Arrêt sur image

giovedì 29 dicembre 2011

Rivolte di villaggio: l'altra faccia della protesta marocchina

Sotto i terreni della regione di Imiter si trova uno dei più consistenti giacimenti d'argento di tutta l'Africa, ma in superficie regna la miseria in tutto il suo splendore. Reportage del giornalista marocchino Omar Radi dalle pendici dell'Alto Atlante, dove gli abitanti hanno detto "basta" alla depredazione delle risorse locali.


martedì 27 dicembre 2011

In Marocco continua la protesta del "20 febbraio", ma senza gli islamici di Giustizia e Carità

Domenica 25 dicembre è stato un giorno di mobilitazione nazionale per il Marocco del "20 febbraio". Nonostante l'associazione islamica Giustizia e Carità abbia deciso di abbandonare la contestazione, l'iniziativa del movimento dissidente ha richiamato nelle piazze del regno alawita migliaia di manifestanti per chiedere "democrazia e dignità".

Manifestazione a Rabat, avenue Mohammed V (Foto Jacopo Granci)

martedì 6 dicembre 2011

In carcere il rapper-dissidente L'haqed, il "20 febbraio" (e non solo) si mobilita per la sua liberazione

Mouad Belghouat, alias L'haqed (“l’arrabbiato”), è un enfant du peuple divenuto ormai il simbolo della protesta marocchina, che continua a far sentire la propria voce per chiedere la fine dell'autoritarismo e il passaggio "ad una vera democrazia". Ogni giorno che Mouad trascorre nel carcere di Casablanca, segna la sconfitta di un regime che si fa vanto di essere entrato nella "nuova era" dei diritti e del rispetto delle libertà.

Foto by ARTE

martedì 22 novembre 2011

Marocco, elezioni legislative: il Movimento 20 febbraio si mobilita per il boicottaggio

Domenica 20 novembre migliaia di attivisti democratici hanno risposto all'appello del Movimento 20 febbraio ed hanno manifestato pacificamente in numerose città del regno alawita, chiamando al boicottaggio delle elezioni legislative previste per venerdì prossimo e invocando la liberazione dei detenuti politici finiti in arresto dall'inizio della contestazione.

Marocco: campagna elettorale per le legislative (anticipate)

A due settimane dal voto per il rinnovo della Chambre des representants e la formazione del nuovo governo, sabato 12 novembre è iniziata in Marocco la campagna elettorale, che si protrarrà fino alla mezzanotte di giovedì 24, vigilia dell’appuntamento con le urne.


Circa 13 milioni di marocchini saranno chiamati ad esprimersi, venerdì 25 novembre, sulla composizione della camera bassa del Parlamento, mentre la votazione – non ancora stabilita – dei 120 membri della camera alta (Chambre des conseillers), sarà riservata agli eletti delle comunità locali, ai rappresentanti delle organizzazioni professionali e dei sindacati. Per le autorità di Rabat le elezioni legislative anticipate rappresentano il secondo passo, dopo l’approvazione della Costituzione (con il referendum del 1° luglio scorso) voluta dal sovrano Mohammed VI, nella “nuova era democratica” del regno alawita.
Il Movimento 20 febbraio e gli altri protagonisti della contestazione, invece, lamentano l’inutilità della consultazione – “dal momento che la nuova carta non garantisce il passaggio dall’autoritarismo monarchico ad un effettivo regime parlamentare” – e la scarsa credibilità dei partiti politici, considerati nella maggior parte dei casi delle “elite prive di identità e di valori”. I giovani dissidenti hanno promosso un fronte del rifiuto, a cui si sono aggregate tre piccole formazioni della sinistra radicale (Parti socialiste unfié – PSU, Parti de l’avant-garde démocratique et socialiste – PADS, La voie démocratique – Annahj), l’associazione islamica al-‘Adl wa al-ihsan (“Giustizia e carità”) e parte delle organizzazioni del movimento amazigh (berbero), che hanno chiamato al boicottaggio delle urne.

lunedì 7 novembre 2011

Ennahda: le ragioni di un successo

La vittoria di Ennahda alle elezioni del 23 ottobre, quando i tunisini sono andati al voto per la formazione dell’Assemblea costituente, era considerata acquisita fin dalla vigilia della consultazione. Tuttavia, in pochi immaginavano un’affermazione così netta del partito islamico, che ha ottenuto il 40,5% dei suffragi e il 41,5% dei seggi a disposizione (90 su un totale di 217). Il dato è ancor più significativo se si considera che il secondo partito (il Congrès pour la republique) ne ha conquistati solo un terzo (30 seggi), mentre 23 sono quelli assegnati ai rappresentanti dello schieramento “laico e progressista”. Quali sono le ragioni di un simile successo?


sabato 29 ottobre 2011

Tunisia al voto, i risultati dell’assemblea costituente e le prime reazioni

Nella conferenza stampa tenuta la sera del 27 ottobre, l’Instance supérieure indépendante pour les élections (ISIE) ha comunicato i risultati globali (ancora provvisori) delle elezioni per l’assemblea costituente tunisina. I dati pubblicati dall’ISIE confermano il largo successo del partito islamico Ennahda, già anticipato dallo scrutinio delle prime circoscrizioni, e la sconfitta del blocco laico guidato dal PDP di Najib Chebbi e dal PDM. Intanto, sembra scongiurato il pericolo di un “sabotaggio” del partito al-Aridha (quarta forza per numero di seggi), dopo che il suo fondatore aveva annunciato la diserzione di tutti gli eletti in risposta all’annullamento di alcune liste per irregolarità.

(Foto Jacopo Granci)

venerdì 28 ottobre 2011

Tunisia: “il vero pericolo non sono gli islamisti, ma il vecchio sistema che cerca di riprodursi”

A dieci mesi dalla caduta di Ben Ali e a poche ore dall’apertura dei seggi per l’elezione dell’assemblea costituente, la libertà di stampa e l’indipendenza dei media non sembrano ancora annoverate tra le conquiste della Tunisia post-rivoluzione. Un nuovo codice restrittivo è in corso di approvazione mentre le figure compromesse con il vecchio regime restano alla guida dei mezzi di informazione. Il punto di vista di Sihem Bensedrine.

Una vita trascorsa in prima linea, per la difesa della libertà di espressione e la denuncia delle violazioni perpetrate dal regime Ben Ali. La giornalista Sihem Bensedrine, militante della Ligue tunisienne des droits humains negli anni ottanta e fondatrice nel 1998 del Conseil National pour les libertés (subito nel mirino dall’ex dittatore), ha lanciato nel 2000 il giornale indipendente Kalima. La pubblicazione non ha mai ottenuto l’autorizzazione delle autorità e Sihem è finita in carcere pochi mesi dopo con l’accusa di “turbamento all’ordine pubblico”.
Nel 2004 Kalima rinasce come giornale on-line e poi, nel 2008, si trasforma in una radio web, ma in entrambi i casi viene censurata dal governo di Cartagine. Dopo il 14 gennaio Radio Kalima, divenuta un punto di riferimento per l’informazione alternativa nel paese, ha presentato domanda alle autorità provvisorie per ottenere l’assegnazione di una frequenza fm. L’emittente tuttavia aspetta ancora il passaggio in antenna…



Moncef Marzouki, ora una Tunisia moderna e rispettosa dell’identità islamica

Continua l’attesa per i risultati definitivi dell’elezione costituente. Intanto si conferma la larga affermazione del partito islamico Ennahda, che ha conquistato 68 dei 169 seggi all’assemblea assegnati fino a questo momento (su un totale di 217). Tuttavia, una delle maggiori sorprese riservate dalle urne tunisine è il successo ottenuto dal Congrès pour la republique (CPR) di Moncef Marzouki (secondo partito con 23 seggi provvisori).


