Mulattiere scoscese, douar e minuscoli agglomerati di case costruite in terra e pietra, giardini pensili coltivati negli anfratti della montagna, ripari di fortuna ricavati dalle grotte disseminate tra i pendii, dove si è sistemato chi ha perso la casa con le piogge della cattiva stagione e attende l'estate per ricostruirla....
Era
la primavera del 2010 quando, assieme all'amico e collega Aziz, siamo partiti
alla volta di Anfgou. Un piccolo villaggio berbero incastonato sulle pendici
del Medio Atlante, dove quasi ogni inverno il freddo e la neve si trascinano
dietro un alito funebre, duro e inesorabile come le condizioni in cui vivono la
gran parte dei suoi abitanti.
Le
storie e i racconti ascoltati sul posto ci hanno poi spinto a proseguire il
viaggio, ad inoltrarci ancora di più in quel "Marocco profondo" così
lontano dalle metropoli della costa atlantica e quasi impossibile da reperire
nelle mappe o nelle guide turistiche.
Abbiamo
lasciato alle spalle sia la strada che Imilchil, punto di riferimento nella
zona con il suo mercato settimanale e il suo moussem (santuario) plurisecolare, e ci siamo incamminati verso i duemila
metri di altitudine che sovrastano le vallate di Oulghazi e Ait Abdi.
E'
in questo punto che i rilievi gentili e verdeggianti del Medio Atlante lasciano
spazio a versanti più impervi e rocciosi, con venature che mescolano riflessi
scuri ai toni aridi e rossicci: l'Alto Atlante.
Mulattiere
scoscese, douar e minuscoli
agglomerati di case costruite in terra e pietra, giardini pensili coltivati
negli anfratti della montagna, ripari di fortuna ricavati dalle grotte
disseminate tra i pendii, dove si è sistemato chi ha perso la casa con le
piogge della cattiva stagione e attende l'estate per ricostruirla.
E
ancora. Serate trascorse ad ascoltare la voce dell'amdeyaz (aedo) accompagnata dal suono del flauto e del rbab (strumento tradizionale a due corde
suonato con un archetto). Un giorno di marcia per arrivare alla prima strada
carrozzabile e raggiungere il mercato, un'economia quasi di sussistenza -
pastorizia, orti striminziti ritagliati sulle sponde del torrente - e una
modernità che nonostante tutto comincia a farsi avanti. Non ci sono cavi né
tralicci ad illuminare le notti di Ait Abdi, ma c'è chi ha deciso di installare
minuscoli pannelli solari per provvedere ai propri bisogni energetici di base.
Delle
persone incontrate durante questo viaggio, di quelle conosciute, non ricordo i
nomi né l'età, spesso indefinibile. Mi porto dietro il ricordo della loro
semplicità genuina, del grande senso di dignità trasmesso dalle loro azioni e
dai loro discorsi. Mi porto dietro anche qualche scatto, strappato più per
diletto che per "esigenza professionale". Mi porto dietro i loro
volti, solcati dal rigido vento dell'Atlante.
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