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venerdì 18 marzo 2011

Breve saggio sulla storia del movimento amazigh in Marocco

Che cos’è il movimento amazigh? Meglio ancora, chi sono gli imazighen (plurale di amazigh)? Domande a cui è necessario fornire una risposta chiara e immediata, visto il peso e la visibilità che tale movimento ha assunto nella mobilitazione seguita al “20 febbraio” in tutto il territorio marocchino.



Con il termine imazighen (amazigh in lingua berbera significa “uomo libero”) si definiscono quelle popolazioni presenti nella regione nordafricana (essenzialmente maghrebina) volgarmente conosciute con il nome di “berberi”, prima dell’arrivo degli arabi in espansione dalla regione del Golfo persico. Nonostante la conquista, l’assoggettamento, i tentativi di “arabizzazione” e la conversione alla religione islamica, le tribù berbere hanno conservato per secoli l’attaccamento alle loro tradizioni, ai loro costumi, oltre che alla loro lingua, e un forte radicamento nei territori di appartenenza. Territori che, dopo l’indipendenza raggiunta dal Marocco e dall’Algeria (i due Stati maghrebini in cui la componente amazigh è più consistente), sono stati lasciati ai margini dello sviluppo sociale e industriale, mentre ogni riferimento alla berberità veniva escluso dagli impianti identitari (memoria storica collettiva, riconoscimento linguistico e culturale) in costruzione nei due paesi.
Questa esclusione, sia geografica che identitaria, ha portato alla genesi e poi al consolidamento dei movimenti berberi nei due paesi (tralascio in questa sede l’analisi delle affinità e delle diversità dei due casi), le cui rivendicazioni hanno assunto sempre più consistenza e visibilità negli ultimi decenni (dagli anni ottanta nel caso algerino e dagli anni novanta nel regno alawita). Di seguito un rapido escursus sulla storia e le caratteristiche del Movimento amazigh marocchino.

La bandiera amazigh: il giallo rappresenta i berberi del deserto, il verde quelli di montagna, il blu i berberi delle Canarie e della diaspora. In rosso lo "zed amazigh", simbolo dell'uomo libero.

In Marocco il movimento amazigh ha conosciuto in questi ultimi anni un processo di ringiovanimento e di espansione della sua base sociale. La sua presenza ha oltrepassato i campus universitari (Meknès, Agadir, Marrakech, Errachidia) e i circoli della borghesia berbera urbana, insediatasi nelle grandi città del regno durante le prime migrazioni interne nel primo decennio del dopo indipendenza, fino ad arrivare alle regioni povere del “Marocco profondo”. Il movimento si caratterizza per il vasto numero di associazioni (nazionali, regionali e locali) che lo compongono, per il suo radicamento nell’insieme del territorio nazionale e per la sua presenza, consolidata negli ultimi dieci anni, nel dibattito politico ufficiale (grazie alla visibilità assunta dagli intellettuali e dagli accademici che ne fanno parte) su questioni ben definite (la laicità dello stato, l’autonomia regionale, la revisione della costituzione, i diritti dell’uomo e l’identità nazionale).