Marzouki, presidente della Ligue tunisienne des droits humains dal 1989 al 1992 (anno della dissoluzione temporanea imposta da Ben Ali), ha fondato il CPR nel 2001. Il partito, non riconosciuto dalle autorità, ha accolto tra le sue fila storici oppositori alle dittature di Bourghiba e di Ben Ali di diverso orientamento politico e numerosi attivisti per i diritti umani. Presidente del Congrès pour la republique, Moncef Marzouki è rimasto in esilio fino al 14 gennaio 2011.

lunedì 24 ottobre 2011

Tunisia: la speranza del voto e le ferite del passato

Tunisi, le dieci del mattino di un giorno storico. Il giorno delle prime elezioni libere dopo cinquantaquattro anni di dittatura e di plebisciti dall’esito scontato. Nella avenue Habib Bourghiba il via vai è frenetico. Alcune auto espongono la bandiera del paese e suonano il clacson per celebrare quella che si annuncia come una giornata di festa nazionale.
Per la maggior parte dei tunisini, infatti, il 23 ottobre 2011 rappresenta la seconda vittoria, dopo il 14 gennaio, di un popolo pronto a difendere con coraggio e determinazione le prerogative della rivoluzione. Una rivoluzione che attendere di raccogliere i suoi frutti dopo la designazione dei 217 membri dell’assemblea costituente, a cui competono oltre cento partiti politici e circa settecento liste indipendenti. Spetterà all’assemblea, legittima espressione della volontà popolare, nominare il nuovo governo, gettare le fondamenta della Tunisia democratica e scardinare gli ingranaggi di un regime autoritario, che i vari governi provvisori hanno preferito (o forse dovuto?) ignorare.


Superata l’imponente porte de France, i vicoli della medina sono insolitamente silenziosi e deserti. Chiusi i negozi del suq, i muri bianchi e azzurri del centro storico restituiscono agli occhi del passante i manifesti elettorali e le foto dei candidati, rimasti nascosti dalle merci ammassate in ogni angolo durante la settimana lavorativa. Le botteghe non apriranno fino al tardo pomeriggio, quando le code ai seggi saranno smaltite e gli abitanti della città vecchia torneranno alle proprie attività, in attesa dei primi risultati resi noti, forse, durante la notte.

giovedì 13 ottobre 2011

La protesta degli imam

Dopo un fine settimana segnato dalle manifestazioni del Movimento 20 febbraio e dall’assalto dei sostenitori del sovrano alla redazione del quotidiano Akhbar al-Youm, accusato di offrire troppo spazio agli oppositori, lunedì scorso sono stati gli imam a scendere in strada per esprimere il loro dissenso nei confronti delle autorità di Rabat.


“Gli imam delle moschee reclamano libertà, dignità e il pieno godimento dei propri diritti”, è questo lo slogan della manifestazione a cui lunedì scorso hanno preso parte circa un centinaio di imam, arrivati nel centro della capitale da tutte le regioni del paese. Hanno sfilato pacificamente lungo boulevard Mohammed V, di fronte al Parlamento, e si sono raccolti in preghiera nei giardini del viale a pochi passi dalla stazione centrale, prima di venire dispersi dalle cariche della polizia. Ma la loro protesta, pur di dimensioni ridotte, non è passata inosservata.

martedì 23 agosto 2011

Younes Zarli, storia di un’ingiustizia

Seduta su una panchina di via Garibaldi, in un afoso pomeriggio bergamasco, Jessica racconta la sua storia con pazienza e precisione. I pochi passanti, decisi a sfidare il sole d’agosto nelle strade del centro lombardo, non nascondono la loro curiosità di fronte all’hijab azzurro che ricopre i capelli della ventitreenne. Convertita all’islam nel 2005, Jessica Zanchi ha fatto il suo ingresso nella Umma musulmana con il nome di Maryam. “Fin da piccola ero attratta da questa religione e dalle sue pratiche. Quando avevo sette anni era venuta a vivere vicino a me, ad Alzano Lombardo, una famiglia maghrebina. Io passavo tanto tempo in casa loro, ero affascinata dall’ospitalità, dai rituali e dalla passione con cui vivevano la loro fede. La mia conversione è avvenuta dopo che ho conosciuto Younes, ma di certo non è stato lui ad obbligarmi. Era una mia convinzione già prima di incontrarlo. Del resto non mi ha mai costretta a portare il velo e non ha voluto nemmeno insegnarmi a fare la preghiera. Ho dovuto imparare da sola”.
Younes Zarli
Quella di Jessica è anche la storia di Younes Zarli, trentenne marocchino con cui è sposata dal 2007, e del loro figlio Adam. E’ la storia di un’ingiustizia, che da sei anni priva la coppia di una vita normale, a cui invece avrebbe diritto. Un’ingiustizia di cui le autorità italiane sono responsabili almeno quanto i pari grado di Rabat.

“Terrorista” con il visto
Younes entra in Italia nel 1997, con regolare permesso di soggiorno. Quando arriva assieme ai suoi fratelli è ancora minorenne. Con la Boxe Bergamo diventa campione italiano di kickboxing e vice-campione mondiale della stessa specialità. Una sera del 2003, il ragazzo originario di Casablanca e Jessica si conoscono in discoteca. Dopo due anni di fidanzamento, il 3 dicembre 2005, Younes viene prelevato dalla Digos. Per lui è già pronto il decreto di espulsione (legge Pisanu), firmato dal ministro dell’Interno, per motivi di sicurezza nazionale.
“Un consolidato circuito relazionale con elementi di primo piano dell’integralismo islamico”, è la formula utilizzata dalla questura, sempre identica, per motivare l’allontanamento coatto dal territorio nazionale di un “sospetto”, senza ricorrere in giustizia né garantire il diritto alla difesa (vedi il caso di Ahmed Errahmouni). A Younes non sono contestati reati specifici. La sua colpa? Essere il fratello di Salah Zarli, arrestato nel 2002 e condannato a morte in Marocco (che ha aderito alla moratoria della pena capitale) per coinvolgimento in attività terroristiche. La condanna, tuttavia, è avvenuta dopo gli attentati del 16 maggio 2003 a Casablanca, quando Salah – attualmente in stato di detenzione – si trovava già in carcere.
Quanto successo nel regno alawita dopo il 16 maggio 2003, come testimoniano i rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch, resta una delle pagine più nere che il paese ha conosciuto dalla fine degli “anni di piombo” e dalla morte del vecchio re Hassan II. Le autorità hanno iniziato una vera e propria “caccia all’islamista”, che ha portato a centinaia di sparizioni, torture sui sospetti e arresti arbitrari, trasformati rapidamente in verdetti decennali.

mercoledì 10 agosto 2011

Hamid El Kanouni, il Bouazizi marocchino?

E’ ancora vivo nel cuore mediterraneo e non solo il ricordo dell’ambulante Mohamed Bouazizi. Indelebile il suo gesto, la rabbia e la disperazione che l’hanno spinto, inconsapevole, ad accendere la miccia della rivoluzione tunisina, a sua volta detonatore dei sollevamenti popolari che hanno infiammato il Nord Africa e il Medio Oriente in questi ultimi mesi.

domenica 7 agosto 2011

Ritorno in immagini sul Marocco del “20 febbraio”

Sabato 6 e domenica 7 agosto sono in programma mobilitazioni notturne nelle principali città del regno alawita. Le prime dall’inizio del ramadan. Il Movimento 20 febbraio non è disposto ad allentare la pressione sul regime nemmeno durante il mese sacro, e denuncia le intimidazioni e le violenze subite dai suoi attivisti oltre ad un nuovo giro di vite impresso dal regime su una libertà di stampa già sofferente.
A quasi sei mesi dall’inizio delle proteste le manifestazioni continuano, nonostante le “aperture” del Palazzo reale tradottesi nella nuova costituzione voluta da Mohammed VI e, allo stesso tempo, la minaccia incombente di un ritorno al clima repressivo già sperimentato nel maggio scorso. Di seguito, un excursus fotografico che ripercorre la genesi delle contestazioni, mettendo a fuoco i volti e gli slogan che dal 20 febbraio ad oggi hanno animato le piazze del paese.


20 FEBBRAIO: L'EPIFANIA
E’la prima giornata di mobilitazione nazionale. Secondo i promotori aderiscono oltre cinquanta città per un totale di circa 300 mila manifestanti. Si registrano alcuni episodi di violenza ad Al Hoceima (dove 5 ragazzi sono stati ritrovati carbonizzati, in circostanze poco chiare, all’interno di una banca), Tangeri, Marrakech e Guelmim.

