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mercoledì 24 febbraio 2010

Khalid, la matita che spaventa il regime

CASABLANCA – Il jukebox del bar Don Quijote tace. Sono le sei del pomeriggio, il sole non è ancora tramontato e nel locale, noto rifugio di “rossi, immigrati e puttane”, secondo le malevole indiscrezioni del moqaddem, regna un insolito silenzio. E’ ancora presto, gli avventori preferiscono attendere il diffondersi delle tenebre prima di varcare la soglia del luogo proibito. Seduto al mio tavolo c’è Khalid Gueddar, caricaturista del defunto Journal Hebdomadaire. Da qualche mese le autorità sembrano aver avviato una vera e propria persecuzione contro il giovane e coraggioso disegnatore che, oltre alle tavole per il settimanale marocchino, collabora con altri due noti giornali francesi, Le Courrier International e Bakchich. Condanne, processi e censure hanno fatto del 2009 un anno nero per Khalid, i cui strascichi si sono protratti fino ai giorni scorsi. Ma procediamo con ordine.




Prima di addentrarmi nella travagliata carriera del mio interlocutore, cerco di mettere a fuoco qualche punto di riferimento essenziale. Khalid mi viene in aiuto. “Quando sfogliamo le pagine di un giornale, la caricatura è il primo elemento che, di solito, ci colpisce”. Sono d’accordo, l’impatto dell’immagine è senza dubbio dirompente, immediato, non certo paragonabile al testo scritto. “Nella caricatura c’è satira e umor, la sua funzione può essere tanto di critica, quanto di informazione. Perfino entrambe allo stesso tempo. L’abilità di un disegnatore sta nel riassumere un articolo di svariate colonne in una sola immagine”, precisa Khalid, mentre sorseggia la sua Special. Con la bottiglia di birra ancora in mano e lo sguardo assorto in una vecchia stampa appesa al muro, continua poi il suo discorso. “All’interno del vasto universo della caricatura è possibile distinguere scuole differenti. Quella europea, per esempio, privilegia l’uso dei commenti scritti sopra o sotto al disegno, addirittura inserisce dei dialoghi, mentre la scuola anglosassone si serve esclusivamente delle immagini per trasmettere il messaggio, che in questo modo può essere colto tanto da un Marocchino quanto da un Cinese o da un Inglese o da un Italiano. Questa è la sua vera forza. Una forza che la rende universale”.
I clienti appoggiati al bancone del bar iniziano ad infittirsi. Tra gli ultimi arrivati scorgiamo Noureddine, un amico in comune. Sindacalista e oppositore politico della prima ora, finito in carcere per diversi anni all’epoca di Hassan II, Noureddine è forse il più assiduo frequentatore del Don Quijote che io conosca. Dopo un brindisi rigoroso, Khalid riprende la spiegazione.“Un elemento imprescindibile della caricatura è la presenza della deformazione: le persone e gli oggetti raffigurati vengono deformati, come viene deformato il senso del messaggio trasmesso, perché questo riesca a far ridere. Un sorriso amaro che serve a riflettere, non certo fine a se stesso. Per questo una caricatura eseguita con professionalità, cioè con intelligenza, intuizione e senso dell’ironia, non sarà mai un insulto. Il fine non è di umiliare, ma di offrire una chiave di lettura diversa rispetto a quella utilizzata dalle parole”. Una domanda mi assilla costantemente dall’inizio della conversazione. Approfitto della pausa imposta da Khalid alla sua esposizione per chiedergli da dove venga l’accanimento del regime nei confronti del suo lavoro. La risposta non si fa attendere. “Negli ultimi tempi si sono verificati due pericolosi processi per la salute del paese. Da una parte la libertà di espressione ha visto restringersi sempre di più lo spazio a sua disposizione. Dall’altra si è intensificata l’ostilità verso la caricatura, uno strumento di per sé mal visto dalle autorità, come dimostra la storia del Marocco indipendente”. Per capire meglio quest’ultimo punto, è sufficiente sapere cosa è successo a Demain Magazine, in piena epoca Mohammed VI, o ai giornali satirici nati durante gli anni settanta, come il celebre Akhbar Souk, caduto sotto la censura di Hassan II. La fatwa pronunciata a fine anni ottanta dal vecchio re, durante la trasmissione francese L’Heure de verité, è ancora ben impressa nella mente di tutti i caricaturisti del regno: “In Marocco – queste le parole di Hassan II - la caricatura è vietata per consenso nazionale”. Un monito mal digerito da Khalid, in totale disaccordo con il monarca. “Il popolo marocchino apprezza l’umor. La gente scherza continuamente, non la smette mai di prendersi in giro. Alcuni dei miei disegni traggono ispirazione proprio da quel ricco repertorio di canzonature e sberleffi ormai insito nel costume nazionale. Al contrario della sua classe dirigente, il popolo marocchino non arriverà mai a rifiutare la caricatura”. Lo straordinario record di vendite registrato da Akhbar Souk negli anni settanta e da Demain Magazine nei primi anni duemila è lì a confermarlo. Secondo Gueddar, Hassan II conosceva bene la forza della caricatura. E la presa che questo genere giornalistico aveva sui lettori lo spaventava terribilmente. “Temeva di vedere nascere in Marocco giornali come Le Canard Enchainé o Charlie-Hebdo. Sapeva che i disegnatori avrebbero ridicolizzato la sua struttura di potere, infrangendo i tabù e oltrepassando le linee rosse. Sapeva che non avrebbero risparmiato né i ministri, né la presunta sacralità della famiglia reale. Per questo si è inventato quella fatwa, specificando che la caricatura, deformando le creature di Dio, era un’intollerabile offesa alla religione. Ma l’islam non si è mai pronunciato su questo punto!”.