La “question amazigh” appare nel dibattito politico ufficiale marocchino, solo nella prima metà degli anni novanta. Il defunto re Hassan II propone per la prima volta il 20 agosto 1994 l’insegnamento nelle scuole elementari dei tre “dialetti marocchini”, intendendo con questa espressione le tre varianti regionali della lingua amazigh (tarifit, tamazigh e tachelhit), e lasciando in ogni caso all’arabo il posto di “lingua madre del paese”. Prima di questa data, il riconoscimento di una cultura e di una lingua berbera all’interno del regno alawita era un argomento tabù. Lo Stato marocchino indipendente ha costruito la propria identità nazionale sull’omologazione culturale e sulla supposta uniformità arabo-musulmana del suo popolo. Raggiunta l’indipendenza (1956) la leadership politica (monarchia e quadri dirigenti del movimento nazionalista), temendo che l’eterogeneità etnica e linguistica potesse dividere e destabilizzare i nascenti apparati di potere, ne assicurò la completa emarginazione, uniformando il panorama linguistico e culturale (identitario) nazionale.
Tuttavia, è sempre esistito un diffuso attivismo berbero sia nelle grandi città del regno (in particolar modo Casablanca e Rabat) sia nelle regioni montuose dell’interno (Rif, Medio Atlante e Suss) quasi integralmente berberofone. Il primo sintomo di tale attivismo risale al 1967, con la creazione dell’Association marocaine des recherches et d’échanges culturels (AMREC). Come afferma la ricercatrice Laura Feliu, “la creazione di una associazione che riconoscesse in maniera esplicita la sua adesione alla berberità era al tempo impensabile, per cui i termini «amazigh» o «berbero» non furono inseriti nella sua denominazione”. L’AMREC, di stanza a Rabat ma estesa con sezioni locali a gran parte del territorio nazionale, è un’organizzazione tuttora esistente composta essenzialmente da insegnanti e studenti berberi interessati al recupero della tradizione letteraria orale amazigh. L’attività dell’associazione, di stampo pressoché accademico, si è concentrata principalmente sulla “riscrittura della storia nazionale” e sugli studi linguistici.
Con il passare degli anni e la nascita di organizzazioni berbere via via più radicali, molti militanti hanno abbandonato l’AMREC, che ha assunto una connotazione sempre più moderata e conciliante rispetto alle posizioni del regime. Tra i fuoriusciti più noti vi è il letterato Ali Sidqi Azaykou che, lasciata l’AMREC nel 1975, ha contribuito alla fondazione dell’Association culturelle amazighe (ACA). Tra i membri dell’associazione figuravano personalità strettamente legate alla monarchia (come Mohamed Chafik, direttore del Collège Royal ed insegnante dell’attuale sovrano Mohammed VI), fatto questo che assicurava all’ACA, almeno all’inizio, notevoli mezzi di sostentamento, pur in assenza del riconoscimento ufficiale delle autorità, e la possibilità di includere il termine «amazigh» nella sua denominazione senza incorrere in azioni repressive. In realtà, dopo appena due anni di vita, l’associazione fu costretta alla chiusura. A determinarne l’epilogo, un articolo pubblicato da Azaykou sulla rivista Amazigh, organo della stessa ACA. Il poeta, che aveva proposto una rilettura della storia nazionale in chiave berbera, fu incarcerato per un anno ed il giornale messo al bando.


Durante gli anni settanta e ottanta le associazioni berbere, a carattere locale (specie nella regione del Rif e nel sud-est del paese) e strettamente culturale, sono pian piano aumentate. La seconda organizzazione amazigh ad installarsi su scala nazionale è l’Association nouvelle pour la culture et les arts populaires (ANCAP), nata a Rabat nel 1987. Tra i fondatori dell’ANCAP, oggi conosciuta con l’acronimo amazigh Tamaynout (denominazione utilizzata ufficialmente solo dal 1995), ci sono ex-membri dell’AMREC e militanti dell’opposizione marxista, provenienti nella maggior parte dei casi dalla regione del Suss. L’organizzazione, oltre alla promozione della cultura amazigh sul territorio nazionale, si è concentrata sulle evoluzioni della giurisprudenza internazionale, seguite alla Dichiarazione ONU sui diritti delle minoranze etnico, religiose, linguistiche (1992). Il presidente dell’associazione, l’avvocato Hassan Id Belkassim, si è visto riconoscere lo status di osservatore dalla Commissione ONU per i diritti umani con sede a Ginevra.
Con l’inizio degli anni novanta e la fine degli “anni di piombo”, segnali di apertura da parte dello Stato sembrano garantire una maggiore libertà politica ed un sensibile progresso nel rispetto dei diritti umani. In questo momento il movimento amazigh decide di promuovere apertamente le proprie rivendicazioni. Le principali associazioni emergono dalla condizione di marginalità e semi-clandestinità impostagli dal regime nei due decenni precedenti. Si coordinano e producono il primo manifesto unitario e programmatico del movimento, la Charte de la langue et de la culture amazighe, conosciuta come Carta di Agadir. E’ la prima volta che, in un documento ufficiale, compare il termine “amazigh”. La Carta viene presentata all’Université d’Eté de Agadir , nell’agosto del 1991, ed è sottoscritta da sei associazioni (AMREC, Tamaynout, Association Université d’Eté de Agadir, Association culturelle Gheris - attuale Tilleli, Association Ilm Ass, Association culturelle du Souss). Le rivendicazioni avanzate per la prima volta pubblicamente dal movimento berbero si possono sintetizzare in cinque punti: riconoscimento costituzionale della lingua amazigh; creazione di un istituto nazionale amazigh per lo studio e la ricerca storica, culturale e linguistica; introduzione della lingua amazigh nel sistema di istruzione nazionale; inclusione della lingua e della cultura berbera tra le linee guida della ricerca promosse dalle università e dagli istituti nazionali; utilizzo della lingua amazigh nei mass-media.