Rabat

Rabat


venerdì 29 luglio 2011

Melilla, la speranza oltre la “valla”

Storica enclave spagnola situata in territorio marocchino, Melilla può essere considerata – assieme alla gemella Ceuta – una delle principali vie di accesso all’Europa per i flussi migratori provenienti dall’Africa nera. La città autonoma (che a differenza delle altre autonomie iberiche non ha il potere di legiferare né un proprio tribunale) sorge lungo la costa mediterranea del regno, non troppo distante dal confine con l’Algeria. Ammassati nei boschi di Gourougou, sul promontorio che sovrasta il porto e la vecchia fortezza, o nascosti nella vicina Nador, decine di maliani, nigeriani, congolesi ma anche pakistani e bengalesi aspettano l’occasione giusta per varcare le temibili frontiere dello spazio Shengen. La crisi economica che sta mettendo in ginocchio parte dell’eldorado europeo non scoraggia gli animi di chi è in cerca di un futuro. Come non li scoraggiano le retate notturne della polizia spagnola o di quella marocchina.
Tuttavia, l’ingresso nell’enclave non garantisce ai migranti la realizzazione del piano e il passaggio ad una nuova vita. Con i suoi 70 mila abitanti e i circa 30 mila lavoratori transfrontalieri che ogni giorno varcano il confine del territorio maghrebino, Melilla si è infatti trasformata in una barriera di contenimento più che in uno spazio di accoglienza o meglio ancora di transito verso la penisola. Solo una minima parte delle centinaia di sin papeles (oltretutto senza diritti né la possibilità di un impiego) che popolano la città riesce ad imbarcarsi nelle navi dirette ad Algeciras, le regolarizzazioni avvengono con il contagocce, mentre chi sfugge all’espulsione o al rimpatrio forzoso resta nel limbo di Cañada fatto di cartoni, baracche di fortuna e lavoretti saltuari (lavavetri, parcheggiatori..) o nel perimetro del CETI (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes).
Costruito nel 1998, il centro di permanenza temporanea voleva essere una risposta, oltre al rafforzamento del reticolato di frontiera, la valla, alla prima grande emergenza immigrazione vissuta nell’enclave ad inizio degli anni novanta, quando arrivarono a Melilla centinaia di profughi subsahariani. Da allora il controllo dei nove chilometri di recinzione, che “custodiscono” una superficie di appena 12 chilometri quadrati, si è fatto sempre più serrato, sia da parte della Guardia Civil che della Gendarmerie.

(Credit foto: Jacopo Granci)


lunedì 25 luglio 2011

“Non dimenticatevi di Ilham”

“Non dimenticatevi di Ilham”, è l’appello lanciato da Taib Hasnouni, padre della giovane studentessa marocchina rinchiusa nel carcere di Marrakech lo scorso ottobre. “Mia figlia ha perso molto peso, ho avuto difficoltà a riconoscerla. Le sue condizioni di detenzione, specie nelle ultime settimane, sono particolarmente dure. Si rifiutano di procurargli libri e giornali, non ha più nulla per poter scrivere”, ricordava Taib, qualche giorno fa, a Lakome.

Chi è Ilham Hasnouni? Iscritta all’università Cadi Ayyad di Marrakech e militante di Annahj Addimocrati (“La via democratica”, formazione di ispirazione marxista che conta tra i suoi sostenitori numerosi studenti universitari, ndt), Ilham è un’attivista dell’UNEM (l’Unione nazionale degli studenti marocchini). Considerata la più giovane detenuta politica del Marocco (21 anni), Ilham Hasnouni è stata arrestata nella sua abitazione di Essaouira il 12 ottobre 2010 da cinque agenti in borghese, sprovvisti di mandato e in totale violazione dei diritti e delle garanzie detentive presenti già al tempo nel Codice di procedura penale ed oggi consacrati nella nuova costituzione. Trasferita a Marrakech, viene torturata per 48 ore nei sotterranei del commissariato di Place Jamaa al Fna, senza la possibilità di bere né mangiare, fino alla perdita dei sensi. Da allora è rinchiusa nella prigione di Boulmharez, nella sezione riservata ai detenuti di diritto comune. La sua colpa è “l’aver reclamato quelli che sotto altri cieli sarebbero considerati dei diritti fondamentali, come l’accesso gratuito ad un sistema di istruzione di qualità”, ricorda un comunicato pubblicato sulla pagina del gruppo Facebook “Liberiamo Ilham Hasnouni”. I capi di imputazione a carico di Ilham sono almeno una ventina, tra cui “distruzione di beni pubblici, partecipazione ad un raduno non organizzato, utilizzo della forza contro un funzionario di polizia e costituzione di banda armata”. Per il giudice d’istruzione, infatti, la giovane militante sarebbe legata ai disordini scoppiati nel campus universitario della “città rossa” il 14 maggio 2008, quando la polizia è intervenuta in modo violento per mettere fine alle mobilitazioni indette dall’UNEM. “Contro di lei c’è solo la parola di un agente”, ribatte tuttavia l’avvocato di Ilham, che considera l’innocenza della sua cliente fuori discussione. A seguito di quegli eventi, un primo gruppo di basistes (studenti marxisti) – il “gruppo Boudkour” – era stato condannato in modo fin troppo sbrigativo (la maggior parte dei suoi membri hanno finito di scontare la pena) dal tribunale di Marrakech. Anche in quel caso, per le ong locali e internazionali, si era trattato di un processo di natura politica, viziato dalle più flagranti violazioni dei diritti umani fondamentali. A quanto sembra la storia non tarda a ripetersi.
Dopo dieci mesi di carcere e maltrattamenti, Ilham aspetta ancora l’inizio del suo iter giudiziario. La prima udienza ha già subito quattro rinvii (la prossima seduta è prevista per domani, 26 luglio ndr), mentre la difesa si è vista negare la possibilità di presentare testimoni a discarico dell’imputata.

Ilham Hasnouni

Di seguito un articolo scritto dalla giornalista Zineb El Rhazoui (ex Journal Hebdomadaire) lo scorso dicembre, che ripercorre nel dettaglio la storia di Ilham Hasnouni.


venerdì 22 luglio 2011

Le Courrier International censurato in Marocco

Nei giorni scorsi le autorità marocchine hanno vietato la distribuzione del settimanale francese Le Courrier International (padre spirituale e modello del nostro Internazionale) all’interno dei confini del regno a causa di una vignetta giudicata “offensiva”. Nel numero 1080 (13-20 luglio 2011) della rivista, assieme all’articolo “L’envers d’un plébiscite royal” – l’editoriale pubblicato dal direttore di Tel Quel Karim Boukhari l’indomani del referendum – c’era un disegno del celebre caricaturista algerino Dilem. Il re Mohammed VI è pronto a spartire il potere con il suo primo ministro, il titolo della caricatura. In primo piano il sovrano, mentre fuma uno spinello, accanto al premier Abbas Al Fassi che incalza: “fallo girare!”.


mercoledì 20 luglio 2011

Khalid al referendum

Continua la collaborazione tra il caricaturista Khalid Gueddar e (r)umori dal Mediterraneo. Khalid "le mediavore", bandito dai media marocchini “ufficiali” dopo il processo ad Akhbar Al Youm e la chiusura del Journal Hebdomadaire, resta in prima linea nella battaglia per la libertà di espressione (secondo la graduatoria stilata da Reporters sans frontieres il Marocco è al 127° posto). Oltre al blog khalidcartoons, negli ultimi mesi alcuni suoi disegni sono apparsi nei giornali on-line Lakome e Demain.


Un oppositore entra nel seggio per votare “no” (la, in arabo) alla nuova costituzione, ma nell’urna elettorale – da cui una mano fa capolino per deriderlo – possono essere inseriti solamente i “sì” (naam).

[Risultato: plebiscito in salsa marocchina al 98,5%]

sabato 16 luglio 2011

“L’amazigh non è solo una lingua, ma un sistema di valori laici e democratici”

In Marocco il movimento berbero prende atto degli avanzamenti offerti dalla nuova costituzione, tra cui il riconoscimento ufficiale del tamazight, ma non abbandona il fronte delle contestazioni.

Tangeri, 3 luglio 2011

giovedì 7 luglio 2011

Marocco: “plebiscito” per la nuova costituzione, ma le proteste non si fermano

RABAT - Domenica 3 luglio il Movimento 20 febbraio ha scandito ad alta voce il suo “no” ad una “costituzione illegale e illegittima” imposta dal Palazzo reale e all’ennesima “farsa elettorale”. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade della capitale e in numerose altre città del paese per chiedere, come da quattro mesi a questa parte, un “vero cambiamento” ed un sovrano che “regna ma non governa”. Prerogative che non sono garantite dalla nuova carta, approvata tramite referendum solo due giorni prima. Le proteste dei giovani dissidenti sembrano aver ripreso forza e vitalità dopo la violenta repressione subita a fine maggio (un attivista è morto a Safi a causa dei colpi inferti dai poliziotti) e le aggressioni perpetrate dai “supporters del re” (ribattezzati dalla piazza baltajia, “delinquenti”) durante la campagna elettorale.

