Giovani,
studenti, ma non solo. Sono i protagonisti di un'iniziativa inedita nel regno,
"L-filsafa f-zanqa", che fa appello al "risveglio della
coscienza e al consolidamento del pensiero libero".
Ogni
settimana, dall'agosto scorso, ragazzi e ragazze della capitale si danno
appuntamento in centro per discutere e confrontarsi su autori, opere e concetti
di natura filosofica. O più semplicemente per leggere e scambiare impressioni.
Ecco
allora che Dostoevskij e Nietzsche sono il punto di partenza con cui affrontare
la "moralità dell'uomo", per poi passare ad altre tematiche quali la
natura dello Stato, il sistema politico, la religione, la laicità, il libero
arbitrio..è L-filsafa f-zanqa, "la
filosofia in strada", un'iniziativa nata da alcuni studenti di Rabat che
hanno sentito la necessità di aprire uno "spazio di espressione libera
dove la parola è accessibile a tutti".
Seduti in cerchio nei
prati della ville nouvelle, spesso
circondati da passanti incuriositi, ascoltano le parole del moderatore che
introduce la seduta e poi dichiara aperta l'agora.
L'idea,
ammettono gli organizzatori, riprende il modello già sperimentato in Francia
dell'università popolare di filosofia, lanciato dall'umanista Michel Onfray per
far uscire una materia ritenuta elitaria dalla rigidità del contesto
accademico.
In
Marocco l'iniziativa è mossa da un'esigenza ancora più forte, dal momento che
l'insegnamento umanistico era praticamente scomparso dalle facoltà - su
decisione del vecchio re Hassan II - e solo negli ultimi anni sembra aver fatto
un timido ritorno.
E'
per sopperire alle lacune dell'apparato scolastico che l'Uecse - l'Union des
étudiants pour le changement du système éducatif, movimento universitario nato
dalle ceneri del "20 febbraio" e della "primavera
marocchina" - ha deciso di prendere in mano la situazione e di aggirare
l'ostacolo, portando la filosofia (più in generale l'arte e la cultura)
direttamente in piazza, alla portata di tutti. Con risultati sorprendenti.
In pochi mesi, infatti,
L-filsafa f-zanqa è uscita dal
circolo ristretto della capitale ed è diventata un appuntamento nazionale. Raduni
e incontri pubblici si moltiplicano in tutto il territorio, da Casablanca a
Marrakech, da Ouarzazate a Tangeri, fino alle lontane Tiznit e Al Hoceima.
A
rompere il ghiaccio sono quasi sempre studenti universitari, membri dell'Uecse,
ma le adesioni ai gruppi di discussione si fanno via via più diversificate.
Alunni delle superiori, professori, impiegati e perfino disoccupati sono sempre
più interessati all'iniziativa. Una conferma che "la filosofia riguarda
tutte le fasce sociali, è alla base del vivere comune e della formazione di una
coscienza critica, cosa di cui c'è estremo bisogno nel paese", afferma
Nabil Belkabir, uno degli iniziatori.
Se la risposta "popolare"
comincia a farsi sentire, non si è fatta attendere quella delle autorità, che
non sembrano molto apprezzare la libertà di parola e di pensiero - o almeno la
loro esibizione pubblica, su temi spesso considerati tabù - praticata dai
giovani filosofi.
Intimidazioni
e sgomberi hanno accompagnato gli studenti fin dai primi appuntamenti. "In
un'occasione, a Ouarzazate, un funzionario di governo si è avvicinato ad una
ragazza dicendole: « piuttosto che a leggere, pensa a sposarti! »", racconta
Hamza Mahfoud. "A volte gli agenti ci costringono a partire, sotto la
minaccia dell'arresto, perché non abbiamo l'autorizzazione della Prefettura. E
questo nonostante la costituzione garantisca il diritto di riunione..".
Non
c'è paura nei loro sguardi o nelle loro parole. Nessuna intenzione di cedere.
Anzi, il movimento universitario - che si dichiara indipendente da influenze
partitiche o ideologiche - ha deciso di rilanciare, promuovendo nuove azioni di
"disobbedienza culturale". Sulla stessa linea di L-filsafa f-zanqa le iniziative "un'ora di lettura" e
"la lettura per tutti": decine di ragazzi, un libro in mano, occupano
silenziosamente alcuni degli spazi urbani più frequentati (come place des
Nations Unies a Casablanca), oppure improvvisano flashmob di fronte alle sedi
istituzionali e nei vagoni del tram. Apertura
mentale e conoscenza le parole
d'ordine.