Il movimento acquisisce forza in questi anni e aumentano le dimostrazioni pubbliche. Nel 1994 un gruppo di studenti berberi manifesta all’interno dell’Università di Fès, innescando la reazione violenta dei colleghi aderenti ad organizzazioni islamiche. Nello stesso anno, durante le manifestazioni del 1° maggio a Goulmima (città situata alle falde orientali del Medio Atlante), sette attivisti dell’associazione amazigh Tilleli vengono arrestati per aver sfilato in strada con striscioni e manifesti scritti in tifnagh (alfabeto berbero). Il gruppo, accusato di aver attentato alla sicurezza dello Stato e alla costituzione, è condannato a cinque anni di carcere.
Pochi mesi dopo, mentre la mobilitazione all’interno del movimento si intensifica, Hassan II riconosce per la prima volta pubblicamente l’esistenza di una “questione berbera” in Marocco, con il già ricordato discorso del 20 agosto 1994, pronunciato in occasione della Festa della rivoluzione del re e del popolo. Ma alle promesse del sovrano, che sembravano raccogliere almeno parte delle rivendicazioni sancite dalla Carta di Agadir (l’insegnamento della lingua berbera, a cui Hassan II attribuisce, non a caso, lo statuto di “dialetti marocchini”), non fa seguito nessun riconoscimento concreto.
La fine degli anni novanta segna in realtà un periodo di stallo per la compagine berbera, sia per l’assenza di risposte da parte del governo sia per le divisioni interne. Viene meno lo spirito unitario che aveva fatto uscire allo scoperto il movimento. Le associazioni amazigh si moltiplicano, come del resto le fratture e le divergenze tra queste. Le due organizzazioni di riferimento, l’AMREC e Tamaynout, ormai perseguono obiettivi distinti: la prima, più moderata, vuole il dialogo con il regime e per questo tenta di prendere le distanze dal movimento; la seconda, più attenta alle rivendicazioni provenienti dalla base e alle condizioni socio-economiche delle popolazioni berbere che vivono nelle regioni interne (in gran parte povere e sottosviluppate), sceglie un terreno di scontro prettamente politico (non più esclusivamente culturale) con le autorità, forte anche del sostegno delle associazioni radicali fiorite nel Rif.
Allo stesso tempo, però, la successione al trono suscita nuove speranze di cambiamento nella gestione monarchica della “questione amazigh”. La morte di Hassan II nel 1999 e l’arrivo al trono di Mohammed VI sembra aprire le porte ad una accelerazione della politica berbera del regime. Il nuovo re annuncia che la berberità del Marocco sarà una delle cinque priorità (oltre alla revisione dello statuto della donna, la riforma costituzionale, la riparazione per le vittime degli “anni di piombo” e la chiusura del “dossier Sahara”) su cui concentrerà la sua azione di governo. La congiuntura politica è favorevole e il movimento capisce che è necessario superare le divisioni interne (e i contrasti tra le associazioni) per ridare forza al dibattito, ormai aperto e a carattere nazionale, sul riconoscimento della berberità e per meglio sostenere le proprie rivendicazioni di fronte alle istituzioni.