Gli esordi
“Ho iniziato a fare le prime caricature al liceo. Le vedevo sui giornali, sulle riviste, ero attratto da questo genere di disegni”. Khalid Gueddar non ha mai seguito dei corsi propedeutici, “del resto non è che ce ne siano molti in Marocco”, ma fin da bambino disegna dappertutto, sui fogli, sui quaderni di scuola, perfino sulle pareti di casa. Quando arriva all’università, Khalid entra a far parte del movimento studentesco di sinistra. “Frequentavo la facoltà di economia, a Rabat. Seguivo i dibattiti, partecipavo alle riunioni, insomma ero diventato un militante con una vera coscienza politica”. Parallelamente prosegue la sua attività artistica, che si fa via via sempre più “impegnata”. Nel 1997 prende i primi contatti con la stampa, che accetta, sporadicamente, di pubblicare i suoi disegni. “A quel tempo avevo già una mia rubrica nel giornale dell’ateneo”. Un anno più tardi, un amico giornalista gli propone di lavorare per Al Asr, il quotidiano arabofono del PJD (il partito islamico, nda). “Ho accettato, per me era comunque un’opportunità. Per la prima volta potevo vedere i miei disegni pubblicati regolarmente in un giornale nazionale, seppur islamista. Ero felice di aver varcato la soglia di un mondo, quello dei professionisti della caricatura, che sognavo fin da ragazzo”. Khalid rimane per due anni ad Al Asr, senza mai entrare in conflitto con la redazione. “Ero ancora un esordiente e, sebbene avessi ben chiari i miei principi, dovevo acquisire maggior fiducia nel mio lavoro”. Nel gennaio 2001 arriva la prima grande occasione: Ali Lmrabet lo vuole nell’equipe di Demain Magazine.