La vitalità del
movimento studentesco fa da contrappeso ad un sistema di istruzione globalmente
in agonia. Il rapporto mondiale sull'educazione, pubblicato dall'Unesco pochi
giorni fa, è un duro atto d'accusa in questo senso.
Il
documento posiziona il Marocco agli ultimi posti della classifica (143° su 164
paesi) e traccia un quadro preoccupante della situazione: il tasso di
scolarizzazione è fermo al 58%, quello di pre-scolarizzazione e di
alfabetizzazione adulta sotto i livelli minimi. Non meno critica la valutazione
sulla qualità dell'insegnamento offerto, già sottolineato da un precedente
rapporto della Banca Mondiale, che punta il dito sulle carenze registrate in
ambito linguistico e scientifico dagli alunni del regno.
Tra
le raccomandazioni dell'Unesco a Rabat, quella di destinare un maggiore
investimento pubblico all'istruzione (5,4% del Pil, contro il 10,9 della media
europea), un invito che sarà probabilmente disatteso a causa dei tagli nel
settore annunciati dall'esecutivo, alle prese con una sensibile aumento del
debito.
"Impossibile,
e forse irrealistico, pensare ad un confronto aperto con il governo o con il
ministero. Fino a pochi giorni fa l'Uecse non aveva nemmeno un riconoscimento
formale", è il commento di Nabil Belkabir. "Fondamentale, dal nostro
punto di vista, è che gli studenti acquisiscano consapevolezza del sistema in
cui si trovano inseriti. Delle sue mancanze e degli strumenti a loro
disposizione per tentare di porvi rimedio. L'filsafa
f-zanqa o le altre iniziative parascolastiche sono un primo passo per
cercare di smuovere le coscienze e cambiare la mentalità".
Qualche domanda a..
Ghassan
Wali, giornalista, tra i fondatori del gruppo universitario Conscience estudiantine.
Ghassan,
oltre ad avere un notevole esperienza quanto ad attivismo studentesco, hai
partecipato ad alcune delle ultime agora del collettivo L-filsafa f-zanqa.
Raccontaci un po' come si svolgono gli incontri..
Prima
dell'evento, il movimento Uecse avvia una campagna informativa via web e
all'interno dei licei e delle facoltà. Di solito la seduta inizia con un
moderatore che presenta il tema del giorno e poi lo spazio è lasciato ai
singoli interventi dei partecipanti, che apportano la loro visione, i loro
dubbi, le loro perplessità.
A
volte capita che non ci sia molta conoscenza pregressa e solo una parte dei
presenti riesce ad arricchire il dibattito con riferimenti bibliografici. Ma
forse il bello è anche questo. Da un lato dimostra le enormi lacune del nostro
sistema di istruzione, dall'altro permette a tutti di poter intervenire e
prendere parte agli incontri senza "timori reverenziali".
In
fondo si tratta di uno spazio aperto di riflessione. Una sorta di educazione
civica autorganizzata, non un confronto sui massimi sistemi.
Da
dove nasce il bisogno di portare in piazza la filosofia?
Dall'esigenza
di riappropriarsi degli spazi pubblici e di costruire un proprio bagaglio culturale.
Gli studenti hanno capito che è arrivato il momento di prendersi da soli quello
che la scuola e l'università non possono - o non vogliono - offrire. C'è la
necessità di definire concetti, ad esempio la laicità, comunemente ed
erroneamente assimilata all'ateismo nella nostra società.
Io
ho studiato alla facoltà di Economia e non ho mai avuto un corso di filosofia.
Eppure sappiamo tutti le interconnessioni che vi sono tra la sfera del pensiero
economico e quello filosofico.
La
filosofia in particolare ha una storia travagliata nelle università
marocchine..
Ad
inizio anni ottanta il Ministero dell'Istruzione, quindi il regime di Hassan
II, ha eliminato i dipartimenti di filosofia, sociologia e psicologia dalle
università. Le Scienze Umane sono scomparse e al loro posto hanno trovato spazio
i corsi di Studi Islamici. Si è trattato di una manovra politica, che ha minato
la formazione dei cittadini per decenni.
All'epoca,
i movimenti di sinistra e sindacali erano forti e ben radicati nell'università.
Eliminare la filosofia per far posto al pensiero islamico significava erodere
terreno alla contestazione, agli oppositori. Allo stesso tempo il movimento
islamico si è rafforzato e ha preso lentamente il posto dei marxisti e dei
trozkisti, soprattutto nelle facoltà di Lettere e nei campus annessi,
storicamente bastioni della sinistra. E' stato come imporre il culto dell'obbedienza
al posto del libero pensiero, della riflessione critica.
