Tre
anni di riprese, un documentario (qui in versione integrale); il regista belga
Jerome Le Maire racconta l'arrivo dell'energia elettrica in un villaggio
sperduto dell'Atlante e i cambiamenti innescati nei suoi abitanti dal contatto
con la modernità.
Le
thé ou l'électricité (2012) è un paradigma, uno
specchio su cui riflettersi e fermarsi a riflettere, spiega subito il regista Le
Maire, che da alcuni anni vive in Marocco nei dintorni di Ouarzazate.
"Una sera, perso
in una delle mie lunghe passeggiate, ero stato accolto in una casa di montagna,
di quelle costruite in terra e legno. Scrutando i volti di quella famiglia,
ipnotizzati davanti alla televisione posta al centro dell'unica stanza, ho
avuto l'impressione di rivivere una scena di Hibernatus, dove Louis de Funès si
risveglia sbigottito nel XX secolo.
Vi
era uno sfasamento enorme tra quelle persone e l'epoca nella quale vivevano,
quasi un viaggio nel tempo. Da allora un'immagine mi assilla: una parabola
installata su un tetto di paglia e fango.
E' la sovrapposizione
di due simboli che fanno riferimento a due universi opposti: da una parte il
passato - che è il presente di questa gente - ossia l'oscurità, il lavoro
manuale, la lentezza, l'isolamento, i valori collettivi.. e dall'altra il
nostro presente, la luce, la meccanizzazione, la velocità, la globalizzazione,
l'individualismo, il materialismo..
Quello che ho voluto
filmare, seguendo l'elettrificazione di una piccola borgata imprigionata a
chilometri e decenni di distanza dalla contemporaneità, è l'incontro - o meglio
la collisione? - di questi due universi".
Le
immagini del documentario si aprono sui costoni innevati; terre aspre, pendii
impossibili e un piccolo villaggio berbero di pietra e malta, intagliato sul
fianco ripido della montagna. Si tratta di Ifri. Trentacinque case e 300
abitanti circa, in equilibrio sui terrazzamenti e immersi in un'altra epoca, ad
oltre 2 mila metri d'altitudine sulla catena dell'Alto Atlante.
Non ci sono strade né
piste che conducono al paese, niente scuola, niente ospedale né acqua corrente.
Qui si vive di magra autarchia (the, pane, raccolta e pastorizia). In inverno
la neve ricopre ogni cosa, la gente tossisce e seppellisce i morti:
"almeno 3 o 4 bambini muoiono ogni anno", precisano davanti alla
telecamera.
Per
arrivare a Ifri, gli operai dell'Ufficio nazionale dell'elettricità (ONE) scoprono
che devono camminare per oltre 20 km, su un sentiero sassoso invisibile
all'occhio inesperto, dall'ultimo punto percorribile in 4x4. Portano con loro
una buona notizia: il piano di elettrificazione rurale, lanciato dal governo
negli anni ottanta, arriverà finalmente nelle loro case.
Ma
gli abitanti sono scettici. Quello che chiedono da tempo è la costruzione di
una strada, che faciliti i loro spostamenti e i loro scambi con la vallata. "La
strada è come un'arteria che porta il sangue al cuore" spiega Ahmed, un
anziano del villaggio.
A
Ifri il dibattito è aperto. Alcuni inizialmente si oppongono, consapevoli di
non avere le risorse per poter beneficiare della corrente. La maggioranza viene
convinta dal caid (autorità locale e,
guarda caso, direttore regionale dell'ONE) che l'elettricità attiverà un
circolo virtuoso nella loro esistenza.
E la strada? Non ci
sono i soldi per farla, ma certo faciliterebbe anche il compito degli impiegati
e degli operai.
Così
è sempre il caid a suggerire agli abitanti di costruirla loro, in attesa degli
stanziamenti, offrendogli un trattore, un compressore e qualche carica di
esplosivo.
I
lavori vanno avanti per mesi, tre anni in totale, spezzati dal ritmo delle
stagioni e dal ritorno brutale dell'inverno. Jerome Le Maire filma con costanza
- 14 sessioni di riprese in solitaria - i contorni della tela che va tessendosi
attorno al villaggio.
Gli abitanti lavorano
gratuitamente, ogni giorno anche durante il ramadan,
e offrono aiuto e riparo ai tecnici che si avvicinano lentamente alle case.
Spuntano i piloni, vengono innalzati i tralicci e poi i cavi messi in tensione.
Intanto,
ad Ifri, l'atteggiamento sta cambiando. Tra miraggi e fatalismo l'elettricità
diventa un assunto insindacabile. I bambini osservano incuriositi la novità in
arrivo - "la tv potrà insegnargli tante cose", ripetono gli agenti
dell'ONE - le donne sperano che la corrente, e di conseguenza qualche
elettrodomestico, possa ridurre le loro fatiche quotidiane.
Risultato, ancor prima
dell'allaccio alla rete gli abitanti sono già tutti indebitati: cavi,
tracciati, centraline, burocrazia, abbonamenti…e ovviamente la televisione. Nessuno,
a questo punto, vuole essere da meno del vicino.
La
strada invece non è stata terminata. Appena si accendono le prime lampadine, il
caid riprende trattore e compressore
lasciando il villaggio nel suo isolamento. La sola via di fuga, la realtà
virtuale del piccolo schermo tramite cui Ifri entra in contatto, passivo, con
il mondo.
"La sensazione che
cerco di trasmettere con le immagini è che si è trattato prima di tutto di
un'operazione commerciale. L'idea era cercare nuovi abbonati, punto",
commenta il regista. "Non c'è alle
spalle un movimento umano, sociale, ma solo la necessità di legare i villaggi
marginalizzati alla sfera economica comune. Non c'è una reale volontà di farli
uscire dall'isolamento. L'esempio della strada è emblematico: costa e non
apporta niente nell'immediato. Con l'elettricità invece le autorità possono
riempirsi le tasche".
Le
thé ou l'électricité - dicevamo - è anche la storia di
un'implacabile modernità che avanza. Ifri cambia, i suoi abitanti sono
diventati consumatori a cui vengono serviti nuovi bisogni. Compaiono i
cellulari, le antenne paraboliche, mentre le viuzze del paese si svuotano, mutano
le forme di socialità.
In
tutto questo, chi continuerà a preoccuparsi di preparare il the?
Clicca qui per vedere il documentario.
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