L’affermazione a Demain
Gli anni trascorsi a Demain sono il vero trampolino di lancio per la carriera di Khalid. “Lì ho conosciuto un vero spazio di libertà, che mai avevo trovato ad Al Asr. Ho cominciato a disegnare i politici, i membri del governo. E’ in quel momento che il mio stile ha assunto una caratterizzazione precisa”. Il successo ottenuto da Demain Magazine è strepitoso, tanto da rievocare alla memoria i lontani ricordi di Joha, Akhbar Souk e Attakchab, giornali che negli anni sessanta e settanta hanno fatto la storia della caricatura marocchina. “Le vendite andavano bene, raggiungevamo le 50 mila copie a settimana”. Ali Lmrabet approfitta del clima di libertà maturato durante la “transizione al trono” e nel 2002 crea un nuovo supporto, Doumane, la versione in darija (dialetto marocchino) di Demain Magazine. Le due riviste non esitano a rompere i tabù e ad infrangere le “linee rosse”. I lettori, dal canto loro, rispondono in maniera entusiasta. “C’era un vero dinamismo che muoveva la stampa indipendente, c’era la voglia di approfittare di quegli spazi di espressione mai avuti prima di allora”.
Le speranze e le illusioni prodottesi nel corso della “primavera marocchina” si infrangono, però, contro il vigoroso ritorno delle autorità. Mohammed VI si è insediato saldamente alla guida del paese e certe libertà sembrano ormai infastidirlo. Nel 2003 sia Demain Magazine che Doumane chiudono i battenti. Ali Lmrabet, direttore di entrambi i settimanali, viene condannato a quattro anni di carcere. “A provocare la reazione del regime erano stati alcuni miei disegni”, confessa Khalid. Ali Lmrabet, durante il processo, non fa mai riferimento alla presenza di un disegnatore in redazione. Si assume tutta la responsabilità ed afferma di fronte al giudice di essere lui stesso l’autore delle caricature incriminate, firmate con lo pseudonimo Khalid. “Non potrò mai dimenticare questo gesto. Ali ha dimostrato un grande coraggio e una generosità senza pari. Sapevamo che la nostra pubblicazione era un azzardo e che prima o poi ce l’avrebbero fatta pagare, così aveva preferito prendere degli accorgimenti. Non ha mai voluto inserire il mio nome nell’organico del settimanale. Mi ripeteva sempre: che guadagno ci sarebbe se finissimo in prigione tutti e due? Nessuno, ed io, in quanto direttore, verrei comunque condannato”.

