è rimasto in Tunisia, vedendosi
rifiutare lo status di rifugiato dagli uffici dell'UNHCR.
Circa 200 individui,
intere famiglie, sopravvivono senza aiuti nelle tende di quel che resta del campo, ufficialmente chiuso dal giugno scorso.
"Le condizioni di Choucha
non fanno che peggiorare", racconta Emad, tra i
dimostranti a Tunisi. "Nel deserto
fa freddo e al campo non c’è né acqua, né elettricità né assistenza medica. Le
persone stanno soffrendo molto. E’ un’emergenza umanitaria".
E' per ottenere una
soluzione a questa emergenza che una rappresentanza di diniegati aveva deciso
di installarsi di fronte agli uffici di Laura Baeza, capo della delegazione UE
in loco. Ma la polizia ha deciso in altro modo, smantellando il sit in.
Insieme
a loro, di fronte alla sede dell'UNHCR poco distante, c'erano anche altri
manifestanti. Decine di sub-sahariani, a cui la commissione ONU ha riconosciuto
il diritto d’asilo senza però concedere il trasferimento in paesi considerati
più sicuri, come era accaduto in precedenza per altre centinaia di rifugiati
transitati nel paese.
"La Tunisia vuole
forse abbassarsi al rango dei paesi europei che maltrattano, arrestano e
espellono i tunisini e altri migranti dal loro territorio?",
tuona in un comunicato il Forum tunisien des droits économiques et sociaux
(FTDES). L'avvenire si prospetta ancora più critico - fa sapere
l'organizzazione - per quelle persone che, sprovviste di documenti di viaggio
attestanti la nazionalità di provenienza, non possono essere espulse e
potrebbero rimanere recluse a tempo indeterminato.
Nel
documento reso pubblico qualche giorno fa il FTDES reclama "la liberazione immediata dei 20 rifugiati finiti in arresto e la
concessione, nel più breve tempo possibile, dei permessi di soggiorno per tutti
i migranti transitati da Choucha, come previsto da una disposizione governativa
del luglio 2013 e come stabilisce la nuova Costituzione".
Già, perché lo scorso
10 febbraio in Tunisia è entrata in vigore la nuova Carta e con essa l’articolo
26, che sancisce il diritto d’asilo e la protezione dei rifugiati.
Secondo
rifugiati e diniegati, tuttavia, il testo di per sé non offre alcuna garanzia.
"Ci vorranno tre anni prima che venga approvata una legge che metta in
pratica questi principi", commenta Emad.
*
Ascolta la testimonianza da Tunisi raccolta dall'agenzia AMISnet
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