Gli
insegnamenti umanistici sono poi riapparsi una decina di anni fa con la riforma
dell'insegnamento superiore. Ma sono superficiali, al massimo offrono nozioni,
e ormai hanno perso attrazione perché non garantiscono sbocchi lavorativi.
Che
cosa rappresenta l'Uecse nel panorama della contestazione sociale e politica
del paese?
E'
una risposta alla mancanza di una vera rappresentanza studentesca, legittima e
riconosciuta, in seno alle università e nella società. Lo storico sindacato
degli studenti, l'Unem (Union nationale des étudiants marocains, nda), è formalmente vietato dagli anni
settanta, più o meno per la stessa ragione per cui furono vietati gli
insegnamenti umanistici. Del resto erano gli "anni di piombo"..
Nei
campus si è lottato per anni per affermare una supremazia ideologica tra
islamisti e studenti di sinistra, a tutto vantaggio del regime che è riuscito
ad annientare una potenziale categoria contestataria. L'esperienza del 2011, il
"20 febbraio", ha reso evidente il bisogno di ricucire, o almeno di
aggirare, le divisioni interne che hanno frenato a lungo il peso e la voce degli
studenti.
L'eredità
del "20 febbraio" è evidente nel sistema di democrazia interna e di
rappresentatività orizzontale con cui è organizzato il movimento. Perfino nella
scelta strategica della disobbedienza civile pacifica e dell'utilizzo della
cultura come contro-potere o come alternativa al blocco imposto dalle autorità.
Come
hanno sottolineato i recenti rapporti dell'Unesco e della Banca Mondiale, non è
solo la disciplina delle scienze umane ma tutto il sistema di insegnamento ad
essere messo in discussione. Quali sono, secondo te, i problemi più gravi?
La
riforma dell'insegnamento avviata a fine anni '90 è stata fatta, almeno sulla
carta, per adeguare l'offerta formativa al mercato del lavoro. Questo l'alibi
con cui sono proliferate scuole, istituti, corsi professionalizzanti di breve
durata, sovvenzionati dallo Stato anche nel caso dei privati, prevalentemente
incentrati su marketing e commercio.
Non
è istruzione, questa, ma una fabbrica di automi che sognano di creare aziende -
perché questo gli viene detto a lezione - e si ritrovano, nel migliore dei
casi, a fare part time nei call center. Non a caso il tasso di disoccupazione,
quello ufficiale, è rimasto invariato nell'ultimo decennio.
Ma
il problema, oltre alla ristrettezza di una simile offerta, sta a monte. Non
c'è la volontà di adeguare l'istruzione alla crescita e ai bisogni
dell'individuo. La qualità dell'insegnamento è bassa, mancano mezzi,
laboratori, risorse.
Il
costo degli studi superiori è eccessivo, soprattutto visto il blocco
dell'ascensore sociale: gli studi non garantiscono più un posto di lavoro e un
livello di vita adeguato ai sacrifici fatti, e molti finiscono per abbandonare
o rinunciare. Chi può permetterselo, invece, va all'estero o studia nelle
scuole francesi ancora presenti nel paese. E il fossato che si scava tra le
classi si fa sempre più ampio.
Tra
gli aspetti evidenziati dai rapporti degli organismi internazionali c'è
l'assenza di attività parascolari, fondamentali per incentivare interesse e
curiosità soprattutto durante la scuola dell'obbligo. Parlaci un po' della tua
esperienza..
Ho
constatato un fatto. Anche nelle migliori filiere formative, ad esempio quella
di ingegneria, le persone escono dal loro percorso e non conoscono altro che il
loro mestiere. Si ritrovano disconnessi dalla realtà. Personalmente credo che
oltre al saper fare, un individuo debba essere fornito del "saper essere",
il sapersi collocare nella società, nel mondo.
Il
rapporto dell'Unesco non sbaglia. Attività come musica, teatro, disegno sono
praticamente assenti. Ricordo che alle elementari avevamo un piccolo corso di
educazione artistica. Quello che ci hanno imparato è saper disegnare un
musulmano in maniera differente da un miscredente, oppure saper riprodurre
delle miniature di citazioni coraniche. Questa non è educazione artistica, ma
lobotomia.
Qualcosa
sta cambiando, lo vedo con le mie sorelle più piccole. Ma in generale l'incentivo
alla conoscenza, all'arricchimento culturale non vengono prese in
considerazione, a meno che non si abbia la fortuna di imbattersi in qualche
maestro o insegnante appassionato e considerato dagli altri "poco
ortodosso".
(articolo pubblicato su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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