La nuova costituzione vista da Khalid Gueddar

martedì 28 giugno 2011

Marocco: la rivoluzione non è nella costituzione

A tre giorni dal referendum, un’analisi del nuovo progetto presentato dal regime di Rabat come “la grande svolta democratica” del paese maghrebino. Il giurista Mohamed Larbi Ben Othmane ci guida nella lettura del testo che, al di là della "pubblicità ingannevole", non comporta il passaggio ad una monarchia parlamentare e non assicura la piena acquisizione degli standard democratici.

(di Jacopo Granci e Francesco La Pia. Una prima versione dell'articolo è disponibile sul sito Meridiani)

Alcuni "supporters del re" bloccano (con l'aiuto delle forze di polizia) la marcia del "20 febbraio" (circa 2 mila persone). Rabat, 26 giugno 2011

mercoledì 22 giugno 2011

Marocco: nuova costituzione, vecchio regime?

Una riforma “cosmetica” l’ha definita l’ex direttore del settimanale marocchino Tel Quel Ahmed Benchemsi. Per il sito di informazione Mamfakinch, la nuova costituzione voluta dal re Mohammed VI promette solo una “democrazia ingannevole”. Queste alcune delle reazioni negative suscitate nell’opinione pubblica dal discorso del sovrano (17 giugno) a margine del quale è stato presentato il nuovo testo costituzionale che sarà sottoposto a referendum il 1° luglio.

venerdì 17 giugno 2011

In attesa della nuova costituzione, ancora le vecchie abitudini

RABAT – Mancano solo poche ore al discorso di Mohammed VI e alla presentazione del nuovo testo costituzionale, voluto dallo stesso sovrano dopo l’inizio delle contestazioni nel paese. Intanto il Movimento 20 febbraio ha già fissato una nuova giornata di mobilitazione per domenica 19 giugno. Indipendentemente dagli avanzamenti più o meno “democratici” che stabilirà la carta, le manifestazioni per il cambiamento non si arresteranno. Tuttavia, secondo le prime indiscrezioni filtrate in rete, la tanto annunciata divisione dei poteri, l’indipendenza della giustizia e la cancellazione dell’art. 19 (che sancisce il potere religioso del monarca, base per il suo controllo assoluto) non saranno contemplate dal testo partorito dalla commissione Mannouni (nominata dal sovrano e non scelta dal popolo, come invece chiedeva il movimento).
Se l’impianto politico e istituzionale del “Marocco della nuova era” – celebrato dal Palazzo e dagli alleati occidentali (in primis Francia e USA) – non sembra quindi avviato verso il cambiamento promesso, le pratiche repressive di un regime autocratico e autoritario restano concretamente immutate. Ce lo ricordano gli attacchi brutali contro i manifestanti pacifici, un’escalation di violenza cominciata il 15 maggio e terminata il 2 giugno con la morte dell’attivista Kamal Omari. Oppure gli arresti dei manifestanti a Fes e i maltrattamenti dei prigionieri durante gli interrogatori. Infine, la condanna dei dieci attivisti della regione di Bouarfa, vittime di un processo politico denunciato a gran voce dall’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo.
E’ proprio su quest’ultimo episodio che si concentra l’articolo scritto per (r)umori dal Mediterraneo dalla ricercatrice Montse Emperador, professoressa all’Università di Lione e studiosa dei movimenti sociali in Marocco. Di seguito la traduzione in lingua italiana.



giovedì 16 giugno 2011

Rida, “salafita” marocchino, racconta e si racconta…

Rida Benotmane, ex detenuto islamico trentaquattrenne, è uscito di prigione lo scorso gennaio, dopo aver scontato una condanna a quattro anni. Rida era per caso un pericoloso terrorista pronto a commettere attentati e ad uccidere civili innocenti? No. Il suo crimine, secondo la polizia politica, era quello di “diffondere informazioni su internet atte a compromettere l’immagine del regime marocchino”. La sua colpa, l’aver criticato la politica anti-terrorista del regno alawita su alcuni forum di discussione in rete.

sabato 4 giugno 2011

Proteste e repressione in Marocco, una lettura al femminile….


Manifestazione a Marrakech, 8 maggio 2011

Si è firmata HAB, la giornalista e attivista marocchina che in un articolo pubblicato dai siti di informazione Demain on-line e Lakome ha offerto un interessante angolo di lettura del binomio proteste-repressione, ormai braccio di ferro domenicale (e non solo) tra i manifestanti pro-democratici e il regime alawita. Una riflessione al femminile, che mette l’accento sul ruolo avuto dalle donne nei primi mesi di mobilitazioni e sulla progressiva scomparsa della componente femminile dai cortei del “20 febbraio”, dopo l’inizio della “linea dura” impressa dalle autorità. Le donne, ricorda HAB, sono ancora una volta le prime vittime della violenza, sono i bersagli privilegiati degli insulti e delle minacce dei poliziotti, che così facendo le costringono a rinchiudersi dietro alle pareti della vergogna. Le ragazze difficilmente raccontano le loro esperienze all’interno dei commissariati o quanto vissuto per strada, mentre la furia dei poliziotti si scatena su di loro. Quello lanciato dalla giovane giornalista è un grido di allarme e allo stesso tempo un appello ad “infrangere il muro del silenzio”.

Manifestazione a Casablanca, 3 aprile 2011

Intanto, le proteste nel paese continuano. Nuove manifestazioni sono state indette per domenica 5 giugno e la rabbia della gente comincia a crescere. Lo scorso giovedì è morto a Safi il giovane Kamal El Omari, attivista del movimento pestato a sangue dagli agenti domenica 29 maggio, durante un corteo. Kamal è il secondo shaid (martire) della “primavera marocchina”, dopo il decesso di Karim Chaib il 21 febbraio a Sefrou. Il Movimento 20 febbraio non sembra voler cedere di fronte alla morsa repressiva del regime, mentre è attesa per la prossima settimana la presentazione del nuovo testo costituzionale, voluto dal sovrano e redatto dalla commissione Mannouni.

Manifestazione a Rabat, 20 marzo 2011

mercoledì 1 giugno 2011

La stampa internazionale e l’UE allarmate dal “nuovo scenario” marocchino

La Commissione europea ha espresso lunedì scorso (30 maggio) la sua inquietudine per le violenze con cui Rabat ha risposto alle manifestazioni dei giovani marocchini – scesi in piazza per reclamare il cambiamento politico e sociale – domenica 29 maggio a Casablanca, Tangeri, Agadir, Marrakech, Oujda, El Jadida e in molte altre città del regno. “Siamo preoccupati per la violenza di cui è stato fatto uso in Marocco durante le contestazioni di domenica”, ha dichiarato Natasha Butler, portavoce del Commissario UE incaricato delle politiche di vicinato, Stefan Fule. “Chiediamo di contenere l’utilizzo della forza e di osservare il rispetto delle libertà fondamentali”. La stessa portavoce ha sottolineato come la libertà di riunione e di espressione facciano parte di quei “diritti democratici” che il regime afferma, a parole, di garantire.

domenica 29 maggio 2011

Testimonianza dal Marocco che non cede…

“Non molleremo – mamfakinch – porteremo la nostra protesta fino in fondo”, stanno intonando gli attivisti marocchini da Tangeri a Agadir, proprio in questo momento, mentre per la terza domenica consecutiva i manganelli della polizia si abbattono con violenza sulle loro braccia (e non solo), levate pacificamente al cielo. Le proteste guidate dal Movimento 20 febbraio hanno ormai assunto una cadenza settimanale, dappertutto nel paese. I giovani dissidenti hanno deciso in questo modo di sfidare un regime che li reprime apertamente sulle strade e li condanna violentemente a parole attraverso i media (cercando in tutti i modi di provocare una frattura tra le forze politiche e sociali che li appoggiano). “Il movimento si è radicalizzato, vittima degli estremisti islamici e di sinistra che vogliono gettare il paese nel caos”. E’ questa la linea con cui il governo giustifica l'uso sconsiderato della forza che sta facendo, una linea difesa a pieno ritmo dalla stampa nazionale. All’evidenza dei fatti però, sono solo le forze di polizia e chi li guida alla carica di cittadini inermi ad “essersi radicalizzati”. Viene quindi da domandarsi chi, in realtà, stia cercando di “gettare il paese nel caos”. Per il momento, gli attivisti di Giustizia e Carità (associazione islamica non riconosciuta dal regime) e di Annaj Addimocrati (piccolo partito della sinistra radicale che da sempre boicotta le elezioni) restano placidamente al fianco dei dissidenti internauti, vittime della stessa repressione. Tuttavia, se gli arresti e la “guerra aperta” dichiarata dal regime continuerà con questo ritmo, c’è effettivamente da chiedersi per quanto i manifestanti continueranno a scendere in strada, fronteggiando gli anti-sommossa e i poliziotti in tenuta civile (novità dell’ultima ora!) al grido “la nostra marcia è pacifica, non abbiamo né pietre né coltelli”.