La prova del ritrovato dinamismo del movimento è la redazione del Manifeste amazigh, una nuova piattaforma programmatica e unitaria che accoglie, oltre alle note rivendicazioni linguistiche e culturali, istanze prettamente sociali e politiche maturate all’interno del variegato movimento berbero nel corso dell’ultimo decennio. Il Manifesto è redatto nel marzo del 2000 da una delle massime personalità del panorama intellettuale amazigh, Mohamed Chafik, ed è sottoscritto da 229 militanti, provenienti non soltanto dal contesto associativo. Secondo Ahmed Assid, intellettuale e filosofo berbero (firmatario del Manifesto) a lungo membro dell’AMREC, “in questa fase le associazioni, che avevano determinato la crisi del movimento alla fine degli anni novanta, passano in secondo piano e lasciano il posto ai singoli attivisti, ad individui svincolati dalle appartenenze politiche e associative e dal perseguimento di interessi particolaristici”.
Il Manifesto segna ufficialmente il passaggio del movimento berbero marocchino da una rivendicazione strettamente linguistica e culturale ad una più ampia rivendicazione politica e sociale. Il suo contenuto, che richiama nel preambolo la necessità di una revisione del concetto di identità nazionale, può essere riassunto in nove punti: la “questione amazigh” deve essere posta al centro di un dibattito politico nazionale aperto, rivolto a tutte le componenti politiche e sociali del paese; la lingua amazigh deve essere inclusa nella costituzione e riconosciuta come lingua ufficiale; le regioni berbere devono poter beneficiare di importanti programmi di sviluppo socio-economico; l’insegnamento obbligatorio della lingua amazigh e la creazione di un istituto nazionale per la standardizzazione della lingua stessa; la revisione dei programmi e dei manuali scolastici, con il conseguente riconoscimento del ruolo rivestito dai berberi nella costruzione di un’identità veramente nazionale; l’adozione della lingua amazigh nei media e nell’amministrazione; la possibilità di assegnare nomi berberi ai nuovi nati e ai luoghi simbolo della memoria collettiva berbera; che siano stanziati fondi per il sostegno all’arte e al patrimonio tradizionale berbero; il riconoscimento della pubblica utilità delle associazioni amazigh, affinché queste possano beneficiare del finanziamento pubblico previsto dalla legge.
Dopo la pubblicazione del Manifesto, in attesa di una risposta da parte del sovrano e delle istituzioni politiche, il movimento, forte di una ritrovata unità ed energia, lancia una campagna di promozione del documento, durante la quale il Manifesto raggiunge un milione di firmatari. A Bouznika (Rabat) si riunisce nel luglio 2000 il Comité National du Manifeste amazigh , incaricato di diffondere il testo in tutto il territorio nazionale. Nei giorni del congresso viene proposta per la prima volta l’idea della creazione di un partito politico amazigh. Tuttavia, la seconda riunione del Comitato, prevista a Bouznika nel luglio 2001, non è autorizzata dalle autorità, “spaventate dalla minaccia etnicista e separatista che l’evento avrebbe assunto” .

