Nel Maghreb è la Tunisia ad avere il minor numero di berberofoni,
ma il primato nella "folklorizzazione" del loro patrimonio. Dopo la
rivoluzione, gli attivisti amazigh stanno cercando di restituire importanza a
una cultura ridotta per decenni ad attrattiva turistica.
Tra i paesi del Maghreb, la Tunisia detiene il minor numero di
berberòfoni (1) e allo stesso tempo il primato nella
"folklorizzazione" del patrimonio amazigh (berbero, ndt): Matmata e le sue case troglodite,
i tappeti berberi, il couscous berbero, la tenda berbera…elementi dei quali
Mongi Bouras, curatore del museo di Tamerzert (2) mostra tutta la studiata
artificiosità.
Il tratto distintivo “berbero” appare come una garanzia di
autenticità, il contrassegno del carattere locale, ancestrale ma anche emblema
di un passato destinato al consumo del turista.
Il patrimonio amazigh non è un tabù né un fardello, come è stato a
lungo per il Marocco, ma appartiene alla storia del paese e rappresenta un
aspetto, locale e relativo, del retaggio che contribuisce a formare il
“mosaico” della Tunisia mediterranea e tollerante.
Le ricerche universitarie in materia, però, difficilmente
risultano imparziali. Per molti sociologi tunisini rimane almeno una “minoranza
berbera” locale, della quale i tratti comuni con il Marocco e l’Algeria non
possono essere negati, ma che manca di un ancoraggio concreto rispetto alla
società attuale.
Al contrario, gli storici della facoltà La Manouba a Tunisi,
riabilitano da qualche anno gli studi sui “patrimoni minoritari” tra i quali
appunto quello amazigh.
La dimensione politica amazigh invece non è mai esistita in
Tunisia, anche se sono presenti pulsioni nazionaliste arabe che temono una
possibile "coesione berbera" con le realtà degli altri paesi della
regione.
Rim Saidi, presentatrice tunisina del canale Nessma Tv, aveva
timidamente affermato di avere un nonno berbero, dando vita ad un’aspra
polemica che ha alimentato la teoria del complotto sionista e anti-musulmano
del canale.
Contrariamente all’Algeria e al Marocco, dove risiedono identità
più definite e radicate, in Tunisia, “Amazigh” non è considerato (ancora?) il
contrario di “Arabo”.
Non entra neanche pienamente in conflitto con l’islamismo del
partito Ennahdha o con il nazionalismo arabo del partito CPR (Congrès pour la
République, di Marzouki, ndt); attivisti di associazioni locali del sud-est
hanno sostenuto i due partiti alle ultime elezioni e continuano a farlo anche
oggi. Inoltre, sfatando il mito della “berbericità” laica, essa può declinarsi
perfino in un Islam conservatore come nel caso dell’Ibadismo di Djerba (3).
Per i berberòfoni della Tunisia, essere amazigh non ha molto senso
al di fuori del fatto di parlare la lingua in famiglia, nel villaggio, o a
Tunisi, per non essere capiti dagli altri.
Finora la lingua amazigh, che come in tutti i paesi del Maghreb
varia da regione a regione, appare niente di più che un tocco locale, un
patrimonio familiare, una caratteristica quasi personale della quale non ci si
domanda né l’origine né il futuro.
Lo sviluppo del turismo maghrebino nelle regioni berberòfone (4) e
l’emigrazione in Francia hanno permesso il contatto tra amazigh provenienti da
differenti regioni del Maghreb.
Questi contatti, di amicizia o di militanza, hanno aiutato la
concettualizzazione di una lingua amazigh non più relativa al locale o al
nazionale, ma estesa a tutto il nord Africa. Hanno favorito la riflessione
sulla sua importanza storica, culturale e identitaria.
Da alcuni anni, attivisti marocchini e algerini indipendenti o legati
al Congès Mondial Amazigh (CMA) mantengono relazioni con tunisini propensi alla
militanza in loco, ma più spesso in Francia, soprattutto a Parigi.
Alla caduta del regime autoritario di Ben Ali, prende forma la
prima associazione tunisina per la cultura amazigh (ATCA), durante una riunione
preparatoria del CMA tenutasi simbolicamente a Tataouine nell'aprile 2011,
simbolo di una rinascita berbera imminente in Tunisia come in Libia.
Durante l’assemblea dell’ultimo CMA, che ha avuto luogo per la
prima volta dalla sua fondazione in Tunisia (Djerba, settembre 2011),
l’elezione del presidente libico, Fathi Benkhalifa, permette di allargare i
confini della militanza amazigh alla Libia, fino ad allora esclusa a causa
della dura repressione del regime di Gheddafi contro l'attivismo berbero.
L’espressione dell’identità amazigh in Libia interagisce così con
la nascente militanza tunisina. Interessi di tipo commerciale e familiare hanno
da sempre legato tunisini del sud-est e libici dell’ovest, ma le ripercussioni
politiche tra 2011-2012 hanno creato un nuovo spazio di dibattito identitario e
politico.
Nel 2011, tra i numerosi rifugiati libici, alcuni berberofoni
trovano rifugio nel sud-est tunisino. Parallelamente, l’appena nata
associazione amazigh di Djerba (Guellala) organizza alcuni incontri con i
libici di Djeb Nefoussa, alla ricerca di un’identità comune di cui la lingua
sarebbe una prima prova (le varietà di berbero di Djeb Nefoussa in Libia e di
Gellala in Tunisia, separate da un centinaio di chilometri, sono simili).