La consacrazione parigina a Bakchich
Nel marzo 2003, in seguito alla chiusura di Demain Magazine e Doumane, Khalid inizia a lavorare per Le Journal Hebdomadaire. E’ Ali Amar a proporgli il nuovo ingaggio. “Successe proprio in tribunale, durante il processo contro Ali Lmrabet”. Sei mesi dopo, tuttavia, il caricaturista lascia il Marocco per stabilirsi in Francia. Un’altra scelta che si rivela decisiva. “Non avevo molto spazio, solo un piccolo disegno a settimana, e lo stipendio non mi bastava. Del resto, Le Journal non era un giornale satirico ed io ero abituato ai ritmi di Demain, dove avevo pagine e pagine da riempire con le mie caricature. Mi sono detto, qui non ho più niente da fare”. Khalid parte per Parigi, dove prosegue gli studi (ottiene la laurea in arti plastiche all’università di Saint Denis). Allo stesso tempo, continua la collaborazione a distanza con Le Journal. “Non ho mai interrotto i contatti con Amar e Jamai. Internet mi ha facilitato le cose, potevo inviare tranquillamente le mie caricature ogni settimana”.
Al suo arrivo in Francia, Khalid muove i primi passi a Le gri-gri International, “un giornale panafricano creato da un esule politico gabonese”. Dopo qualche mese, tuttavia, l’intera redazione si dimette in seguito ai contrasti maturati con il direttore. “Voleva rientrare in Gabon, così decise di cambiare la linea editoriale per avvicinarsi al presidente Omar Bongo Odimba. Noi non accettammo il suo voltafaccia”. L’equipe, affiatata e motivata, non si dà per vinta e nel 2006 trova la soluzione per risolvere l’impasse. Nicola Beau, Xavier Monier, Guillaume Barou (ora a Le Monde Diplomatique), Anne Borel e Khalid Gueddar decidono di aprire un sito internet: Bakchich.info. “Non avevamo i mezzi per fondare un giornale, così abbiamo cercato il sistema più economico per continuare a scrivere e disegnare, insomma per fare il nostro lavoro”. Anche Bakchich, all’inizio, si concentra esclusivamente sul continente africano. “Ci mancavano i giornalisti e i contatti giusti per creare un vero sito di informazione. Abbiamo deciso di proseguire la strada interrotta, un terreno che ci era familiare”. Pian piano il numero dei visitatori aumenta e Bakchich raggiunge una vera e propria notorietà internazionale. “Sono iniziate ad arrivarci sovvenzioni e pubblicità. Nel 2009 avevamo finalmente i soldi necessari per lanciare il giornale in formato cartaceo”.
La comparsa nelle edicole conferma il successo di Bakchich, che supera di slancio il rivale gabonese per numero di copie vendute. Nelle prime edizioni del settimanale, Khalid propone una serie di tavole su Mohammed VI, divenute ormai celebri: Le roi qui ne vuolait plus etre roi (“Il re che non voleva più essere re”). “Quelle caricature mi hanno reso famoso al grande pubblico, ma allo stesso tempo mi hanno creato seri problemi con il regime”. In quel periodo, il disegnatore marocchino fornisce anche i primi contributi al Courrier International. Sarà proprio una sua vignetta, consacrata ancora una volta al sovrano alawita, a scatenare nel luglio del 2009 la censura di Rabat sul settimanale francese. “Non ho niente di personale contro il re. Ma io sono un caricaturista e lui un capo di Stato, che detiene il monopolio della politica nazionale. Rivendico il diritto e la libertà di criticarlo, se reputo che le sue scelte siano sbagliate”.

La vignetta pubblicata dal Courrier International censurata dal regime.

“Khalid le mediavore”
Alla fine del 2008 Khalid Gueddar viene contattato da Taoufiq Bouachrine, capo-redattore del quotidiano Al Massae. “Taoufiq era un amico e mi ha proposto un buon contratto pur di avermi con lui a Casablanca. Io ho accettato, a condizione di poter continuare le mie collaborazioni con gli altri supporti, sia marocchini (Le Journal) che stranieri (Bakchich e Le Courrier International)”. Così, dall’inizio del 2009, Khalid rientra in Marocco. “Una scelta che, a posteriori, mi guarderei bene dal ripetere”. Poco dopo, infatti, Bouachrine abbandona Al Massae per fondare un suo giornale, Akhbar Al Youm. Una volta partito il capo-redattore, i rapporti tra Khalid e il direttore Rachid Nini iniziano a deteriorarsi: “Nini voleva che lasciassi Bakchich. Era il periodo in cui pubblicai in Francia Le roi qui ne voulait plus etre roi. Il regime la prese molto male e iniziò a fare pressioni”. In aprile Gueddar viene licenziato dal Massae. Bouachrine è pronto ad accoglierlo a braccia aperte, ma qualcosa nell’aria è cambiato: “un ritorno in grande stile alla politica autoritaria degna del miglior Hassan II”, riferisce Khalid con tono remissivo. A farne le spese sono i diritti umani e le libertà individuali faticosamente conquistate dai Marocchini nell’ultimo decennio. “I primi sulla lista erano chiaramente i giornalisti insubordinati, e il mio nome doveva essere tra quelli di punta”. La rapida successione degli eventi sembra dargli ragione. Prima la censura del disegno pubblicato dal Courrier International, poi la famosa caricatura del principe Moulay Ismail, apparsa sul quotidiano Akhbar Al Youm il 26 settembre 2009, che scatena le ire del Palazzo. Risultato: la chiusura immediata del giornale e la condanna di Khalid e del direttore Bouachrine a quattro anni di carcere con il beneficio della condizionale, oltre al pagamento di 50 mila dirham (circa 5 mila euro) di multa (condanna confermata in appello lo scorso dicembre).