Manifestazioni a Tinghrir (Alto Atlante orientale) nel dicembre 2010

Mohammed VI, che fino a quel momento non aveva fornito alcuna risposta ufficiale all’invio del Manifesto, considera l’aumento della partecipazione all’interno del movimento amazigh come una minaccia sempre più concreta alla stabilità del regno. Bisogna ricordare inoltre che nel 2000 l’Algeria è sconvolta da una rivolta in Cabilia, passata alla storia come “primavera nera” per l’efferatezza con cui è stata repressa. Come afferma Laura Feliu, “per Mohammed VI era arrivato il momento di prendere la situazione in mano; serviva l’attuazione di una vera e concreta politica berbera, per evitare la radicalizzazione del movimento e la possibile ripetizione dello scenario algerino, oltre che per arginare la deriva politica dei militanti amazigh marocchini” .
La risposta del re arriva con il discorso del trono pronunciato il 20 luglio 2001, una svolta che segna di fatto l’appropriazione e l’istituzionalizzazione della “questione amazigh” da parte del regime. Mohammed VI offre per la prima volta una visione positiva dell’apporto berbero alla cultura nazionale e parla di identità nazionale plurale. Nel suo discorso il sovrano annuncia anche la creazione dell’IRCAM (Institut royal pour la culture amazigh au Maroc), poi confermata dal dahir (decreto reale) del 17 ottobre 2001, presentato in occasione del discorso di Ajdir. Il re conferma la volontà di “consolidare i pilastri sui quali riposa la nostra identità ancestrale e dare un nuovo impulso alla nostra cultura amazigh (…) per darle i mezzi e la forza necessaria a conservarsi e svilupparsi”. L’IRCAM si vede assegnato “il compito di assicurare, accanto ai dipartimenti ministeriali competenti, la preparazione e l’accompagnamento del processo di integrazione dell’amazigh nel sistema di insegnamento nazionale”.
L’insegnamento della lingua berbera, cominciato nel 2004 nelle scuole elementari, apre certamente nuove prospettive per la diffusione e il riconoscimento della cultura amazigh all’interno del paese. Ma tale riconoscimento presuppone, come ha spiegato il sovrano nel suo discorso in occasione della nomina del consiglio di amministrazione dell’IRCAM (27 giugno 2002), che “la berberità non debba essere messa al servizio di interessi politici”. In altre parole, attraverso la creazione dell’IRCAM Mohammed VI ha dato una risposta prettamente culturale alle rivendicazioni presentate dal movimento amazigh, rivendicazioni divenute sempre più politiche e sociali. Se la monarchia considera a questo punto concluso il suo compito per la risoluzione della “questione berbera”, parte degli attivisti, degli intellettuali e delle associazioni berbere non sembrano essere dello stesso avviso. Per la maggioranza dei militanti, l’IRCAM è un’istituzione monarchica creata al solo fine di strumentalizzare e neutralizzare le azioni del movimento berbero marocchino. Secondo lo storico Pierre Vermeren, “la fonte principale dello scontento resta la povertà e la marginalizzazione economica delle regioni in cui vivono le popolazioni berbere, ancora sprovviste di scuole, infrastrutture, ospedali e centri industriali di rilievo”.
Altra questione rimasta in sospeso dal 2001 è la creazione di un partito amazigh. Dopo il rifiuto di numerose domande di autorizzazione, un Partito democratico amazigh marocchino (PDAM) è stato creato dall’avvocato Ahmed D’ghirni alla vigilia delle elezioni legislative del settembre 2007. Tuttavia il ministro dell’Interno ha impedito la sua partecipazione alla competizione elettorale, denunciando il partito di fronte al tribunale amministrativo di Rabat e ottenendo la sua dissoluzione per “etnicismo” nell’aprile 2008.
Sebbene il “fronte berbero” sia uscito frammentato dalla creazione dell’IRCAM e dalla nomina dei suoi effettivi (altra conseguenza prevista dalla strategia del monarca), gli eventi e l’attivismo mostrato negli ultimi dieci anni (le manifestazioni in seguito agli attentati di Casablanca nel 2003, le rivolte nei villaggi del Rif e del Medio Atlante scoppiate tra il 2007 e il 2010) costituiscono una testimonianza concreta della nuova dimensione politica assunta dal movimento amazigh.

Bibliografia di riferimento
CHAFIK M., Le Manifeste amazigh, (2000), pubblicazione a cura dell’Association culturelle Asidd, Meknès.
DE POLI B., “Processi di costruzione etnica e identitaria: il caso dei Berberi”, in Integrazione, assimilazione, esclusione e reazione etnica, vol. IV, (sous la direction de) G. GIRAUDO et A. PAVAN, Ed. ScriptaWeb, Napoli, 2008, pp. 173-216.
VERMEREN P., Le Maroc de Mohammed VI, Ed. La Découverte, Paris, 2009.
FELIU L., “Le Mouvement culturel amazigh au Maroc”, L’Année du Maghreb, 2004, CNRS Editions, pp. 273-285.
KRATOCHWIL G., “Les associations culturelles amazighes au Maroc. Bilan et perspectives”, Prologues, 1999, n.17, pp. 38-44.
Intervista ad Ahmed Assid realizzata da Jacopo Granci, Rabat 26/07/2010.

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