Tra
scoop, purghe e processi, è finita l'alleanza tra Erdogan e "l'imam della
Pennsylvania". L'appoggio del movimento Gulen all'AKP aveva dato solidità
al partito di governo, che ora si confronterà con il biennio elettorale.
(Traduzione dell'articolo di Samim Akgonul per Orient XXI)
L'atmosfera
in Turchia è tesa e sembra degradarsi ogni giorno di più dalle proteste di Gezi
del giugno scorso. La coalizione che riuniva il governo al movimento Gulen si
sta sfaldando, a danno del primo ministro Recep Tayyip Erdogan.
Ma
quale coalizione? Si tratta in ogni caso di un accostamento ineguale. Il
Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) è una formazione politica vera e
propria, nata da un movimento ideologico che si rifà all'islam politico, al
potere dal 2002 e vincitrice di tre successive elezioni.
Il "Movimento Hizmet
(servizio)", questo il nome dei gulenisti, è una rete informale e molto
influente creata attorno alla personalità di Fethullah Gulen. Questo vecchio
imam dello Stato turco ha sviluppato un pensiero moralista pur ancorato alla
modernità, fondato sulla sintesi turco-islamica in voga dagli anni '80.
L'ossatura,
il nucleo di reclutamento dei simpatizzanti fa affidamento sulla rete delle
scuole Dershane, istituti privati di sostegno e preparazione. Si tratta di un
sistema educativo parallelo che prepara alunni e studenti a differenti
concorsi, primi fra tutti quelli di accesso all'università.
Questa coalizione atipica era nata
in nome dell'opposizione al neo-kemalismo propagato con la forza dall'esercito
in occasione dei ripetuti colpi di stato vissuti nei decenni scorsi dal paese.
Così
il movimento Gulen ha sostenuto l'AKP al momento del voto, tramite i suoi
organi di stampa (alcuni dei giornali più diffusi sono controllati dal
movimento), e in cambio l'AKP al potere ha favorito i simpatizzanti di Hizmet
nella nomina dei funzionari statali.
Ma, come dice un proverbio turco,
"morta la vacca, finita la società". In effetti, dal momento in cui
il nemico comune - l'establishment - è venuto meno, la coalizione ha iniziato
ad incrinarsi.
Erdogan
non sembra più sopportare alcuna altra autorità eccetto la sua all'interno
dello Stato, così "l'emiro della Pennsylvania" (dove Gulen vive dal
1999, quando in patria era iniziato un processo a suo carico) è diventato il
nuovo avversario da abbattere. Per il Primo ministro ogni tentativo di limitare
l'estensione del suo potere è automaticamente una cospirazione, e così è
vissuta ormai anche la presenza degli uomini di Gulen.
Dissotterrata l'ascia di guerra
La
situazione è conforme all'analisi di Serge Moscovici in Psicologia delle minoranze attive (Bollati Boringhieri 1981). Due
gruppi che si sentono oppressi collaborano fino a che uno dei due ottiene
legittimità. Quando uno dei due gruppi si libera dall'oppressione si rivolta
violentemente contro l'ex alleato, che lo minaccia nella sua nuova posizione.
I
segni di un voltafaccia erano già apparsi il 7 febbraio 2012 quando un
procuratore, ritenuto molto vicino ai gulenisti, aveva chiesto la deposizione
del Segretario generale dei servizi segreti, in stretto contatto con il Primo
ministro, nel quadro del processo contro il KCK, braccio politico del Partito
dei lavoratori del Kurdistan (PKK).
Erdogan aveva vissuto l'iniziativa
come una manovra contro la sua leadership, un tentativo per accusarlo di alto
tradimento in vista del processo di pace (i gulenisti, come i kemalisti,
adottano una politica anticurda).
Da
allora, i ponti dell'alleanza sono stati distrutti uno per uno. Un buon numero
di responsabili dell'AKP ha persino accusato il movimento Gulen di essere
l'istigatore delle proteste di Gezi, mentre altri membri del partito
rimproveravano alla polizia - infiltrata secondo loro da gulenisti - di aver
eseguito una repressione esagerata dei manifestanti allo scopo di gettare discredito
sul governo.
Accuse che avevano provocato la
reazione dura della Fondazione dei giornalisti e degli scrittori, una struttura
consensualmente ritenuta nelle mani della rete Gulen.