Quartiere Sbata, Casablanca, 29 maggio 2011

venerdì 27 maggio 2011

Gioventù ribelle e giochi di potere: quel 23 marzo a Casablanca…

La rivista Zamane (mensile di storia in lingua francese) ha dedicato il numero di maggio ai giovani marocchini “che hanno fatto la storia”. Tra i contributi proposti, merita particolare attenzione l’articolo scritto dal professor Maati Monjib (di seguito tradotto in italiano), già ospite di (r)umori dal Mediterraneo lo scorso febbraio (vai all’intervista). Mentre i giovani del “20 febbraio” rilanciano la sfida al regime (nuove manifestazioni pacifiche sono in programma per sabato 28 e domenica 29 maggio), Monjib si sofferma sulle rivolte scoppiate a Casablanca nel lontano marzo 1965, “il primo vero indizio storico che dimostra come il Marocco abbia mal negoziato il suo patto sociale post-indipendenza”. Oggi quel “patto sociale” che vede ancora una monarchia assoluta garante della stabilità nazionale, fulcro nevralgico della vita politica ed economica del paese assieme ad una corte fatta di “consiglieri particolari” e rappresentanti di partito, è di nuovo messo in discussione. Le formazioni politiche sembrano far quadrato attorno alle “aperture democratiche” promesse dal Palazzo, e rigettano le rivendicazioni della piazza, giudicate “estremiste e sovversive”. In attesa di un nuovo fine settimana ad alta tensione (le autorità hanno già comunicato il divieto ad ogni contestazione), riportiamo alla memoria il triste ricordo di quel 23 marzo a Casablanca…


martedì 24 maggio 2011

La "domenica nera" del Marocco democratico


Attorno alle mura della medina, nella capitale...

RABAT - Premetto, questo è un post particolare, che si differenzia dalla linea seguita fin'ora dal blog. Scorrendolo, non vi troverete analisi, interviste o articoli apparsi nella stampa internazionale, ma solo il breve racconto di un testimone oculare, seguito da una sequenza di immagini e video, che cercano assieme di restituire i contenuti di una "giornata particolare". Quanto accaduto domenica 22 maggio, nelle principali città del Marocco, è la conferma per gli attivisti pro-democratici (il Movimento 20 febbraio e le organizzazioni che lo sostengono) che il regime ha gettato finalmente la maschera, dichiarando guerra alle contestatizioni e chiudendo le porte a quella "libertà di espressione" sbandierata ai quattro venti dal portavoce del governo Khalid Naciri.

domenica 22 maggio 2011

“La ricreazione è finita”

RABAT – Omar Radi, giornalista indipendente (Lakome, Les Echos, Atlantic radio) e attivista del Movimento 20 febbraio, racconta quanto successo nella capitale marocchina il 15 maggio scorso, quando i giovani dissidenti hanno lanciato l’“operazione GuanTemara” (un sit-in di protesta simbolico di fronte alla sede della polizia politica (DST), situata nella foresta di Temara, a pochi chilometri da Rabat – vai al link per maggiori informazioni su cosa succede a Temara) trovando per tutta risposta la violenta repressione della polizia. Nel corso dell’intervista, il ventiquattrenne Radi si sofferma sulla nuova strategia delle autorità (intrapresa dopo l’attentato di Marrakech) nei confronti delle contestazioni che da tre mesi agitano il paese, sul ritorno della violenza all’indirizzo di manifestanti pacifici, sulla perdita di consenso di un regime che rilancia lo spauracchio del terrorismo internazionale e del pericolo islamista per fare quadrato attorno a sé. In attesa delle manifestazioni previste per domani, 22 maggio, “si annunciano giorni oscuri per il movimento e per tutte le forze democratiche marocchine”, ricorda Omar.

Omar Radi durante una conferenza a Rabat

giovedì 19 maggio 2011

Temara, le torture nella “nuova era” marocchina

Domenica 15 maggio, il Movimento 20 febbraio ha organizzato un sit-in di protesta di fronte al centro di detenzione (clandestino) di Temara, a pochi chilometri da Rabat. Queste almeno le intenzioni dei giovani marocchini, poiché l’“operazione GuanTemara”, atto dimostrativo per chiedere la chiusura del centro illegale e l’apertura di un’inchiesta sull’insieme delle violazioni che vi sono commesse, ha scatenato la dura e immediata repressione delle forze di sicurezza. Le decine di attivisti, radunatesi di primo mattino nella periferia della capitale, sono state aggredite dagli agenti anti-sommossa, che si sono abbandonate a pestaggi e inseguimenti nelle vie del quartiere Hay Riad. Niente sit-in e nessuna inchiesta dunque, per il regime l’affaire Temara resta un tabù e i suoi scheletri devono rimanere gelosamente custoditi nell’armadio. Del resto le autorità, ignorando le numerose testimonianze degli ex detenuti che hanno invaso la rete nelle ultime settimane, continuano a smentire l’esistenza dell’oscuro luogo e lo stesso portavoce del governo, Khalid Naciri, ha ribadito domenica scorsa (mentre i manganelli colpivano i manifestanti a pochi isolati dalla sua abitazione) che “Temara è un complesso amministrativo dove lavorano regolarmente dei funzionari”.

sabato 7 maggio 2011

Abdelhak Serhane: “avete detto primavera marocchina?”

Scrittore e intellettuale di fama internazionale, Abdelhak Serhane torna a parlare della contestazione popolare che si è propagata in Marocco in seguito agli appelli lanciati dal Movimento 20 febbraio. Serhane, dopo la Lettera aperta a Mohammed VI, ribadisce la necessità di un cambiamento radicale nel paese, invita la popolazione a portare fino in fondo la sua rivoluzione, a chiudere i conti con un regime totalitario e a compiere finalmente "una decolonizzazione in ritardo di cinquant'anni". Di seguito la traduzione dell'articolo pubblicato dal settimanale marocchino TelQuel (n. 470, dal 23 al 29 aprile).

martedì 3 maggio 2011

Sahara Occidentale: né referendum né diritti umani

Come ogni anno dal cessate il fuoco firmato nel 1991 tra Marocco e Fronte Polisario, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per esaminare il rapporto del Segretario generale Ban Ki Moon e rinnovare il mandato della MINURSO (la missione ONU per l’organizzazione del referendum in Sahara Occidentale). La risoluzione 1979, approvata all’unanimità lo scorso 27 aprile dai quindici membri del Palazzo di Vetro, ha confermato la permanenza dei circa trecento effettivi già dislocati nella ex colonia spagnola (parte ad ovest del “muro di sabbia” – e mine – eretto dalle forze marocchine, parte nella zona controllata dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica) fino al 30 aprile 2012. Tuttavia la realizzazione del referendum – obiettivo dichiarato della missione e primo passo verso l’autodeterminazione del popolo saharawi (nel cammino verso l’indipendenza) – non sembra più essere all’ordine del giorno.
Prevista inizialmente per il gennaio del 1992, la consultazione ha infatti subito sistematici rinvii, fino al definitivo accantonamento sopraggiunto nel 2007, quando Rabat ha sottomesso alle Nazioni Unite il suo “piano di autonomia” per il Sahara Occidentale, prontamente rifiutato dal Polisario e dal fedele alleato algerino. Il Marocco, che dal 1975 ha occupato due terzi della regione assicurandosi una annessione de facto delle “storiche province del sud”, non intende rinunciare alla propria sovranità su Laayoune, Smara e Dakhla, mentre il Fronte di stanza a Tindouf (territorio algerino) continua a sostenere la legittimità della causa indipendentista, portando a supporto delle proprie rivendicazioni la risoluzione ONU 1514 (approvata nel 1960) che riconosce “il diritto dei popoli all’autodeterminazione” e la carta fondativa dell’Unione Africana (1963) che impegna i membri a rispettare “l’intangibilità delle frontiere coloniali”.


