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venerdì 7 febbraio 2014

Turchia. Una battaglia fratricida, aspettando le urne

Tra scoop, purghe e processi, è finita l'alleanza tra Erdogan e "l'imam della Pennsylvania". L'appoggio del movimento Gulen all'AKP aveva dato solidità al partito di governo, che ora si confronterà con il biennio elettorale.



(Traduzione dell'articolo di Samim Akgonul per Orient XXI)

L'atmosfera in Turchia è tesa e sembra degradarsi ogni giorno di più dalle proteste di Gezi del giugno scorso. La coalizione che riuniva il governo al movimento Gulen si sta sfaldando, a danno del primo ministro Recep Tayyip Erdogan.

Ma quale coalizione? Si tratta in ogni caso di un accostamento ineguale. Il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) è una formazione politica vera e propria, nata da un movimento ideologico che si rifà all'islam politico, al potere dal 2002 e vincitrice di tre successive elezioni.

Il "Movimento Hizmet (servizio)", questo il nome dei gulenisti, è una rete informale e molto influente creata attorno alla personalità di Fethullah Gulen. Questo vecchio imam dello Stato turco ha sviluppato un pensiero moralista pur ancorato alla modernità, fondato sulla sintesi turco-islamica in voga dagli anni '80.

L'ossatura, il nucleo di reclutamento dei simpatizzanti fa affidamento sulla rete delle scuole Dershane, istituti privati di sostegno e preparazione. Si tratta di un sistema educativo parallelo che prepara alunni e studenti a differenti concorsi, primi fra tutti quelli di accesso all'università.

Questa coalizione atipica era nata in nome dell'opposizione al neo-kemalismo propagato con la forza dall'esercito in occasione dei ripetuti colpi di stato vissuti nei decenni scorsi dal paese.

Così il movimento Gulen ha sostenuto l'AKP al momento del voto, tramite i suoi organi di stampa (alcuni dei giornali più diffusi sono controllati dal movimento), e in cambio l'AKP al potere ha favorito i simpatizzanti di Hizmet nella nomina dei funzionari statali.

Ma, come dice un proverbio turco, "morta la vacca, finita la società". In effetti, dal momento in cui il nemico comune - l'establishment - è venuto meno, la coalizione ha iniziato ad incrinarsi.

Erdogan non sembra più sopportare alcuna altra autorità eccetto la sua all'interno dello Stato, così "l'emiro della Pennsylvania" (dove Gulen vive dal 1999, quando in patria era iniziato un processo a suo carico) è diventato il nuovo avversario da abbattere. Per il Primo ministro ogni tentativo di limitare l'estensione del suo potere è automaticamente una cospirazione, e così è vissuta ormai anche la presenza degli uomini di Gulen.


Dissotterrata l'ascia di guerra

La situazione è conforme all'analisi di Serge Moscovici in Psicologia delle minoranze attive (Bollati Boringhieri 1981). Due gruppi che si sentono oppressi collaborano fino a che uno dei due ottiene legittimità. Quando uno dei due gruppi si libera dall'oppressione si rivolta violentemente contro l'ex alleato, che lo minaccia nella sua nuova posizione.

I segni di un voltafaccia erano già apparsi il 7 febbraio 2012 quando un procuratore, ritenuto molto vicino ai gulenisti, aveva chiesto la deposizione del Segretario generale dei servizi segreti, in stretto contatto con il Primo ministro, nel quadro del processo contro il KCK, braccio politico del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK).

Erdogan aveva vissuto l'iniziativa come una manovra contro la sua leadership, un tentativo per accusarlo di alto tradimento in vista del processo di pace (i gulenisti, come i kemalisti, adottano una politica anticurda).

Da allora, i ponti dell'alleanza sono stati distrutti uno per uno. Un buon numero di responsabili dell'AKP ha persino accusato il movimento Gulen di essere l'istigatore delle proteste di Gezi, mentre altri membri del partito rimproveravano alla polizia - infiltrata secondo loro da gulenisti - di aver eseguito una repressione esagerata dei manifestanti allo scopo di gettare discredito sul governo.

