“Non molleremo – mamfakinch – porteremo la nostra protesta fino in fondo”, stanno intonando gli attivisti marocchini da Tangeri a Agadir, proprio in questo momento, mentre per la terza domenica consecutiva i manganelli della polizia si abbattono con violenza sulle loro braccia (e non solo), levate pacificamente al cielo. Le proteste guidate dal Movimento 20 febbraio hanno ormai assunto una cadenza settimanale, dappertutto nel paese. I giovani dissidenti hanno deciso in questo modo di sfidare un regime che li reprime apertamente sulle strade e li condanna violentemente a parole attraverso i media (cercando in tutti i modi di provocare una frattura tra le forze politiche e sociali che li appoggiano). “Il movimento si è radicalizzato, vittima degli estremisti islamici e di sinistra che vogliono gettare il paese nel caos”. E’ questa la linea con cui il governo giustifica l'uso sconsiderato della forza che sta facendo, una linea difesa a pieno ritmo dalla stampa nazionale. All’evidenza dei fatti però, sono solo le forze di polizia e chi li guida alla carica di cittadini inermi ad “essersi radicalizzati”. Viene quindi da domandarsi chi, in realtà, stia cercando di “gettare il paese nel caos”. Per il momento, gli attivisti di Giustizia e Carità (associazione islamica non riconosciuta dal regime) e di Annaj Addimocrati (piccolo partito della sinistra radicale che da sempre boicotta le elezioni) restano placidamente al fianco dei dissidenti internauti, vittime della stessa repressione. Tuttavia, se gli arresti e la “guerra aperta” dichiarata dal regime continuerà con questo ritmo, c’è effettivamente da chiedersi per quanto i manifestanti continueranno a scendere in strada, fronteggiando gli anti-sommossa e i poliziotti in tenuta civile (novità dell’ultima ora!) al grido “la nostra marcia è pacifica, non abbiamo né pietre né coltelli”.
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Quartiere Sbata, Casablanca, 29 maggio 2011 |