lunedì 25 aprile 2011

Marocco: “una rivoluzione urgente e legittima”


Manifestazione a Casablanca, 24 aprile 2011 (foto Othman Essakalli)

A tre mesi dalla prima grande mobilitazione, il Movimento 20 febbraio torna a riempire le piazze del regno alawita al grido “dignità e libertà, democrazia subito”.

domenica 24 aprile 2011

I cedri del Marocco: lo sfruttamento abusivo di una risorsa collettiva

Prendendo spunto dall’articolo di Omar Brouksy ("I cedri dell’Atlante minacciati"), pubblicato nei giorni scorsi dal giornale on-line Lakome, (r)umori dal Mediterraneo ritorna sullo sfruttamento abusivo delle foreste di cedri del Medio Atlante e ripropone due reportage ("La guerra dei cedri" e "Il tesoro rubato dell’Atlante") già apparsi sulle pagine di questo blog nei mesi scorsi. La depredazione dell’unica ricchezza presente nelle alture di una regione povera e marginalizzata, senza che nulla dei proventi di un commercio legale e non (a seconda di chi si incarica della vendita degli arbusti, le autorità locali o le reti mafiose) sia reinvestito in loco, è solo un esempio delle accuse mosse al regime di Rabat dal movimento amazigh (la regione del Medio Atlante è in gran parte berberofona) e più in generale dal Movimento 20 febbraio, che nelle ultime settimane si sta scagliando con veemenza crescente contro una gestione corrotta e torbida delle risorse del paese.

Alcuni cedri nei dintorni di Anfgou (Medio Atlante)

mercoledì 20 aprile 2011

Siria, Algeria, Marocco….concessioni per calmare la piazza

Le proteste delle popolazioni arabe (e berbere) contro regimi dispotici e incancreniti non sembrano diminuire. Di seguito un breve punto della situazione su quanto sta accadendo in Siria, Algeria e Marocco, tre contesti accomunati da tentativi di conservazione alquanto simili proposti dai rispettivi capi di Stato. L’articolo è del giornalista Pierre Haski, pubblicato sul sito di informazione indipendente Rue89 (di cui Haski è uno dei fondatori) il 16 aprile 2011.


domenica 17 aprile 2011

Finalmente libero il cittadino italiano Kassim Britel

Tra i centonovanta detenuti politici usciti di prigione il 14 aprile scorso (in base al comunicato diffuso dalla agenzia stampa marocchina, ma nessuna lista ufficiale è ancora disponibile), in seguito al provvedimento di grazia firmato dal sovrano Mohammed VI, c’è anche il cittadino italiano Abou Elkassim Britel. Kassim, condannato dal tribunale di Rabat a nove anni (in appello, quindici in primo grado) per concorso in attività terroristiche dopo un processo giudicato iniquo dalle ong per i diritti umani marocchine e internazionali, ha lasciato il carcere di Kenitra giovedì sera. Dopo sette anni, sei mesi e ventisette giorni di detenzione (a cui vanno sommati i quattro mesi di reclusione illegale nei locali della DST a Temara, prima del processo), il quarantenne di origine marocchina ha ritrovato la moglie Khadija, donna tenace che non ha mai smesso di battersi per la libertà di Kassim.


sabato 16 aprile 2011

Marocco. Grazia reale per i detenuti politici

La pressione del Movimento 20 febbraio continua. Dopo le manifestazioni e i sit-in del 3 aprile (10 mila persone hanno sfilato per le strade di Casablanca e Marrakech) è in programma una nuova giornata di mobilitazione nazionale per domenica 24 dello stesso mese. Intanto il regime marocchino corre ai ripari per arginare la protesta aprendo a nuove concessioni.


venerdì 1 aprile 2011

Demain on-line, Ali Lmrabet sfida la censura del regime marocchino

RABAT – Non è solo la protesta dei giovani nata su Facebook il prodotto visibile della “rivoluzione internet” in Marocco. Oltre al Movimento 20 febbraio, la “primavera marocchina” sbocciata in rete (e tradottasi in manifestazioni di massa), sembra essersi fatta portatrice di un altro interessante fenomeno: il ritorno dell’informazione indipendente on-line! Un’esigenza, quella della libertà di espressione, legata in maniera indissolubile all’affermazione della democrazia ed alla difesa dei diritti (tra le rivendicazioni principali del movimento di protesta). Un’esigenza sempre più impellente in un paese dove negli ultimi due anni la stampa indipendente è stata imbavagliata a colpi di sentenze e di boicottaggi pubblicitari. Ecco allora che dopo Ali Anouzla (Lakome.com versione arabofona) e Aboubakr Jamai (Lakome.com versione francofona), anche Ali Lmrabet (già direttore dei settimanali Demain e Doumane) ha lanciato nei giorni scorsi il suo giornale elettronico, Demain on-line, sfidando la condanna emessa nel 2005 dal tribunale di Rabat (divieto di esercitare la professione giornalistica per dieci anni).

Ali Lmrabet disegnato da Khalid Gueddar

venerdì 25 marzo 2011

Nadia Yassine e l’“unione sacra” per la democrazia

Dopo l’imponente mobilitazione che domenica scorsa ha portato in strada, nelle principali città del regno, decine di migliaia di marocchini per dire basta all’assolutismo monarchico, la protesta è continuata in settimana con scioperi e manifestazioni in tutte le università. Il Movimento 20 febbraio sembra aver risvegliato definitivamente la coscienza di un popolo stanco di essere suddito e desideroso di dignità, democrazia e uguaglianza. Per capire meglio la natura di questo movimento, dalle caratteristiche inedite nella storia della dissidenza nel paese, (r)umori dal Mediterraneo ha incontrato Nadia Yassine, uno dei volti più rappresentativi dell’associazione islamica Al Adl wal Ihssane (“Giustizia e Carità”). Assieme ai militanti amazigh, alla sinistra radicale e alle ong per i diritti umani, l’organizzazione fondata negli anni ottanta da shaykh Abdessalam Yassine (funzionario al Ministero dell’Educazione e discepolo sufi della confraternita Bushishiyya) è infatti una delle forze sociali che più si è implicata, fin dall’inizio, a sostenere le azioni e le rivendicazioni promosse dal “20 febbraio”.

Giustizia e Carità nella manifestazione del 20 marzo a Rabat

lunedì 21 marzo 2011

20 marzo: sboccia la “primavera marocchina”

RABAT - Il Marocco democratico ha risposto in massa all’appello lanciato dal Movimento 20 febbraio: migliaia di manifestanti, in tutte le città del regno, sono scesi in strada nel “giorno della dignità” (domenica 20 marzo, ndr) per ribadire alle autorità che è ormai finito il tempo dell’autocrazia e del dispotismo. “Il popolo vuole far cadere il regime”, “makhzen (l’apparato tentacolare con cui la monarchia impone il suo controllo assoluto, ndr) vattene! Dissoluzione del governo e del parlamento!”, gli slogan che riecheggiano da Tangeri a Laayoune fino alle piazze della capitale.


sabato 19 marzo 2011

“Un’opportunità storica per tutti i democratici marocchini”

Il Marocco si prepara a vivere una nuova giornata di mobilitazione nazionale. Il Movimento 20 febbraio ha indetto manifestazioni e sit-in in tutto il territorio per domenica 20 marzo, ribattezzato “giorno della dignità”. I giovani dissidenti e le organizzazioni che lo sostengono (riunite nel Consiglio nazionale di appoggio al movimento – CNAM) hanno rifiutato le aperture fatte la settimana scorsa dal sovrano Mohammed VI, che in un discorso alla nazione aveva annunciato la designazione di una commissione per la riforma della costituzione, seguite poi dalle voci di un’imminente liberazione di alcuni detenuti politici.


venerdì 18 marzo 2011

Breve saggio sulla storia del movimento amazigh in Marocco

Che cos’è il movimento amazigh? Meglio ancora, chi sono gli imazighen (plurale di amazigh)? Domande a cui è necessario fornire una risposta chiara e immediata, visto il peso e la visibilità che tale movimento ha assunto nella mobilitazione seguita al “20 febbraio” in tutto il territorio marocchino.


mercoledì 16 marzo 2011

La sacralità della monarchia marocchina è un freno al processo democratico

In un momento in cui molto si dicute in Marocco a proposito di costituzione, della sua riforma e del rapporto tra monarchia e democrazia, ecco un articolo estremamente interessante pubblicato ieri da Ahmed Benchemsi sulle colonne di Le Monde (di seguito tradotto in italiano). Benchemsi, direttore del settimanale francofono Tel Quel fino al dicembre 2010 e attualmente ricercatore all’università di Stanford, analizza le contraddizioni e le ambiguità del discorso pronunciato da Mohammed VI il 9 marzo scorso, focalizzando la sua attenzione sul carattere divino del potere del sovrano alawita, un elemento inconciliabile con la natura della pratica democratica in qualsiasi forma di Stato essa sia concepita.