Accuse che avevano provocato la reazione dura della Fondazione dei giornalisti e degli scrittori, una struttura consensualmente ritenuta nelle mani della rete Gulen.

L'ascia di guerra è stata ufficialmente dissotterrata in seguito allo scoop del quotidiano Taraf il 28 novembre scorso. Secondo questo giornale (in mano ai gulenisti come molti altri periodici, tra cui il titolo più venduto nel paese Zaman) nel 2004, due anni dopo l'arrivo al potere dell'AKP, il Consiglio di sicurezza dello Stato - composto da militari e da membri del governo - aveva istituito un piano d'azione contro il movimento Gulen.

Stando a Taraf i burocrati, funzionari e militari reputati vicino al predicatore sarebbero stati schedati e progressivamente allontanati dai posti chiave. Dopo quest'affondo Erdogan, fedele alla sua reputazione, ha preferito l'attacco alla difesa suscitando nuove polemiche con la proposta di chiudere definitivamente le scuole Dershane, il vivaio gulenista.


La separazione dei poteri in pericolo?

Ultimo episodio in data, alcuni procuratori "dell'area Gulen" hanno messo in luce una vasta rete di corruzione, nazionale e internazionale, in cui sono implicati dei membri del governo e i loro parenti, in alcuni casi persino i figli.

La risposta dell'AKP è stata un rimaneggiamento di governo (sono cambiati 10 ministri), di certo tardiva, ma anche l'avvio di purghe degne del maccartismo, senza precedenti, tra le file della polizia e dei funzionari della giustizia (da registrare il siluramento di ben 350 poliziotti, i capi della polizia di 16 province tra cui importanti centri come Ankara, Smirne, Antalya e Diyarbakir, e il vicecapo della pubblica sicurezza nazionale. In tutto sono 1700 i funzionari trasferiti o dimessi. NdT).

Da questo regolamento di conti in piena regola emergono due constatazioni lampanti. Primo, il principio di separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario è un'illusione in Turchia e l'esecutivo, nella persona di Erdogan, sta cercando di tenere tutto sotto controllo (ad esempio: mentre l’Alto Consiglio dei giudici e dei procuratori ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sulle pressioni politiche esercitate sui magistrati che indagano sul governo, l’Akp ha già depositato in Parlamento un progetto di legge per limitare i poteri di questa istituzione. Ndt).

Secondo, la giustizia e la polizia sembrano rette da una rete informale che obbedisce più a motivazioni di potere che a dei principi professionali, creando una sorta di Stato nello Stato. Così, l'insieme dei grandi processi di questi ultimi anni - specie quelli contro l'apparato militare (Ergenekon, Balyoz) e contro il KCK - appaiono sospetti ed è ormai innegabile che una parte dei condannati o degli interpellati sia stata vittima della violazione dei propri diritti fondamentali.

La Turchia si appresta ad entrare in un biennio elettorale nel corso del quale si succederanno gli scrutini municipali (marzo 2014), quello presidenziale (probabilmente il prossimo agosto) e le elezioni legislative. Queste ultime, previste per giugno 2015, potrebbero essere anticipate a quest'anno. E' molto probabile che l'attuale Primo ministro sarà candidato alle presidenziali, senza che l'AKP pertanto sia riuscito a far approvare una nuova costituzione che trasformi l'attuale regime in un sistema semi-presidenziale.

Quale sarà il peso del movimento Gulen nei prossimi appuntamenti elettorali?

La domanda è d'obbligo. Secondo alcuni sondaggi, il movimento condiziona tra il 4 e il 7% dell'elettorato. La sua attitudine sarà quindi di estrema importanza quando il prossimo agosto il presidente del paese sarà eletto per la prima volta a suffragio universale.

Da un lato, questo lungo periodo di campagna elettorale sarà propizio a nuove rivelazioni sulla corruzione, ormai endemica, che regge l'apparato AKP. Dall'altro è un momento favorevole per un ritorno alla politica, nel senso nobile del termine.

Altrimenti, le vittime di questi eterni giochi di potere rischiano di essere le stesse di sempre: curdi, aleviti e le minoranze di tutti i generi. Insomma, i gruppi oppressi fin dalla fondazione della repubblica turca.

(Traduzione pubblicata su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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