Nei giorni che seguono al sequestro dei locali e delle copie del quotidiano, Gueddar è sottoposto ad una lunga serie di interrogatori nel commissariato di Casablanca. “I poliziotti non erano interessati al disegno del principe, ma ai lavori pubblicati su Bakchich. Ho capito ben presto che la vignetta di Akhbar Al Youm era solo una scusa. Il regime ce l’aveva con me per altri motivi, in particolare per le tavole su Mohammed VI. Stava preparando la sua vendetta e le intenzioni erano chiare: voleva infliggermi una punizione esemplare”, spiega Khalid, che poi continua: “avevamo proposto il disegno in occasione delle nozze di Moulay Ismail, all’interno di un dossier dedicato al matrimonio nella tradizione alawita. La caricatura era molto prudente, ma ci è valsa lo stesso accuse infamanti: mancanza di rispetto verso un membro della famiglia reale, oltraggio alla bandiera nazionale e antisemitismo”. Il disegno in questione raffigura il principe seduto sulla ammaria, mentre saluta gli invitati alla cerimonia. Sullo sfondo il vessillo marocchino, con la stella verde a sei punte. “Quella stella non ha niente a che fare con l’antisemitismo, né con l'offesa alla bandiera nazionale. Il vessillo marocchino, prima che il maresciallo Lyautey ordinasse di cambiarlo, era proprio così, ornato da una stella verde a sei punte. Sembra che nessuno se lo ricordi più!”.
Le parole dello storico Rachid Sbihi confermano i propositi di Khalid: “la stella a sei punte, che alcuni chiamano impropriamente il sigillo di Salomone, è un simbolo di saggezza e di energia, presente in tutte tre le religioni del Libro. Nel 1915, poco dopo l’instaurazione del protettorato, il reggente francese Lyautey impose al sultano Moulay Youssef la sostituzione di tale stella, che decorava il vessillo rosso degli Alawiti, con una a cinque punte. Quel simbolo è rimasto impresso nelle monete e nei francobolli del regno fino agli anni cinquanta”. Un accanimento immotivato, dunque, quello subito da Gueddar e dal suo giornale. Soprattutto se si considera che il settimanale Tel Quel, tre anni prima, aveva pubblicato la stessa bandiera in copertina senza subire alcun genere di processo.
Nel dicembre 2009 Bouachrine ottiene l’autorizzazione per creare un nuovo quotidiano, Akhbar Al Youm Al Maghribiyya. Il direttore vorrebbe continuare il sodalizio con Gueddar, ma per la libertà di stampa è forse il peggior momento dall’ascesa al trono di Mohammed VI e, per sopravvivere, occorre essere prudenti. Bouachrine prende le dovute precauzioni. Assume Khalid e in cambio gli chiede di non disegnare più: “sei ancora dei nostri – mi ha detto - fai parte del gruppo, però niente caricature per il momento”. Qualche settimana dopo un altro duro colpo: muore Le Journal Hebdomadaire. Gueddar si ritrova di fatto senza lavoro. “I colleghi mi hanno soprannominato Khalid le mediavore, perché nessun giornale sembra capace di sopravvivere al mio ingaggio”, ironizza il caricaturista, che non si dà per vinto e cerca di proporsi ad altre testate. La sua triste fama, però, lo precede senza scampo. “Ho provato con Le Temps e poi con Tel Quel, ma ho ricevuto soltanto rifiuti. Perfino Benchemsi (il direttore di Tel Quel, nda) ha ammesso che i miei disegni sarebbero troppo rischiosi per il suo settimanale”.
Khalid non ha più motivo di restare in Marocco, così decide di rientrare in Francia, dove ad aspettarlo ci sono la moglie e il figlio. In un paese in cui la giustizia indipendente resta una lontana chimera, mancano le basi che garantiscano la libertà di espressione. Gueddar ne è consapevole e sa, quindi, che la caricatura non può avere un futuro. Per questo vuole partire. Tuttavia, alla frontiera di Ceuta lo attende un’ultima (almeno fin’ora), amara sorpresa. “Mentre stavo consegnando il passaporto al controllo di polizia, sono stato prelevato da un agente che mi ha accompagnato in uno stanzino. Mi è stato detto che non avevo il diritto di lasciare il territorio nazionale. Ho chiesto spiegazioni, ma nessuno ha saputo darmele. Le disposizioni venivano direttamente dal Ministero dell’Interno”. Ad oggi, nessuna risposta ha fatto seguito alle lettere inviate dall’avvocato di Gueddar, da Reporters sans frontières e dall’AMDH (l’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo) al ministro Taieb Cherkaoui. Nella sentenza pronunciata dal tribunale di Casablanca lo scorso dicembre non viene menzionata alcuna disposizione che vieti a Khalid di varcare i confini nazionali.
Nell’attesa che il regime abbandoni tali pratiche persecutorie, permettendogli così di raggiungere l’altra sponda del Mediterraneo, Khalid Gueddar sta lavorando al suo primo libro. “Una raccolta dei miei archivi, una serie di caricature suddivise in capitoli tematici, intitolata Les lignes rouges (Le linee rosse)”. L’opera, che sarà pubblicata in Marocco da Tarik Edition, avrà la prefazione di Plantu, lo storico disegnatore di Le Monde.