Marocco. A. Jamai rilancia l’informazione indipendente in francese

Ali Anouzla nella redazione di Lakome
Il giornale on-line Lakome.com, come annunciato qualche giorno fa a (r)umori dal Mediterraneo dal suo fondatore Ali Anouzla, è ormai disponibile in versione francofona. Lakome, creato circa tre mesi fa in lingua araba, è diventato un punto di riferimento irrinunciabile con le sue 100 mila visite giornaliere per tutti coloro che vogliono accedere ad un’informazione indipendente nel paese. Un’esigenza sempre più necessaria, dopo la stretta autoritaria del regime che negli ultimi anni ha portato alla chiusura dei supporti meno inclini alla propaganda ufficiale del Palazzo (gli esempi più recenti, Al Jarida Al Oula e Nichane), ha radiato i giornalisti più zelanti dalla professione (Ali Lmrabet, direttore dei settimanali Demain e Doumane, è stato condannato a quattro anni di carcere e poi al divieto dell’esercizio per dieci anni) o ha costretto quei direttori non abbastanza accomodanti ad abbandonare il territorio nazionale (è il caso di Ahmed Benchemsi, direttore di Tel Quel fino al dicembre 2010).
Aboubakr Jamai
L’avvio della versione Lakome in lingua francese segna il ritorno nel panorama mediatico marocchino del noto giornalista Aboubakr Jamai, già fondatore e direttore dei settimanali Le Journal (poi Le Journal Hebdomadaire, vittima del boicottaggio pubblicitario nel gennaio 2010) e Assahifa. A completare l’equipe nei locali di avenue Al Alaouyine (Rabat) altre due penne d’eccezione, Aziz El Yaakoubi (Zamane, Le Journal Hebdomadaire) e Omar Radi (Les Echos, Atlantic Radio). Ed è proprio con uno scoop sulla chiusura dei settimanali Le Journal e Assahifa (oltre a Demain), ordinata dal primo ministro Abderrahman Youssoufi nel dicembre 2000, che Jamai e compagni hanno inaugurato la nuova avventura. In base alle rivelazioni fatte a Lakome da un ex consigliere (Abdelaziz Nouidi) del premier socialista, non fu Youssoufi a volere l’interdizione dei tre giornali ma il Palazzo reale attraverso l’intervento del consigliere di fiducia di Mohammed VI Andrès Azoulay.


lunedì 14 marzo 2011

Cartoline dalla Casablanca democratica

Place Mohammed V, Casablanca (ore 11:30). “Ecco cosa intendeva il re quando nel suo discorso ha parlato di «larga consultazione popolare»”, il commento riportato su Facebook in riferimento a questa foto.


Place Mohammed V, Casablanca (ore 11:30). “Quando la dittatura non ha più argomenti utilizza il manganello”, il commento riportato su Facebook in riferimento a questa foto.


domenica 13 marzo 2011

Le aperture di Mohammed VI e la costituzione marocchina: alcune considerazioni…

Dopo il discorso pronunciato da Mohammed VI il 9 marzo, cha ha annunciato la formazione di una commissione (di nomina reale) per la riforma della costituzione, il Movimento 20 febbraio ha rilanciato le sue rivendicazioni, rifiutando in blocco le “aperture” proposte dal regime.


giovedì 10 marzo 2011

“Ashab yurid dustur al jadid”

RABAT – “Il popolo vuole una nuova costituzione” (Ashab yurid dustur al jadid), “il popolo rifiuta la costituzione degli schiavi”, questi gli slogan che da domenica 20 febbraio rimbalzano da una parte all’altra del territorio marocchino, da Tangeri a Marrakech, dalle grandi città ai piccoli villaggi remoti del Rif, dell’Atlante e dell’Orientale. Anche domenica 6 marzo, le manifestazioni promosse dal movimento di giovani nato su Facebook, sulla scia della rivoluzione tunisina e di quella egiziana, hanno animato in maniera pacifica le piazze dei principali centri del paese (Casablanca, Tangeri, Marrakech, El Jadida, Oujda). Le forze di sicurezza, tuttavia, non hanno dimostrato altrettanta maturità e, come nel caso del sit-in a Rabat, hanno reagito con violenza gratuita e ingiustificata.


lunedì 7 marzo 2011

Lettera aperta a Mohammed VI

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato nella sua edizione del 4 marzo 2011 una lettera aperta, indirizzata al sovrano alawita dallo scrittore Abdelhak Serhane. E’ una delle rare prese di posizione ufficiali da parte della “classe intellettuale marocchina” (oltre alle dichiarazioni del filosofo Ahmed Assid) a sostegno del Movimento 20 febbraio registrate fino ad ora. In questa lettera (di seguito il testo integrale tradotto in italiano) Serhane si schiera in favore del cambiamento democratico e denuncia senza mezzi termini la responsabilità della monarchia nella paralisi sociale, economica e politica che sta privando il popolo maghrebino della propria dignità e della propria libertà (come sostenuto dai giovani del Movimento).


venerdì 4 marzo 2011

Lakome.com o il “Wikileaks marocchino”

Nel cuore della Rabat coloniale, quartiere Hassan, lungo i binari che tra poche settimane ospiteranno il primo tram in funzione nella capitale, si affacciano le finestre di Lakome.com. Ad attendermi nei locali della redazione c’è Ali Anouzla, icona del giornalismo indipendente marocchino e direttore del sito internet (creato nel novembre 2010) che in pochi mesi è diventato il punto di riferimento nel paese per l’informazione alternativa in lingua araba. Alcuni lo chiamano il “Julian Assange marocchino”, non solo per la sua attività di internauta e per la facilità di accesso alle fonti disponibili in rete. Nel 2008, infatti, Anouzla aveva pubblicato nel quotidiano Al Jarida al Oula alcune testimonianze sugli “anni di piombo” secretate dall’Istanza di Equità e Riconciliazione, che suscitarono l’ira del regime.


martedì 1 marzo 2011

Il “20 febbraio” di Khalid Gueddar

“La via marocchina”
Il trono marocchino, protetto dai poliziotti con scudi e manganelli, poggia su una bomba che sta per esplodere…


martedì 22 febbraio 2011

Il "Marocco del 20 febbraio": una cronaca sconosciuta

RABAT – Come annunciato dal Movimento 20 febbraio attraverso Facebook ed internet in generale, domenica scorsa si sono svolte manifestazioni in tutto il territorio marocchino. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, le dimostrazioni “per la democrazia e la dignità” hanno coinvolto trentacinque città per un totale di circa 75 mila partecipanti. Sempre secondo il Ministero, al termine della giornata si sono registrati cinque morti, centoventotto feriti e centoventi persone in stato di fermo. Diverse sono le stime degli organizzatori, che parlano di cinquantatre centri abitati toccati dall’iniziativa e di circa 300 mila aderenti. Nessuna ipotesi è stata avanzata in merito ai contusi e ai manifestanti finiti in arresto. In ogni caso al momento non è possibile disporre di cifre esatte, anche perché non c’è stata copertura mediatica degli eventi prodottisi nelle regioni interne del paese, dove la protesta ha coinvolto interi villaggi ed ha assunto toni più duri. Una protesta proseguita il giorno seguente, tra rivolte popolari, repressione violenta da parte delle autorità e tentativi di suicidio, che non sembra destinata ad arrestarsi nell’immediato.



