(Articolo pubblicato da Tel Quel, n. 410, 6-12 febbraio 2010)
L’ultima conferenza stampa tenuta dall’equipe del
Journal Hebdomadaire mercoledì 3 febbraio ha l’aria di una veglia funebre. La sala trabocca di gente, ma fa ugualmente freddo. La luce, capricciosa, scompare e poi ritorna, in una danza di macabre penombre e di lunghi silenzi. Con voce tremante Aboubakr Jamai racconta la storia del giornale che lui stesso ha fondato nel 1997. Ne ripercorre tutta la vita, fino al momento della morte sopraggiunta lo scorso 27 gennaio, quando cinque uscieri del tribunale hanno messo i sigilli ai locali della pubblicazione e ne hanno sequestrato tutti i beni. Secondo le voci che circolano,
Le Journal ha contratto un debito di circa 15 milioni di dirham (1,3 milioni di euro circa) nei confronti del fisco e della cassa di previdenza sociale. Lo Stato reclama quanto dovuto, in special modo i 4,5 milioni di credito che spettano alla CNSS, per il periodo tra il 1997 e il 2003. Jamai non contesta gli insoluti accumulati dal
Journal, ma lamenta i vizi di forma presenti nella procedura che ha decretato la morte del settimanale e la sorprendente celerità della giustizia. Il verdetto di primo grado, infatti, è stato messo in atto ad una velocità record, senza attendere il risultato del processo d’appello. Resta il fatto che la pubblicazione simbolo degli anni duemila è ormai morta e sepolta. Ecco qui la sua storia.