Attualmente, per le associazioni locali del sud-est tunisino, la
militanza “sul campo” privilegia la salvaguardia di un patrimonio linguistico e
artistico vivente, onorato da serate musicali o da altre iniziative mirate.
Oggi alcuni giovani provenienti da villaggi berberofoni sperduti e
isolati (Taoujout, Zraoua) sperano di accelerare lo sviluppo (strade, acqua ed
elettricità correnti, bar, internet point) servendosi della berberità come
elemento catalizzatore.
Infine, soprattutto a Tunisi, “la militanza amazigh” diventa il
simbolo culturale per una certa opposizione di sinistra nel contesto
post-elettorale, quella di una cultura sindacale laica e di un
anti-nazionalismo arabo. E così i primi “io non sono arabo” indirizzati al
governo, appaiono sui profili Facebook.
Da parte sua lo Stato, tramite il ministro alla cultura Mehdi
Mabrouk, presenta la Tunisia come una nazione araba e musulmana aperta alla
pluralità (ta’adoudiya) e rifiuta la
categorizzazione di “minoranza” (aqaliyyat)
per la cultura berbera, che classifica nella “diversità culturale” (tanawa’ thaqafi), adeguando la
definizione alla carta dell’UNESCO.
Nella Tunisia post-rivoluzione, lo Stato sembra aver capito
l’importanza della questione: “Non si può essere una democrazia senza essere
aperti alla diversità culturale” afferma il ministro.
Tuttavia, in seguito alla diffusione di un reportage televisivo
sugli amazigh in Tunisia, il settimanale di orientamento islamista El Fajer pubblica un articolo (5) che
scatenerà le reazioni negative degli attivisti amazigh. Il giornalista denuncia
che “la maggior parte dei militanti amazigh di Tunisi abitano all’estero,
soprattutto in Francia” e che questo gruppo “etichettato laico” (tâbi’a al ‘almâni) cerca di “fondare una
nuova identità al di fuori dell’ambito dell’identità religiosa”.
Ma l’attacco più insopportabile per gli attivisti è quello che
riduce la loro cultura a “resti di spazzatura, dei quali neppure i polli si
nutrirebbero”.
E’ proprio questa assimilazione della cultura amazigh a resti,
rovine, tracce culturali che vanno perdendosi, a persone semplici e povere, che
indignano la comunità militante amazigh.
Le associazioni tunisine ma anche quelle marocchine, hanno
pubblicato comunicati increduli riguardo all’articolo di El Farej. Tra questi spicca la risposta di un membro
dell’associazione ATCA, firmato ironicamente "Un abitante di Tamezret,
villaggio di uomini preistorici".
L'attivista ricorda la sua prigionia e l’esilio forzato di 30 anni
sotto i regimi precedenti (per la sua militanza sindacale), colloca la Tunisia
nella Tamazgha al koubra ("lo
spazio amazigh transnazionale") e informa sul recente insegnamento della
grafia tifinagh a Tunisi.
Ripristina così la dimensione della civiltà (scrittura, storia)
berbera che il giornalista aveva screditato.
Ma la reazione ufficiale, pubblicata sullo stesso giornale
filo-islamista la settimana successiva, proviene dal presidente
dell’associazione Azrou pour la culture amazigh, Arafat Almahrouk.
Dal villaggio di Azrou, dove Ennahdha ha ottenuto il 70% dei voti
alle ultime elezioni, egli afferma che la questione amazigh non è legata ad
un’ideologia politica, che è nazionale e che non offende la religione
musulmana.
Ed è proprio questa la realtà delle cose a livello locale: non
entrare in opposizione diretta con il partito islamista Ennahdha nelle regioni
che hanno, d’altronde, aderito alla sua ideologia.
[Articolo di Stephanie Pouessel, traduzione a cura di
Osservatorioiraq.it]
(1) Dai
principali studi sull’argomento, è stato stabilito che rappresentano circa l’1%
della popolazione ; un militante amazigh di Tunisi, l'ottobre scorso, ha
affermato che i berberi sarebbero in realtà più del 10%. In ogni caso, questa
debole percentuale deriva dalla conquista islamica del Maghreb che ha significato
l'arabizzazione quasi completa della regione; in aggiunta, dall’indipendenza,
la Tunisia registra il più elevato tasso di alfabetizzazione in arabo tra i
paesi del Maghreb
(2)
Villaggio situato nel sud-est tunisino, regione di Matmata
(3) Uno
Cheikh ibadita berbero di Guellala spiega che la lingua berbera è sopravvissuta
sull’isola di Djerba grazie alla presenza millenaria del culto ibadita,
testimonianza televisiva nel programma “Fissamim” che dedica un servizio alla
cultura amazigh, canale Ettounsiya, 2.11.2012.
(4) Regione
di Matmata – Tamerzet, Zraoua, Taoujout ; regione di Djerba – Guellala,
Sedouikch, Ajim ; regione di Tataouine – Douiret, Guermessa, Chenini.
(5) Salim Al-Hakimi, “man yourid tahrik khouyout al fitna al amazighiya
fi tounis ?” (Chi vuole
alimentare le divisioni in Tunisia ?), Al Fajer, 16.11.2012, p.9.
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