La caricatura fatta da Plantu in sostegno a Khalid Gueddar al momento del processo per l'affaire Akhbar Al Youm.

DOMANDA/RISPOSTA
J. G. : A chi si ispira Khalid Gueddar nel suo lavoro? In altre parole, quali sono i suoi “grandi maestri”?
K. G. : Se devo pensare ai colleghi come fonte di ispirazione, allora Il mio maestro assoluto resta l’americano Jeff Danziger, caricaturista del New York Times. Come avrai capito osservando il mio lavoro, preferisco lo stile anglosassone, pressoché privo di commenti e dialoghi, rispetto a quello europeo. Ma ammiro molto anche i caricaturisti francesi, primo fra tutti Siné, che ha fondato da poco il giornale satirico Siné-Hebdo, dopo il licenziamento da Charlie-Hebdo. E’ stato fatto fuori per aver disegnato una caricatura irriverente del figlio di Sarkozy. Tra i colleghi arabi mi piace molto l’algerino Dilem. Seguo sempre le vignette che pubblica sul quotidiano Libérté. Di lui apprezzo sia lo stile che le idee. Tra i Marocchini, invece, avevo una profonda stima per Larbi Sabbane, uno dei fondatori di Akhbar Souk. Purtroppo negli ultimi anni ha abbandonato la sua vena caustica, si è addolcito molto, diciamo così, ed è finito a lavorare per il giornale dell’Istiqlal (il partito di governo, nda). Le sue opere precedenti, tuttavia, restano un punto di riferimento imprescindibile.

J. G. : Cosa pensa Khalid Gueddar delle vignette sul Profeta Mohammed pubblicate qualche anno fa dal giornale danese Jylland-Posten?
K. G. : Sono stato tra i primi a schierarsi in difesa dell’amico e collega Lange. Siamo entrambi membri di Cartooning for peace e della Federazione internazionale dei caricaturisti. La mia è stata una scelta naturale e immediata: il sostegno incondizionato alla libertà di espressione. Del resto, perché vietare una caricatura sul Profeta Mohammed? Per quel che mi riguarda, ho disegnato Gesù più di una volta senza mai incappare in simili reazioni. Voglio però aggiungere una cosa. In alcune delle dodici vignette proposte da Lange c’è, a mio avviso, un accanimento eccessivo. Detto questo, posso non trovarmi d’accordo sul senso e sul significato di alcune delle caricature incriminate, ma sarò pronto sempre e comunque a battermi perché ci sia il diritto e la libertà di proporre quel genere di disegni.

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