venerdì 18 febbraio 2011

Marocco: aspettando il 20 febbraio/2

RABAT – Manca poco ormai al 20 febbraio, giorno in cui in tutto il territorio nazionale sono annunciate manifestazioni di protesta contro l’assolutismo monarchico e in favore della democrazia. La società marocchina comincia a muoversi. Giovedì 17 febbraio le organizzazioni per la difesa dei diritti umani (quattordici in totale), guidate dal Forum Verità e Giustizia e dall’Associazione marocchina dei diritti dell’uomo (AMDH) hanno convocato una conferenza stampa per sostenere pubblicamente i gruppi di giovani che hanno promosso l’iniziativa via internet. “Condividiamo le rivendicazioni degli organizzatori e chiediamo: una riforma della costituzione che faccia del popolo la sola fonte di legittimità e sovranità; l’instaurazione di un regime parlamentare democratico, basato su una vera separazione dei poteri; il rispetto delle libertà pubbliche e individuali, e la fine della censura; il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche per restituire la dignità al popolo marocchino”, questo in sintesi il comunicato rilasciato dalla coordinazione, riunitasi ieri pomeriggio nei locali dell’AMDH.



mercoledì 16 febbraio 2011

“In caso di rivolta l’obiettivo sarà la monarchia”

RABAT - Maati Monjib è professore di Storia e politica dei paesi del Maghreb all’Università di Rabat (Institut des Etudes Africaines, Université Mohammed V—Souissi) e Chairman dal 2008 al Saban Center for Middle East Policy (The Brookings Institution, Washington, D.C.). Oltre ad essere tra i fondatori del Centre Ibn Rochd d'Études et de Communication (Rabat), collabora attualmente con il mensile storico-divulgativo Zamane.
Nel 1992 il Professor Monjib ha pubblicato uno dei primi studi accademici sull’edificazione dell’assolutismo monarchico in Marocco. Il libro, La monarchie marocaine et la lutte pour le pouvoir: Hassan II face à l'opposition nationale, de l'indépendance à l'état d'exception (Paris, L'Harmattan), è tuttora vietato nel paese. Partendo dall’analisi della sua opera, Maati Monjib ricostruisce il quadro politico del Marocco post-indipendenza e l’evoluzione del sistema di potere nello Stato maghrebino fino ai giorni nostri. Descrive i rapporti di forza che legano la monarchia di Mohammed VI al panorama politico attuale, e parla del ruolo rivestito dalle forze islamiste e dalla società civile, in un paese che si prepara all’esplosione del dissenso (appuntamento fissato per il 20 febbraio).


martedì 15 febbraio 2011

Viaggio di sola andata per Tindouf

La censura continua a mietere vittime in Marocco. Se non è il regime ad incaricarsene direttamente (come nei casi di Akhbar al Youm, Al Jarida al Oula, Al Michaal, Tel Quel, Nichane e Le Journal Hebdomadaire), sono le stesse redazioni a stravolgere gli articoli che potrebbero non essere graditi al Palazzo. E’ il caso della giovane rivista Zamane, un mensile a carattere storico-divulgativo da poco in edicola. Un magazine indipendente che ha proposto fino ad ora un lavoro senz’altro meritevole. Tuttavia, quando il giornalista Aziz El Yaakoubi ha presentato un articolo sulle origini dell’esodo saharawi verso i campi di Tindouf (1975-’76), i vertici della redazione hanno censurato alcuni passaggi chiave del pezzo (come per esempio le testimonianze dei bombardamenti al napalm sulla popolazione civile in fuga effettuati dall’aviazione marocchina o le responsabilità della “marcia verde” sulla partenza dei rifugiati). Evidentemente, dopo la stretta repressiva esercitata negli ultimi due anni da Rabat sulla stampa indipendente, anche le pubblicazioni più serie e rispettabili come Zamane sentono il bisogno di “autoregolarsi” per non incorrere in sanzioni o ritorsioni giudiziarie. Un ulteriore conferma della morte della libertà di stampa in questo paese. Tanto più che la questione del Sahara resta una delle principali linee rosse espressamente elencate nel Code de la presse in vigore dal 2003.
L’articolo in questione, “Aller simple pour Tindouf”, è stato pubblicato nel mese di dicembre (Zamane, n. 2) con le opportune modifiche del caso. L’autore, Aziz El Yaakoubi, si è rifiutato di firmarlo. Di seguito la versione integrale tradotta in italiano.



sabato 12 febbraio 2011

Jilani Hamami, un sindacalista “dissidente” tunisino si racconta


TUNISI - Jilani Hamami, oltre ad aver ricoperto la carica di segretario generale dei funzionari PTT (federazione di categoria, posta e telecomunicazioni, che fa parte dell’Unione generale dei lavoratori tunisini - UGTT, ndr), è uno dei fondatori del Partito comunista dei lavoratori tunisini (PCOT). Sindacalista “dissidente” e oppositore politico durante il regime Ben Ali, Hamami parla delle connivenze tra l’UGTT e l’ex dittatore e racconta la sua lotta all’interno del sindacato di cui è membro ancora oggi.


mercoledì 9 febbraio 2011

Ritorno a Sidi Bouzid, epicentro della rivolta tunisina (e araba)

E’ passato un mese dalla fuga di Ben Ali e dalla conquista di Cartagine. Quasi due dall’inizio del sollevamento, divampato nelle remote (e fino a quel momento sconosciute) regioni dell’interno, mentre la transizione democratica fatica a muovere i primi passi. Ritorno da dove tutto è cominciato…



domenica 6 febbraio 2011

Marocco: aspettando il 20 febbraio…

In Egitto continuano le manifestazioni per chiedere la partenza di Mubarak. La Tunisia è di nuovo teatro di violenze e scontri in tutto il paese. La popolazione e i partiti di opposizione contestano la nomina dei nuovi governatori locali fatta dall’esecutivo provvisorio. Sabato 5 febbraio nella città di El Kef, quattro persone (due secondo il Ministero dell’Interno) hanno perso la vita durante un assalto delle milizie dell’RCD (partito dell’ex presidente) alla caserma della polizia. Intanto il ministro dell’Interno Ferhat Najhi ha annunciato la sospensione dell’ex partito al potere “in attesa di presentare una domanda ufficiale alla giustizia per ottenere la sua dissoluzione”.
Nel regno alawita cresce la tensione in vista della giornata di mobilitazione annunciata per il prossimo 20 febbraio. “Per cambiare il Marocco, libertà e democrazia subito” è lo slogan promosso da Rachid Antid, giovane internauta che ha lanciato l’evento su Facebook una settimana fa. L’Associazione marocchina per i diritti umani e l’organizzazione islamica Giustizia e Carità (non riconosciuta dal regime) hanno dichiarato pubblicamente il loro sostegno alle manifestazioni in programma su tutto il territorio nazionale. Nel frattempo aumentano i segnali di un possibile contagio delle rivolte scoppiate in Tunisia e in Egitto. Nelle ultime settimane si sono registrati quattro tentativi di suicidio. L’ultimo il 1° febbraio, quando un giovane insegnante si è dato fuoco di fronte al Ministero dell’Educazione. Nei giorni scorsi ci sono stati incidenti e decine di feriti nella città di Fes, dove le associazioni degli studenti marxisti avevano indetto una marcia di protesta repressa dalla polizia.


sabato 5 febbraio 2011

Delenda Trabelsi, o la rivincita del popolo tunisino

La rivolta tunisina si è lasciata dietro le vestigia di un clan decadente. Reportage al centro delle rovine e degli ex voto, sulla scia della rivoluzione.

Sulla colonna di destra che regge il porticato in pietra c’è inciso Dar Bouazizi (“Casa Bouazizi”). Così i tunisini in rivolta hanno ribattezzato la villa di Moez Trabelsi, dopo averla saccheggiata. Passato l’ingresso, sotto l’arco a tutto sesto color salmone, un’altra scritta simile cattura subito lo sguardo: “riposa in pace Bouazizi”, in riferimento al giovane ambulante di Sidi Bouzid che si è immolato il 17 dicembre scorso cospargendosi il corpo di benzina. Da lì è cominciata la rivoluzione che ha portato poi alla fuga dell’ex presidente Ben Ali.
Una decina di tunisini incuriositi passeggiano all’interno della casa, (ex) proprietà di uno dei dieci fratelli di Leila Trabelsi, la premiere dame scappata a Jedda assieme al suo sposo. Passo dopo passo scoprono quel che resta di un impero decadente, toccando con mano il fasto in cui era immerso il clan al potere e leggendo con soddisfazione i messaggi impressi sulle pareti dai loro compatrioti. Sul muro di cinta che proteggeva la residenza dagli sguardi indiscreti di un popolo affamato di pane e libertà, una citazione dell’imam Ali (il quarto califfo, cugino e genero del profeta dell’islam) suona come un monito per i prossimi candidati dittatori: “se il tuo potere ti porta ad essere ingiusto con le genti, ricordati del potere che Dio ha su di te”.