Storica enclave spagnola situata in territorio marocchino, Melilla può essere considerata – assieme alla gemella Ceuta – una delle principali vie di accesso all’Europa per i flussi migratori provenienti dall’Africa nera. La città autonoma (che a differenza delle altre autonomie iberiche non ha il potere di legiferare né un proprio tribunale) sorge lungo la costa mediterranea del regno, non troppo distante dal confine con l’Algeria. Ammassati nei boschi di Gourougou, sul promontorio che sovrasta il porto e la vecchia fortezza, o nascosti nella vicina Nador, decine di maliani, nigeriani, congolesi ma anche pakistani e bengalesi aspettano l’occasione giusta per varcare le temibili frontiere dello spazio Shengen. La crisi economica che sta mettendo in ginocchio parte dell’eldorado europeo non scoraggia gli animi di chi è in cerca di un futuro. Come non li scoraggiano le retate notturne della polizia spagnola o di quella marocchina.
Tuttavia, l’ingresso nell’enclave non garantisce ai migranti la realizzazione del piano e il passaggio ad una nuova vita. Con i suoi 70 mila abitanti e i circa 30 mila lavoratori transfrontalieri che ogni giorno varcano il confine del territorio maghrebino, Melilla si è infatti trasformata in una barriera di contenimento più che in uno spazio di accoglienza o meglio ancora di transito verso la penisola. Solo una minima parte delle centinaia di sin papeles (oltretutto senza diritti né la possibilità di un impiego) che popolano la città riesce ad imbarcarsi nelle navi dirette ad Algeciras, le regolarizzazioni avvengono con il contagocce, mentre chi sfugge all’espulsione o al rimpatrio forzoso resta nel limbo di Cañada fatto di cartoni, baracche di fortuna e lavoretti saltuari (lavavetri, parcheggiatori..) o nel perimetro del CETI (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes).
Costruito nel 1998, il centro di permanenza temporanea voleva essere una risposta, oltre al rafforzamento del reticolato di frontiera, la valla, alla prima grande emergenza immigrazione vissuta nell’enclave ad inizio degli anni novanta, quando arrivarono a Melilla centinaia di profughi subsahariani. Da allora il controllo dei nove chilometri di recinzione, che “custodiscono” una superficie di appena 12 chilometri quadrati, si è fatto sempre più serrato, sia da parte della Guardia Civil che della Gendarmerie.
(Credit foto: Jacopo Granci) |