L'ascia
di guerra è stata ufficialmente dissotterrata in seguito allo scoop del
quotidiano Taraf il 28 novembre
scorso. Secondo questo giornale (in mano ai gulenisti come molti altri
periodici, tra cui il titolo più venduto nel paese Zaman) nel 2004, due anni dopo l'arrivo al potere dell'AKP, il
Consiglio di sicurezza dello Stato - composto da militari e da membri del
governo - aveva istituito un piano d'azione contro il movimento Gulen.
Stando
a Taraf i burocrati, funzionari e
militari reputati vicino al predicatore sarebbero stati schedati e
progressivamente allontanati dai posti chiave. Dopo quest'affondo Erdogan,
fedele alla sua reputazione, ha preferito l'attacco alla difesa suscitando
nuove polemiche con la proposta di chiudere definitivamente le scuole Dershane,
il vivaio gulenista.
La separazione dei poteri in
pericolo?
Ultimo
episodio in data, alcuni procuratori "dell'area Gulen" hanno messo in
luce una vasta rete di corruzione, nazionale e internazionale, in cui sono
implicati dei membri del governo e i loro parenti, in alcuni casi persino i
figli.
La
risposta dell'AKP è stata un rimaneggiamento di governo (sono cambiati 10
ministri), di certo tardiva, ma anche l'avvio di purghe degne del maccartismo,
senza precedenti, tra le file della polizia e dei funzionari della giustizia (da registrare il siluramento di ben 350 poliziotti,
i capi della polizia di 16 province tra cui importanti centri come Ankara,
Smirne, Antalya e Diyarbakir, e il vicecapo della pubblica sicurezza nazionale.
In tutto sono 1700 i funzionari trasferiti o dimessi. NdT).
Da questo regolamento di conti in
piena regola emergono due constatazioni lampanti. Primo, il principio di
separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario è un'illusione
in Turchia e l'esecutivo, nella persona di Erdogan, sta cercando di tenere
tutto sotto controllo (ad
esempio: mentre l’Alto Consiglio dei giudici e dei procuratori ha annunciato
l’apertura di un’inchiesta sulle pressioni politiche esercitate sui magistrati
che indagano sul governo, l’Akp ha già depositato in Parlamento un progetto di
legge per limitare i poteri di questa istituzione. Ndt).
Secondo,
la giustizia e la polizia sembrano rette da una rete informale che obbedisce
più a motivazioni di potere che a dei principi professionali, creando una sorta
di Stato nello Stato. Così, l'insieme dei grandi processi di questi ultimi anni
- specie quelli contro l'apparato militare (Ergenekon, Balyoz) e contro il KCK
- appaiono sospetti ed è ormai innegabile che una parte dei condannati o degli
interpellati sia stata vittima della violazione dei propri diritti fondamentali.
La
Turchia si appresta ad entrare in un biennio elettorale nel corso del quale si
succederanno gli scrutini municipali (marzo 2014), quello presidenziale
(probabilmente il prossimo agosto) e le elezioni legislative. Queste ultime,
previste per giugno 2015, potrebbero essere anticipate a quest'anno. E' molto
probabile che l'attuale Primo ministro sarà candidato alle presidenziali, senza
che l'AKP pertanto sia riuscito a far approvare una nuova costituzione che
trasformi l'attuale regime in un sistema semi-presidenziale.
Quale sarà il peso del movimento
Gulen nei prossimi appuntamenti elettorali?
La
domanda è d'obbligo. Secondo alcuni sondaggi, il movimento condiziona tra il 4
e il 7% dell'elettorato. La sua attitudine sarà quindi di estrema importanza
quando il prossimo agosto il presidente del paese sarà eletto per la prima
volta a suffragio universale.
Da un lato, questo lungo periodo di
campagna elettorale sarà propizio a nuove rivelazioni sulla corruzione, ormai
endemica, che regge l'apparato AKP. Dall'altro è un momento favorevole per un
ritorno alla politica, nel senso nobile del termine.
Altrimenti,
le vittime di questi eterni giochi di potere rischiano di essere le stesse di
sempre: curdi, aleviti e le minoranze di tutti i generi. Insomma, i gruppi
oppressi fin dalla fondazione della repubblica turca.
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